Immagine macro di un cordone ombelicale ancora pulsante che collega un neonato alla placenta, tenuta delicatamente da mani guantate in una sala operatoria. Luce chirurgica focalizzata, obiettivo macro 100mm, alta definizione per mostrare la vitalità del cordone.

Parto Cesareo e Cordone Intatto: La Rivoluzione Dolce che Protegge Mamma e Bambino (INTACT-1)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore e che potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo ai primissimi momenti di vita, specialmente quando si tratta di un parto cesareo. Avete mai pensato a cosa succede nei secondi immediatamente successivi alla nascita? C’è un piccolo grande dettaglio, il cordone ombelicale, che è stato al centro di un dibattito scientifico per anni. E se vi dicessi che il modo in cui lo gestiamo, soprattutto nei cesarei, potrebbe fare una grande differenza?

Il Dilemma del Cordone Ombilicale nel Parto Cesareo

Sappiamo tutti, o quasi, che lasciare il cordone ombelicale intatto per qualche minuto dopo la nascita – una pratica chiamata Delayed Cord Clamping (DCC) o clampaggio ritardato del cordone – porta un sacco di benefici sia ai bimbi nati a termine che ai prematuri. Pensateci: quel cordone è ancora pieno di sangue ricco di ossigeno, globuli rossi e preziose cellule staminali che passano dalla placenta al neonato. Questo “regalo” extra può ridurre il rischio di anemia da carenza di ferro nei primi mesi, migliorare lo sviluppo motorio e persino aumentare le chance di sopravvivenza nei prematuri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Consiglio Europeo di Rianimazione lo raccomandano, idealmente per 1-3 minuti, mentre il bimbo inizia la sua transizione alla vita extrauterina.

Però, diciamocelo chiaramente, durante un taglio cesareo non è sempre così semplice. A volte mancano attrezzature mobili per la rianimazione vicino al tavolo operatorio, c’è la preoccupazione di mantenere la sterilità del campo chirurgico o il timore di un’eccessiva perdita di sangue per la mamma. Così, spesso, i medici si trovano a dover scegliere tra ritardare il clampaggio del cordone e ritardare la stabilizzazione del neonato, se questa deve avvenire lontano dalla mamma. Un bel dilemma, vero?

Una Nuova Prospettiva: Lo Studio INTACT-1

Ed è qui che entra in gioco la nostra avventura, lo studio INTACT-1. Ci siamo chiesti: e se potessimo combinare i benefici del cordone integro con le necessità di un parto cesareo? L’idea era quella di sviluppare e testare un intervento che chiamiamo “trasfusione placentare extra-uterina e stabilizzazione a cordone integro del neonato nei parti cesarei”. Un nome un po’ lungo, lo so, ma l’obiettivo è semplice e potente: dare al bambino tutto il tempo necessario per ricevere quel sangue prezioso dalla placenta, anche se questa è già stata rimossa dall’utero, e stabilizzarlo con il cordone ancora attaccato.

Come abbiamo fatto? Beh, non è stato un “Eureka!” improvviso, ma un lavoro di squadra meticoloso. Abbiamo diviso il processo in due fasi.

  • Fase 1: Sviluppo dell’intervento. Qui abbiamo analizzato ogni singolo passaggio:
    • Come far nascere la placenta senza clampare il cordone.
    • Come stabilizzare il neonato con il cordone ancora integro.
    • Quando clampare il cordone basandoci sulla fisiologia del bambino (cioè, quando ha iniziato a respirare bene) e non solo sul cronometro.

    Abbiamo testato diversi scenari con simulazioni in-situ, cioè direttamente in sala operatoria (con manichini, ovviamente!), raccogliendo feedback e aggiustando il tiro più e più volte. E, fondamentale, abbiamo formato tutto il personale coinvolto.

  • Fase 2: Studio Pilota. Una volta messo a punto il protocollo, lo abbiamo testato su un gruppo di mamme che dovevano partorire con taglio cesareo in anestesia regionale e che aspettavano un bimbo singolo, a termine o quasi.

L’obiettivo primario era vedere in quanti casi riuscivamo a completare con successo tutto l’intervento. Ma la sicurezza era la nostra priorità assoluta: abbiamo monitorato attentamente la perdita di sangue della mamma, il punteggio di Apgar del neonato a 5 minuti (un modo per valutare il suo benessere) e la sua temperatura durante la stabilizzazione, confrontandoli con criteri di accettabilità predefiniti. Per tenere d’occhio il battito cardiaco del piccolo fin da subito, abbiamo usato un ECG a elettrodi secchi (NeoBeat™), un aggeggio fantastico, facile da applicare e che dà letture rapide. Abbiamo anche registrato qualsiasi supporto respiratorio necessario e cercato di favorire il contatto pelle a pelle precoce tra mamma e bimbo, se il piccolo stava bene.

Un team medico multidisciplinare in una sala operatoria simulata, focalizzato su un manichino neonatale con cordone ombelicale intatto. Illuminazione controllata da sala operatoria, obiettivo prime 35mm, profondità di campo per evidenziare l'interazione del team.

Cosa Abbiamo Scoperto? I Risultati del Pilota

E i risultati? Beh, direi incoraggianti! Abbiamo incluso 29 coppie mamma-bambino nel nostro studio pilota. L’età gestazionale variava da 37 a 42 settimane. E la notizia bomba è che l’intervento è stato completato con successo in 26 casi su 29! Di questi, circa il 31% erano cesarei programmati.

