Pembrolizumab e Axitinib nel Carcinoma Renale: Occhio al Fegato! Uno Studio Giapponese Fa Chiarezza
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento importante che tocca da vicino chi combatte contro il carcinoma a cellule renali (RCC), in particolare le forme avanzate, non operabili o metastatiche. Come sapete, negli ultimi anni la ricerca ha fatto passi da gigante, regalandoci nuove armi terapeutiche, spesso combinazioni di farmaci potenti come l’immunoterapia e gli inibitori delle tirosin chinasi (TKI). Una di queste combinazioni, che ha dimostrato grande efficacia, è quella tra pembrolizumab (un immunoterapico che “sveglia” il nostro sistema immunitario contro il tumore) e axitinib (un TKI che blocca la crescita dei vasi sanguigni che nutrono il cancro).
Questa accoppiata vincente è diventata uno standard di trattamento di prima linea in molti paesi, Italia inclusa, grazie ai risultati dello studio clinico globale KEYNOTE-426. Però, come spesso accade con terapie efficaci, bisogna tenere d’occhio anche gli effetti collaterali. Nello studio KEYNOTE-426, era emerso un dato interessante: i pazienti trattati con pembrolizumab più axitinib mostravano un’incidenza maggiore di problemi legati alla funzione epatica (il nostro fegato, insomma) rispetto a quelli trattati con un altro farmaco standard, il sunitinib.
Questo ha fatto suonare un campanello d’allarme, portando le autorità regolatorie giapponesi a richiedere uno studio specifico per capire meglio cosa succedesse nella “vita reale”, al di fuori del contesto più controllato di uno studio clinico. Ed è proprio di questo studio di sorveglianza post-marketing (PMS), condotto in Giappone, che voglio parlarvi oggi. L’obiettivo? Valutare la frequenza e i possibili fattori di rischio degli eventi avversi legati alla funzione epatica in pazienti giapponesi con RCC avanzato trattati con pembrolizumab e axitinib. Mettiamoci comodi e vediamo cosa hanno scoperto.
Lo Studio Giapponese: Cosa Hanno Fatto?
I ricercatori hanno seguito 193 pazienti giapponesi con carcinoma renale non operabile o metastatico che iniziavano il trattamento con pembrolizumab (somministrato ogni 3 o 6 settimane) più axitinib (a dosaggio personalizzato). L’osservazione è durata 9 mesi dall’inizio della terapia. È importante notare che la stragrande maggioranza di questi pazienti (il 96.4%) non aveva problemi al fegato preesistenti. L’età media era di 70 anni, quindi una popolazione leggermente più anziana rispetto a quella dello studio KEYNOTE-426, e con una malattia tendenzialmente un po’ più avanzata, riflettendo forse meglio la pratica clinica quotidiana.
Durante questi 9 mesi, sono stati raccolti dati dettagliati su qualsiasi evento avverso (AE) che riguardasse la funzione epatica: quando si manifestava, quanto era grave (usando una scala standard chiamata CTCAE), se era collegato ai farmaci, come veniva gestito e quali erano gli esiti. Hanno anche cercato di capire se ci fossero caratteristiche particolari dei pazienti (età, sesso, stato di salute generale, presenza di metastasi al fegato, consumo di alcol) che potessero aumentare il rischio di sviluppare questi problemi.
I Risultati Chiave: Cosa Ci Dice lo Studio?
Allora, cosa è emerso da questa “fotografia” della realtà giapponese? Ecco i punti salienti:
- Incidenza degli eventi avversi epatici: Quasi un terzo dei pazienti (30.1%, 58 su 193) ha sperimentato un qualche tipo di problema alla funzione epatica di qualsiasi grado di severità. Di questi, circa la metà (15.0% del totale, 29 su 193) ha avuto eventi avversi di grado 3 o superiore, considerati quindi più seri.
- Tempistica: La maggior parte di questi problemi (oltre l’80%) si è manifestata abbastanza presto, entro i primi 3 mesi dall’inizio della terapia. Questo suggerisce che un monitoraggio attento della funzione epatica è cruciale soprattutto nella fase iniziale del trattamento, anche se un caso si è verificato più tardi, a 7 mesi, ricordandoci di non abbassare la guardia.
