Luce sui Batteri: Come Manteniamo Fresco il Branzino Più a Lungo con la Scienza!
Ciao a tutti! Sono qui per raccontarvi di una cosa affascinante su cui ho lavorato di recente, qualcosa che potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo alla freschezza e alla sicurezza del pesce che portiamo in tavola. Parliamo di branzino (Dicentrarchus labrax), un pesce delizioso e nutriente, ricco di quei famosi acidi grassi ω-3 che fanno tanto bene al cuore e al cervello. Ma, come sappiamo, il pesce è anche super delicato e deperibile. I batteri ci vanno a nozze e possono farlo rovinare in fretta, a volte rendendolo persino pericoloso per noi.
Il problema è serio: la contaminazione microbica è un bel grattacapo, sia per la conservazione che per la nostra salute. Pensateci, dopo la pesca, durante il trasporto e la lavorazione, i microbi possono proliferare. E con l’aumento del consumo di pesce crudo, il rischio di beccarsi qualche infezione alimentare aumenta. Aggiungeteci poi il problema dei batteri resistenti agli antibiotici, spesso presenti negli allevamenti ittici, e capirete perché trovare nuovi metodi per decontaminare il pesce, senza rovinarlo, è fondamentale.
Ed è qui che entra in gioco la nostra idea: l’Inattivazione Fotodinamica, o PDI. Sembra un nome complicato, ma il concetto è geniale nella sua semplicità.
Cos’è l’Inattivazione Fotodinamica (PDI)?
Immaginate di avere una sostanza speciale, chiamata fotosensibilizzatore (PS), che si attiva con la luce visibile (quella normale, tipo quella di una lampada LED). Quando questo PS viene illuminato in presenza di ossigeno, scatena la produzione di “specie reattive dell’ossigeno” (ROS) – pensatele come delle piccole molecole super energiche e un po’ arrabbiate. Queste ROS sono letali per i microbi: attaccano le loro strutture vitali (proteine, DNA, lipidi) e li mettono K.O.
Il bello della PDI è che:
- È efficace contro un’ampia gamma di microrganismi.
- A differenza degli antibiotici o dei raggi UV, non sembra favorire lo sviluppo di batteri resistenti. Una vittoria enorme!
- Rispetto ai metodi termici o chimici, impatta molto meno sulle caratteristiche del cibo, come sapore, odore, colore e valore nutrizionale.
Insomma, sembra quasi troppo bello per essere vero, no? Ecco perché abbiamo deciso di testarla sul branzino.
Il Nostro Esperimento: Branzino sotto i Riflettori
Nel nostro laboratorio, abbiamo preso dei bei filetti di branzino e abbiamo messo alla prova due fotosensibilizzatori che studi precedenti (condotti in soluzioni acquose) avevano indicato come molto promettenti: il TMPyP (un nome un po’ ostico, lo so: 5,10,15,20-tetrakis(1-metilpiridinio-4-il)porfirina) e il buon vecchio Blu di Metilene (MB), una sostanza già nota e utilizzata in altri campi.
Abbiamo “sporcato” artificialmente alcuni pezzi di filetto (sia muscolo che pelle) con due batteri “cattivi” noti per dare problemi nel pesce: Escherichia coli (spesso introdotto durante la manipolazione) e Vibrio parahaemolyticus (che può trovarsi naturalmente nel pesce d’allevamento). Poi abbiamo applicato i nostri fotosensibilizzatori (TMPyP o MB) e abbiamo illuminato tutto con una luce bianca intensa per 60 minuti.
Abbiamo anche voluto vedere se aggiungere ioduro di potassio (KI), noto per potenziare a volte l’effetto PDI, potesse dare una mano. Infine, abbiamo testato la PDI anche sulla microflora naturale già presente sul pesce appena comprato.
I Risultati: Chi Vince la Sfida?
Ebbene, i risultati sono stati davvero incoraggianti! Sia il TMPyP che il Blu di Metilene hanno ridotto significativamente la carica batterica sui filetti di branzino. Ma il vero campione è stato il Blu di Metilene (MB).
Usando MB a una concentrazione di 50 µM, abbiamo ottenuto una riduzione di circa 3.0 log CFU/g (che in parole povere significa uccidere circa il 99.9% dei batteri!) sia per E. coli che per V. parahaemolyticus, e anche per la microflora naturale totale. Il TMPyP è stato efficace, ma un po’ meno, con riduzioni intorno ai 2.0-2.4 log CFU/g (circa il 99%).
La sorpresa? L’aggiunta di ioduro di potassio (KI) non solo non ha aiutato, ma ha addirittura leggermente ridotto l’efficacia dei trattamenti sui filetti di pesce. Questo è interessante, perché in soluzioni acquose semplici il KI di solito potenzia l’effetto. Probabilmente, la complessità della matrice alimentare (il pesce stesso) interferisce: magari l’ossigeno è meno disponibile, o le molecole del pesce “neutralizzano” le specie reattive che il KI dovrebbe aiutare a formare.
Un altro dato importante: abbiamo visto che la PDI ha abbassato notevolmente anche la conta di batteri indicatori di scarsa igiene, come le Enterobacteriaceae e i coliformi totali, portandoli sotto i limiti di sicurezza.