Dal punto di vista del neonato, la frequenza cardiaca media a un minuto era di 159 battiti al minuto e a cinque minuti di 168. Otto bambini (il 28%) hanno avuto bisogno di un supporto respiratorio con il cordone ancora integro. Solo un bimbo ha avuto un punteggio Apgar a 5 minuti inferiore a 7 (che è il nostro limite di attenzione) e tre neonati (il 10%) hanno avuto una temperatura rettale sotto i 36.5°C durante i primi 10-15 minuti dopo la nascita. Per quanto riguarda le mamme, tre di loro (il 10%) hanno avuto una perdita di sangue stimata superiore a 1000 ml durante l’intervento. Tutti questi dati rientravano nei nostri criteri di accettabilità predefiniti.

Quindi, la trasfusione placentare extra-uterina per facilitare la stabilizzazione a cordone integro e il clampaggio basato sulla fisiologia per i bimbi nati a termine o quasi da parto cesareo si è dimostrata fattibile. Questo è un passo avanti enorme!

Le Sfide e le Lezioni Apprese

Non è stato tutto rose e fiori, sia chiaro. Introdurre nuove pratiche in un ambiente complesso come la sala operatoria presenta sempre delle sfide. Una delle principali riguardava l’uso dell’ECG NeoBeat™: essendo un dispositivo non sterile, dovevamo fare molta attenzione a non contaminare il campo chirurgico. Questo a volte ha un po’ disturbato il flusso di lavoro del team chirurgico. Abbiamo anche notato che rispettare i tempi prefissati per il secondamento della placenta (la sua uscita) era a volte difficile, con variazioni da caso a caso. Il campionamento del sangue dal cordone pulsante, una pratica nuova per gli ostetrici del nostro team (prima lo facevano le ostetriche), ha richiesto un po’ più di tempo del previsto, influenzando a sua volta i tempi di rimozione della placenta.

Un’altra sfida ricorrente è stata quella di mantenere la temperatura corporea del neonato. Anche se i casi di ipotermia lieve durante la stabilizzazione rientravano nei limiti, abbiamo visto che il problema poteva persistere nelle ore successive. Abbiamo scoperto una correlazione interessante: più alta era la temperatura della sala operatoria, migliore era la temperatura del bimbo. Sembra ovvio, ma è un dato importante!

Il feedback del personale è stato preziosissimo. La maggior parte ha valutato positivamente la comunicazione all’interno del team con il nuovo protocollo, ma c’era preoccupazione per il mantenimento della sterilità. Abbiamo imparato tanto:

  • La sacca sterile che usavamo per coprire il neonato era spesso troppo piccola.
  • La gestione del neonato e della placenta contemporaneamente richiedeva grande coordinazione.
  • La comunicazione chiara e a “circuito chiuso” era essenziale per evitare malintesi e raccogliere dati correttamente in un ambiente rumoroso.

Sulla base di questi “lessons learned”, abbiamo apportato delle modifiche al protocollo, ad esempio eliminando la sacca sterile per il bambino e usando invece un telo sterile extra sopra le gambe della mamma, migliorando le procedure per il trasferimento sicuro di neonato e placenta, e ponendo ancora più enfasi sulla prevenzione dell’ipotermia infantile, introducendo persino una borsa dell’acqua calda per preriscaldare i teli.

Un neonato avvolto in teli caldi su un lettino da rianimazione, con un monitor ECG NeoBeat™ applicato delicatamente sul torace. Macro lens 60mm, alta definizione per mostrare i dettagli del dispositivo e la cura del neonato, luce soffusa ma precisa.

Guardando al Futuro

Cosa significa tutto questo? Significa che abbiamo mosso i primi passi importanti per dimostrare che un approccio diverso è possibile anche nei parti cesarei. Certo, il nostro campione era piccolo e non avevamo un gruppo di controllo, quindi non possiamo trarre conclusioni definitive sulla sicurezza assoluta o sull’efficacia nel prevenire complicazioni. Non abbiamo misurato direttamente quanta trasfusione di sangue sia effettivamente avvenuta dalla placenta al bambino, anche se studi precedenti sul DCC nei cesarei suggeriscono che un trasferimento netto avviene.

È interessante notare che, sebbene i problemi respiratori siano comuni dopo i cesarei programmati, la maggior parte dei bambini nel nostro studio era fisiologicamente stabile entro 30 secondi. Chissà, forse il nostro intervento INTACT ha contribuito a prevenire problemi respiratori in alcuni casi? Solo studi più ampi e comparativi potranno dircelo.

Un aspetto che ci sta a cuore è il contatto pelle a pelle. Nel nostro studio, il tempo medio dalla nascita al contatto pelle a pelle con la mamma in sala operatoria è stato di 13 minuti, un po’ più lungo delle raccomandazioni OMS. Questo potrebbe essere dovuto alle necessità dello studio stesso (misurazioni, raccolta dati). Tuttavia, la frequenza del contatto pelle a pelle in sala operatoria dopo cesareo durante lo studio non è stata diversa dai mesi precedenti, e anzi è aumentata la percentuale di bimbi trasferiti in reparto sul petto della mamma dopo cesarei d’urgenza. Un piccolo grande successo!

In conclusione, questo studio pilota ci dice che la combinazione di trasfusione placentare extra-uterina, stabilizzazione a cordone integro e clampaggio basato sulla fisiologia è fattibile nei cesarei a termine o quasi, eseguiti in anestesia regionale. Non abbiamo riscontrato segnali di danno per mamma o bambino, ma la strada è ancora lunga. Servono studi più grandi, preferibilmente includendo anche neonati pretermine, per confermare la sicurezza e i benefici di questa procedura complessa ma, a mio avviso, estremamente promettente.

È un campo di ricerca affascinante, che mette al centro il benessere del neonato fin dai suoi primi respiri, cercando di rendere la sua venuta al mondo il più dolce e fisiologica possibile, anche quando le circostanze richiedono un intervento chirurgico. E io sono entusiasta di continuare a esplorarlo!

Fonte: Springer

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