Pazopanib nell’Emangioendotelioma Epitelioide Metastatico: Una Nuova Freccia al Nostro Arco?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore, perché riguarda una di quelle sfide mediche che ci spingono a cercare sempre nuove soluzioni: l’emangioendotelioma epitelioide (EHE). Si tratta di un tumore vascolare ultra-raro, talmente raro che la sua prevalenza è inferiore a 1 caso su 1 milione di persone. Immaginate quanto sia difficile studiarlo e trovare terapie efficaci!
Cos’è l’Emangioendotelioma Epitelioide (EHE)?
L’EHE è un tipo di sarcoma dei tessuti molli che origina dalle cellule che rivestono i vasi sanguigni. La sua particolarità non sta solo nella rarità, ma anche nel suo comportamento clinico estremamente variabile. Alcuni pazienti convivono con la malattia per anni con una progressione lenta, mentre altri affrontano forme molto aggressive. A livello molecolare, spesso è caratterizzato da specifiche fusioni geniche, come WWTR1-CAMTA1 o, più raramente, YAP-TFE3. Purtroppo, in circa la metà dei casi, l’EHE viene diagnosticato quando ha già dato metastasi, colpendo principalmente fegato, polmoni e ossa.
Il Dilemma Terapeutico: Cosa Fare?
Di fronte a un paziente con EHE metastatico o non operabile, la prima domanda è: trattare subito o aspettare? Se il paziente è asintomatico e la malattia non progredisce rapidamente, un approccio di “sorveglianza attiva” è spesso raccomandato per evitare trattamenti non necessari. Ma quando la malattia avanza o compaiono sintomi, bisogna intervenire. Il problema? L’EHE è tipicamente resistente alle chemioterapie standard usate per altri sarcomi. Attualmente, le linee guida internazionali suggeriscono l’uso di sirolimus, un inibitore di mTOR, come terapia di prima linea, basandosi principalmente su studi retrospettivi e serie di casi. Funziona, ma c’è sempre bisogno di alternative.
Entra in Scena il Pazopanib: La Nostra Esperienza
Qui entra in gioco il pazopanib (PAZ). È un farmaco che appartiene alla classe degli inibitori multi-target delle tirosin-chinasi (TKI), con una forte azione contro i recettori del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGFR). È già approvato per altri tipi di sarcomi dei tessuti molli (non adipocitici) dopo la chemioterapia. Studi precedenti, seppur su piccoli numeri, avevano suggerito una sua possibile attività anche nell’EHE. Per questo, nel nostro centro, abbiamo deciso di analizzare retrospettivamente la nostra esperienza con il pazopanib usato come prima linea di trattamento in pazienti con EHE metastatico, tra il 2012 e il 2023. Volevamo capire quanto fosse realmente efficace e sicuro in questo setting specifico, dato che mancavano dati sistematici.
Cosa Abbiamo Scoperto? I Numeri (e Non Solo)
Abbiamo analizzato i dati di 13 pazienti. Dopo un follow-up mediano piuttosto lungo, di 51,4 mesi (oltre 4 anni!), i risultati sono stati incoraggianti, ma con delle sfumature importanti.
- La sopravvivenza mediana libera da progressione (PFS), cioè il tempo mediano prima che la malattia peggiorasse o il paziente morisse, è stata di 35,1 mesi.
- La sopravvivenza mediana globale (OS) è stata di 53,8 mesi (quasi 4 anni e mezzo).
Questi numeri, presi da soli, sembrano ottimi per una malattia così difficile. Ma c’è un “ma”. Utilizzando i criteri standard per valutare la risposta tumorale (i famosi criteri RECIST, che misurano le dimensioni delle lesioni), non abbiamo osservato nessuna risposta completa (CR) o parziale (PR). La migliore risposta ottenuta è stata la stabilizzazione della malattia (SD) nell’85% dei pazienti. Il tasso di beneficio clinico (definito come SD a 6 mesi) è stato del 62%.

Quindi, il farmaco sembra “tenere a bada” la malattia per un tempo significativo in molti pazienti, anche senza ridurla visibilmente secondo i criteri RECIST. E qui sta un punto cruciale: due dei quattro pazienti che avevano sintomi all’inizio della terapia (dolore, versamenti, emottisi) hanno avuto un miglioramento dei sintomi con il pazopanib. Uno di questi ha visto una riduzione dell’ascite (liquido nell’addome) di circa l’80%, pur non rientrando nei criteri RECIST per una risposta parziale!
Chi Beneficia di Più (e Chi Meno)?
Abbiamo provato a vedere se ci fossero sottogruppi di pazienti che rispondevano meglio o peggio.
- Nei pazienti che avevano già mostrato segni di progressione della malattia (clinica o secondo RECIST) prima di iniziare il pazopanib (10 pazienti), la PFS mediana è stata di 12,6 mesi e l’OS mediana di 105 mesi (quasi 9 anni!).
- Tuttavia, nei pazienti che presentavano versamenti sierosi (pleurici o peritoneali) e/o sintomi all’inizio della terapia (4 pazienti), le cose andavano peggio: PFS mediana di 6,1 mesi e OS mediana di 10,3 mesi. Questo conferma che la presenza di versamenti è un fattore prognostico negativo, come già suggerito da altri studi.