- Impatto sul trattamento: Questi eventi avversi epatici hanno avuto conseguenze sulla terapia. Hanno portato all’interruzione definitiva del pembrolizumab nel 9.3% dei casi, dell’axitinib nel 7.3% e di entrambi i farmaci nel 5.2%. In un altro 10.4% dei pazienti è stato necessario ridurre la dose di axitinib. Questo ci dice che, sebbene gestibili, questi effetti collaterali possono influenzare la capacità di continuare la terapia come pianificato.
- Fattori di rischio: Nonostante le analisi, lo studio non è riuscito a identificare fattori di rischio specifici. Né l’età, né il sesso, né la presenza di metastasi epatiche o altri fattori sembravano aumentare significativamente la probabilità di sviluppare problemi al fegato in questa popolazione.
- Gestione ed Esiti: Come sono stati gestiti questi problemi? Una piccola percentuale di pazienti (6.7%) ha ricevuto corticosteroidi (farmaci antinfiammatori potenti) e tutti questi pazienti sono migliorati o guariti completamente. Altri hanno ricevuto acido ursodesossicolico o glicirrizina. È importante sottolineare che non ci sono stati decessi legati a questi eventi avversi epatici nello studio e quasi tutti i pazienti (56 su 58) sono guariti o stavano guarendo al momento della raccolta dati.
Cosa Significano Questi Risultati?
La buona notizia è che questo studio giapponese sulla vita reale non ha rivelato nuovi segnali di allarme inattesi riguardo alla tossicità epatica della combinazione pembrolizumab più axitinib. L’incidenza degli eventi avversi, compresi quelli più seri (grado ≥ 3), è risultata sostanzialmente in linea con quanto già osservato nello studio registrativo KEYNOTE-426 e in altri studi successivi, anche nella popolazione giapponese.
Questo conferma che i problemi al fegato sono un effetto collaterale noto e relativamente comune di questa terapia combinata. L’incidenza sembra essere un po’ più alta rispetto ad altre combinazioni di immunoterapia e TKI approvate per il carcinoma renale, anche se, come sottolineano gli autori, fare confronti diretti è complicato per via delle diverse metodologie di classificazione degli eventi nei vari studi.
Il fatto che la maggior parte degli eventi si verifichi presto (entro 3 mesi) rafforza la necessità di un monitoraggio attento e regolare della funzione epatica (tramite semplici esami del sangue) fin dall’inizio del trattamento e per tutta la sua durata. Anche se non sono stati identificati fattori di rischio specifici in questo studio, la vigilanza deve essere alta per tutti i pazienti.
È rassicurante vedere che, quando questi problemi si verificano, nella maggior parte dei casi possono essere gestiti efficacemente, spesso con l’uso di corticosteroidi, e che gli esiti sono generalmente favorevoli, con recupero della funzione epatica. Tuttavia, non bisogna sottovalutare il potenziale impatto sulla continuità della terapia, dato che una percentuale non trascurabile di pazienti ha dovuto interrompere uno o entrambi i farmaci.
In Conclusione
Questo studio di sorveglianza post-marketing condotto in Giappone ci fornisce dati preziosi dal mondo reale sull’uso di pembrolizumab più axitinib nel trattamento del carcinoma a cellule renali avanzato. Conferma che, sebbene questa combinazione sia molto efficace, gli eventi avversi a carico del fegato sono un aspetto da considerare attentamente.
L’incidenza di questi problemi è risultata coerente con gli studi precedenti e non sono emersi nuovi allarmi sulla sicurezza. La maggior parte degli eventi si verifica precocemente e, fortunatamente, sono gestibili con esiti generalmente positivi.
Il messaggio chiave per chi è in trattamento o per i medici che lo prescrivono è chiaro: monitorare attentamente la funzione epatica è fondamentale, soprattutto nei primi mesi, per poter intervenire tempestivamente in caso di necessità e garantire l’uso appropriato e sicuro di questa importante opzione terapeutica. La ricerca continua, ma studi come questo ci aiutano a navigare meglio le sfide della pratica clinica quotidiana.
Fonte: Springer