Parkinson: Svelato il Caos dei Neurotrasmettitori (e Come Fermarlo?)
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel cervello, per esplorare alcuni meccanismi nascosti dietro una malattia complessa come il Parkinson. Non vi parlerò della mia storia personale, ma di scoperte scientifiche che aprono spiragli di speranza e ci fanno capire meglio cosa succede a livello microscopico.
Il Parkinson, lo sappiamo, è spesso definito come un disturbo del movimento causato dalla morte dei neuroni che producono dopamina in una specifica area del cervello, la substantia nigra pars compacta (SNpc). In pochi anni dalla diagnosi, i marcatori di questi neuroni nello striato (l’area bersaglio) quasi scompaiono. Eppure, una parte dei neuroni della SNpc resiste, e terapie come la L-DOPA, che rimpiazza la dopamina mancante, funzionano contro i sintomi motori. Questo ci dice che c’è ancora margine per recuperare funzionalità.
Il problema è che nessuna terapia attuale rallenta o ferma la progressione della malattia. E poi ci sono tutti quei sintomi non motori che compaiono anni prima – disturbi del sonno REM, perdita dell’olfatto, stipsi, cambiamenti d’umore, declino cognitivo – che non rispondono alla L-DOPA. Questo perché il Parkinson non colpisce solo i neuroni dopaminergici; coinvolge molte altre popolazioni neuronali e neurotrasmettitori, come il glutammato, l’acetilcolina, la noradrenalina.
Il Crocevia dello Striato: Dove Tutto Converge
Un punto cruciale dove tutti questi segnali si incontrano sono i neuroni spinosi di proiezione (SPN) dello striato dorsolaterale. Immaginateli come dei centralinisti che ricevono chiamate (segnali) dal glutammato (proveniente dalla corteccia e dal talamo) e dalla dopamina (dalla SNpc) per decidere quali azioni compiere. Un equilibrio delicato.
Ma cosa succede se questo equilibrio si rompe? Troppo glutammato o troppa dopamina nello striato possono diventare tossici, quasi come un sovraccarico di informazioni che manda in tilt il sistema. Alcuni pensano che questo “stress” iniziale possa essere la causa della degenerazione che poi risale fino a colpire selettivamente i neuroni dopaminergici.
Un Modello Animale per Capire le Fasi Iniziali
Per studiare queste fasi precoci, abbiamo lavorato con un modello animale molto interessante: topi “knock-in” (VKI) che esprimono una variante genetica umana, la VPS35 D620N, legata a una forma di Parkinson autosomica dominante ad esordio tardivo, molto simile a quella idiopatica (la forma più comune). VPS35 è parte di un complesso chiamato retromero, fondamentale per il riciclo di proteine nelle cellule, incluse quelle importanti per le sinapsi (i punti di contatto tra neuroni).
Questi topi VKI sviluppano patologie tipiche del Parkinson (come accumuli di proteina tau e perdita di neuroni nella SNpc) solo in età avanzata (oltre i 16 mesi), rendendoli perfetti per studiare cosa succede *prima* della degenerazione vera e propria. In studi precedenti, avevamo già notato un aumento della trasmissione del glutammato in colture cellulari di questi topi e un aumento del rilascio di dopamina in fettine di cervello di topi giovani. Questi cambiamenti erano associati a un’iperattività di un altro attore chiave nel Parkinson: l’enzima LRRK2 (Leucine-Rich Repeat Kinase 2).
L’Evoluzione del Caos: Glutammato e Dopamina nel Tempo
La domanda era: come evolvono questi problemi nel tempo, mentre i topi VKI crescono? E l’iperattività di LRRK2 c’entra qualcosa in modo diretto e immediato?
Per scoprirlo, abbiamo misurato la comunicazione sinaptica nello striato di topi VKI a 1, 3 e 6 mesi di età, confrontandoli con topi normali (wild-type, WT).
Cosa abbiamo visto per il glutammato?
Usando la tecnica del patch-clamp (che permette di “ascoltare” l’attività elettrica di un singolo neurone), abbiamo registrato le correnti post-sinaptiche eccitatorie spontanee (sEPSCs) negli SPN.
- A 1 mese: Tutto normale, nessuna differenza tra VKI e WT.
- A 3 mesi: Iniziano a vedersi delle differenze. Gli eventi di glutammato negli SPN dei VKI sono un po’ più ampi (forti).
- A 6 mesi: La differenza diventa netta! Gli SPN dei VKI ricevono segnali di glutammato spontanei più ampi e più frequenti rispetto ai WT.
Abbiamo anche stimolato direttamente le fibre nervose provenienti dalla corteccia usando l’optogenetica (attivando canali sensibili alla luce inseriti nei neuroni corticali). Anche qui, a 6 mesi, la risposta degli SPN dei VKI al glutammato (sia tramite recettori AMPA che NMDA) era significativamente aumentata rispetto ai WT. Inoltre, il rapporto tra impulsi accoppiati (PPR) era ridotto nei VKI a 6 mesi, suggerendo una maggiore probabilità di rilascio presinaptico del glutammato dalle terminazioni corticali.