- Interessante notare che nei pazienti con progressione pregressa ma senza versamenti/sintomi all’inizio (6 pazienti), la PFS mediana schizzava a 62,1 mesi e l’OS a 105 mesi.
Questi dati suggeriscono che, sebbene i versamenti siano un segno negativo, il pazopanib può comunque offrire un beneficio sintomatico e una stabilizzazione anche in alcuni di questi pazienti più difficili.
Vivere con il Pazopanib: Gli Effetti Collaterali
Nessun trattamento è privo di effetti collaterali. Il pazopanib non fa eccezione, ma nel nostro gruppo di pazienti la tossicità è stata generalmente gestibile. Gli effetti collaterali più comuni (di grado 1-2, quindi lievi o moderati) sono stati:
- Fatica (46%)
- Ipotiroidismo (46%)
- Cambiamenti nel colore dei capelli (un classico del pazopanib, 46%)
- Diarrea (38%)
- Aumento degli enzimi epatici (31%)
Abbiamo avuto solo due casi di tossicità di grado 3 (diarrea severa). Tre pazienti (23%) hanno avuto bisogno di ridurre permanentemente la dose, e quattro (31%) hanno dovuto interrompere temporaneamente la terapia. Solo un paziente (8%) ha dovuto smettere definitivamente il farmaco a causa degli effetti collaterali (diarrea, nausea, stanchezza). Non ci sono state tossicità di grado 4 o 5 (gravi o fatali).
Oltre i Numeri: Mettere in Discussione i Criteri RECIST
La nostra esperienza rafforza un dubbio che sta emergendo nella comunità scientifica, soprattutto per i tumori rari: i criteri RECIST sono sempre lo strumento migliore per valutare l’efficacia di una terapia? Nel caso dell’EHE, forse no. Abbiamo visto pazienti stare meglio, con sintomi ridotti, nonostante le immagini radiologiche non mostrassero una riduzione significativa del tumore secondo RECIST. Questi criteri, inoltre, non tengono conto di lesioni non misurabili come i versamenti pleurici, comuni nell’EHE. Come suggerito da altri esperti (Van Tine e Haarberg in un commento a un altro studio sull’EHE), forse dovremmo considerare endpoint diversi, come il miglioramento del dolore o della qualità di vita, o usare disegni di studio differenti per questi tumori ultra-rari.

Pazopanib vs Sirolimus: Una Scelta da Considerare
Attualmente, come detto, il sirolimus è considerato il trattamento di prima linea preferito. Tuttavia, i nostri dati sulla sopravvivenza con pazopanib in prima linea sembrano promettenti e, in alcuni aspetti, potenzialmente paragonabili a quelli riportati per il sirolimus (anche se confronti diretti sono impossibili senza uno studio testa a testa). Questo suggerisce che il pazopanib potrebbe essere una valida alternativa al sirolimus, specialmente considerando che i profili di tossicità dei due farmaci sono diversi. La scelta potrebbe dipendere dalle comorbidità del paziente, dalle sue preferenze e dalla potenziale necessità di una terapia a lungo termine. Effetti collaterali come la diarrea, la tossicità epatica, la fatica, ma anche quelli meno gravi come il cambiamento del colore dei capelli, vanno discussi apertamente prima di iniziare il pazopanib.
Guardando Avanti: Cosa Ci Aspetta?
Il nostro studio ha dei limiti, ovviamente. È retrospettivo e il numero di pazienti è piccolo, come spesso accade per le malattie ultra-rare. I risultati vanno interpretati con cautela, perché la lunga sopravvivenza osservata potrebbe essere in parte dovuta alla biologia intrinseca della malattia in alcuni pazienti, e non solo all’effetto del farmaco. Inoltre, in tre pazienti non avevamo la conferma molecolare della fusione genica tipica dell’EHE.
Nonostante ciò, questo è il primo studio a riportare sistematicamente i dati di sopravvivenza per il pazopanib usato come prima linea nell’EHE metastatico. I risultati suggeriscono che il pazopanib è attivo, sicuro e rappresenta un’opzione terapeutica da considerare in specifici sottogruppi di pazienti, magari come alternativa al sirolimus.
La strada da fare è ancora lunga. Abbiamo bisogno di identificare biomarcatori predittivi (biologici e clinici) per capire meglio quali pazienti beneficeranno di più da quale trattamento e per ottimizzare la gestione di questa malattia così eterogenea. E, come detto, dobbiamo riflettere sull’importanza di usare criteri di valutazione della risposta che vadano oltre i soli RECIST.
In conclusione, la nostra analisi aggiunge un tassello importante alla conoscenza dell’EHE e delle sue opzioni terapeutiche. Il pazopanib si conferma un farmaco con un ruolo potenziale significativo, capace di offrire lunghi periodi di controllo della malattia e sollievo dai sintomi in pazienti selezionati. Una freccia in più nel nostro arco, da usare con saggezza.
Fonte: Springer