Più Fresco, Più a Lungo: La Prova del Frigo
Visto che il Blu di Metilene era il migliore, ci siamo chiesti: può anche allungare la vita del pesce in frigorifero? Abbiamo trattato dei filetti di branzino con MB-PDI (alle condizioni ottimali: 50 µM di MB, 60 min di luce) e li abbiamo messi in frigo a 4-5°C, confrontandoli con filetti non trattati.
I risultati sono stati fantastici! I filetti non trattati sono rimasti “accettabili” (dal punto di vista microbiologico) solo per 2 giorni. Dopo, la carica batterica (sia mesofila che psicrofila, cioè quella che cresce al freddo) superava i limiti di sicurezza (fissati convenzionalmente a 7 log CFU/g). I filetti trattati con MB-PDI, invece, sono rimasti entro i limiti per ben 6 giorni! Un’estensione della shelf-life microbiologica di 4 giorni!
Abbiamo misurato anche la trimetilammina (TMA-N), quella sostanza che dà al pesce l’odore sgradevole di “vecchio”. Nei campioni non trattati, la TMA-N è schizzata alle stelle superando i limiti accettabili già dopo 2 giorni. Nei campioni trattati con PDI, invece, è rimasta bassissima per tutti i 6 giorni di osservazione. Questo conferma che il trattamento frena l’attività microbica responsabile del deterioramento.
E la Qualità? Nessun Problema!
Ok, la PDI uccide i batteri e allunga la freschezza, ma rovina il pesce? Questa è una domanda cruciale. Le ROS, essendo reattive, potrebbero in teoria danneggiare i preziosi grassi del pesce, specialmente i PUFA (acidi grassi polinsaturi), causando ossidazione (irrancidimento) o idrolisi (formazione di acidi grassi liberi).
Abbiamo analizzato attentamente i lipidi. Buone notizie:
- Il contenuto totale di lipidi e l’umidità non sono stati influenzati significativamente dal trattamento PDI.
- L’idrolisi lipidica (misurata come acidi grassi liberi – FFA) non è aumentata nei campioni trattati rispetto ai controlli. Anzi, a lungo termine sembrava persino leggermente inferiore, forse perché c’erano meno microbi a produrre enzimi lipolitici.
- L’ossidazione lipidica è stata monitorata misurando diversi indicatori (dieni e trieni coniugati, indice TBA-i, composti fluorescenti). C’è stato un leggerissimo aumento dell’indice TBA-i nei campioni trattati, ma i valori sono rimasti molto bassi, ben al di sotto delle soglie che indicano un problema di qualità sensoriale. Gli altri indicatori non hanno mostrato differenze significative o addirittura hanno indicato un effetto protettivo della PDI sull’ossidazione avanzata.
- Ancora più importante: l’analisi del profilo degli acidi grassi ha confermato che il trattamento PDI con MB non ha degradato i preziosi ω-3 come EPA e DHA! Il rapporto ω-3/ω-6 e l’indice polienico sono rimasti invariati.
Questo è un vantaggio notevole rispetto ad altri metodi, come l’irradiazione UV ad alte dosi o alcuni trattamenti chimici, che possono promuovere l’ossidazione lipidica. Usare luce visibile sembra essere più “gentile” con i grassi del pesce.
Sfide e Prospettive Future
Siamo molto entusiasti di questi risultati, ma la strada per vedere la PDI usata su larga scala nell’industria alimentare è ancora lunga. Ci sono sfide da affrontare:
- Regolamentazione: Al momento, non ci sono norme specifiche per l’uso della PDI negli alimenti né dall’FDA (USA) né dall’EFSA (Europa). Servono studi approfonditi per dimostrarne la sicurezza per il consumatore e l’ambiente.
- Accettazione del consumatore: Usare sostanze come il Blu di Metilene (anche se in piccole quantità e potenzialmente rimovibile) potrebbe sollevare dubbi. L’ideale sarebbe usare fotosensibilizzatori già presenti naturalmente negli alimenti o immobilizzare il PS su materiali (es. packaging) che non entrano in contatto diretto o che possono essere rimossi.
- Costo e Scalabilità: Anche se le sorgenti luminose LED sono economiche, la produzione di alcuni PS può essere costosa. Fortunatamente, il Blu di Metilene è economico e già disponibile commercialmente, il che è un punto a suo favore.
- Valutazioni complete: Servono test su una gamma più ampia di patogeni (inclusi funghi, virus, protozoi) e valutazioni sensoriali (gusto, odore, colore, consistenza) per confermare che la qualità percepita dal consumatore non sia alterata.
Nonostante queste sfide, credo fermamente che la PDI, specialmente quella mediata dal Blu di Metilene, abbia un potenziale enorme per migliorare la sicurezza e prolungare la conservabilità del pesce fresco. È un approccio innovativo, efficace e relativamente delicato sul prodotto.
In conclusione, questa ricerca apre una porta interessante verso un futuro in cui possiamo goderci il nostro amato pesce con maggiore tranquillità, sapendo che una “doccia di luce” intelligente ha contribuito a mantenerlo sicuro e fresco più a lungo, senza comprometterne le preziose qualità nutrizionali. Continueremo a lavorare per superare gli ostacoli e portare questa tecnologia più vicina alla nostra tavola!
Fonte: Springer