Curiosamente, misurando il rilascio *totale* di glutammato nello striato con un sensore fluorescente (iGluSnFR), abbiamo visto un quadro leggermente diverso: a 3 mesi, il rilascio nei VKI era *ridotto* rispetto ai WT, ma a 6 mesi tornava a livelli simili. Questo suggerisce che, mentre la comunicazione specifica tra corteccia e SPN aumenta, il rilascio globale di glutammato nello striato potrebbe seguire dinamiche più complesse, forse con meccanismi compensatori in atto.
La Sorpresa della Dopamina e il Ruolo di LRRK2
E la dopamina? Abbiamo usato un altro sensore fluorescente, dLight, che si illumina quando lega la dopamina rilasciata nello spazio extracellulare.
- A 3 mesi: Nessuna differenza significativa nel rilascio di dopamina tra VKI e WT (a differenza di quanto avevamo visto con un’altra tecnica, la voltammetria, in studi precedenti – forse per differenze tecniche o di condizioni sperimentali).
- A 6 mesi: Boom! Il rilascio di dopamina evocato da stimolazione elettrica nei VKI era nettamente aumentato rispetto ai WT. Un segnale molto più forte!
Qui arriva la parte davvero intrigante. Sappiamo che nei topi VKI (e in molte forme di Parkinson umano), l’enzima LRRK2 è iperattivo. Abbiamo quindi provato a bloccare questa iperattività *acutamente*, trattando le fettine di cervello dei topi di 6 mesi con un inibitore specifico di LRRK2 (MLi-2) per circa 1.5 ore prima e durante la registrazione.
I risultati?
- Glutammato: L’inibizione acuta di LRRK2 non ha avuto alcun effetto sull’aumento della trasmissione glutammatergica (né spontanea né evocata) negli SPN dei VKI. Il problema persisteva.
- Dopamina: L’inibizione acuta di LRRK2 ha completamente riportato alla normalità l’eccessivo rilascio di dopamina nei VKI! L’effetto era rapido e specifico per i topi VKI, senza alterare il rilascio nei WT.
Cosa Significa Tutto Questo?
Questi risultati ci dicono diverse cose importanti:
1. La disfunzione dei neurotrasmettitori nello striato dei topi VKI emerge progressivamente durante la giovane età adulta, ben prima della neurodegenerazione conclamata. Non è un problema presente dalla nascita.
2. L’aumento della trasmissione del glutammato sembra essere un processo più “strutturato” o indipendente dall’attività *immediata* di LRRK2, almeno nel breve termine. Forse richiede un’inibizione più prolungata per essere corretto, o forse dipende da meccanismi a valle che non sono rapidamente reversibili.
3. L’aumento del rilascio di dopamina, invece, sembra essere direttamente guidato dall’iperattività di LRRK2 in quel momento. Spegnendo LRRK2, si normalizza subito il rilascio. Questo è fondamentale! Suggerisce che l’iperattività di LRRK2 stia costantemente “spingendo” i neuroni dopaminergici a rilasciare più neurotrasmettitore del dovuto.
Questo non significa che il trasportatore della dopamina (DAT), che normalmente la ricattura, non sia coinvolto (studi precedenti suggerivano un suo ruolo), ma indica che l’inibizione di LRRK2 può normalizzare il rilascio *indipendentemente* da effetti immediati sul DAT o sui recettori D2 (che regolano il rilascio). Forse LRRK2 influisce su come la dopamina viene immagazzinata nelle vescicole prima del rilascio? È un’ipotesi su cui lavorare.
Implicazioni per il Futuro e Speranze Terapeutiche
Perché tutto questo è così affascinante (e potenzialmente utile)? Perché suggerisce che l’iperattività neuronale, questo “sovraccarico” di segnali nello striato, potrebbe essere uno dei primi eventi patologici nel Parkinson causato da mutazioni come VPS35 D620N (e forse anche LRRK2). Questo stress cronico potrebbe, alla lunga, contribuire alla vulnerabilità e alla degenerazione dei neuroni dopaminergici.
La scoperta che l’eccessivo rilascio di dopamina è rapidamente reversibile bloccando LRRK2 è una notizia fantastica. Rafforza l’idea che gli inibitori di LRRK2, attualmente in fase di sviluppo clinico, potrebbero essere davvero benefici nel Parkinson, non solo (si spera) per rallentare la neurodegenerazione, ma anche per correggere le disfunzioni sinaptiche *precoci* che contribuiscono ai sintomi.
Intervenire presto, quando il cervello sta ancora cercando di compensare ma inizia a mostrare segni di “sovraccarico”, potrebbe essere la chiave per modificare realmente il decorso della malattia, specialmente nelle persone portatrici di varianti genetiche predisponenti.
Certo, siamo ancora a livello di ricerca preclinica su modelli animali (e abbiamo studiato solo maschi, un limite da superare), ma ogni passo avanti nella comprensione di questi meccanismi complessi ci avvicina a strategie terapeutiche più mirate ed efficaci. È un percorso lungo, ma la direzione sembra promettente!
Fonte: Springer