Il Paradosso dell’Obesità: Quando i Chili di Troppo Potrebbero Salvare la Vita a Pazienti con Sepsi e Cancro
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, lo ammetto, mi ha sempre affascinato per la sua apparente contraddizione: il cosiddetto “paradosso dell’obesità”. Sì, avete capito bene. In un mondo in cui l’obesità è giustamente vista come un fattore di rischio per un sacco di malattie, ci sono situazioni in cui avere qualche chilo in più sembra, incredibilmente, offrire un vantaggio in termini di sopravvivenza. E se vi dicessi che questo potrebbe valere anche per pazienti che lottano contemporaneamente contro due nemici temibili come la sepsi e il cancro? Sembra pazzesco, vero? Eppure, è proprio quello che un recente studio ha cercato di capire, e i risultati sono a dir poco intriganti.
Sepsi e Cancro: Una Combinazione Pericolosa
Prima di addentrarci nel paradosso, facciamo un passo indietro. La sepsi è una condizione gravissima, una risposta esagerata e sregolata del nostro sistema immunitario a un’infezione, che può portare a un cedimento multiplo degli organi. Pensate che, a livello globale, si stimano circa 50 milioni di casi e 11 milioni di decessi all’anno a causa della sepsi. Dall’altra parte, il cancro, che non ha bisogno di presentazioni, è responsabile di quasi un sesto dei decessi mondiali.
Quando queste due condizioni si incontrano, la situazione si fa ancora più critica. I trattamenti oncologici come chemioterapia, radioterapia e trapianti di midollo osseo possono indebolire il sistema immunitario, aumentando drasticamente il rischio di sepsi. Storicamente, il cancro è implicato in una percentuale significativa di ricoveri per sepsi, e purtroppo la mortalità ospedaliera per sepsi in pazienti oncologici è circa 2,5 volte superiore rispetto a chi ha la sepsi ma non il cancro. Addirittura, quasi il 30% dei decessi per cancro è associato alla sepsi. C’è una sorta di “dialogo” patologico tra le due, entrambe caratterizzate da profondi squilibri nel sistema immunitario.
Il Famoso “Paradosso dell’Obesità”
Ed eccoci al punto: l’obesità. Tradizionalmente, la consideriamo un fattore di rischio per malattie cardiovascolari, diabete e molto altro. Tuttavia, da un po’ di tempo, la ricerca ha iniziato a osservare un fenomeno controintuitivo: in alcune patologie (come insufficienza cardiaca, malattie polmonari croniche, e persino infezioni gravi), un indice di massa corporea (BMI) più elevato sembra associato a una ridotta mortalità. Questo è il “paradosso dell’obesità”. È stato osservato sia nella sepsi che nel cancro, presi singolarmente. Ma cosa succede quando un paziente ha entrambe le condizioni? È quello che lo studio che vi racconto oggi ha voluto esplorare.
Lo Studio: Cosa Hanno Fatto i Ricercatori?
Per capirci qualcosa di più, i ricercatori hanno analizzato i dati di un enorme database chiamato MIMIC IV (Medical Information Mart for Intensive Care IV), che raccoglie informazioni su pazienti ricoverati in terapia intensiva, con un follow-up fino a un anno dopo la dimissione. Hanno selezionato pazienti adulti con diagnosi sia di sepsi (confermata da sospetta infezione e un punteggio SOFA ≥2) sia di cancro. Sono stati esclusi, ad esempio, pazienti al primo ricovero in terapia intensiva, minori, donne incinte o pazienti con BMI estremi.
I pazienti sono stati poi suddivisi in quattro gruppi in base al loro BMI all’ammissione in terapia intensiva, seguendo gli standard dell’OMS:
- Sottopeso (BMI < 18.5 kg/m²)
- Normopeso (BMI 18.5–24.9 kg/m²)
- Sovrappeso (BMI 25–29.9 kg/m²)
- Obesità (BMI ≥ 30 kg/m²)
L’obiettivo primario era valutare la mortalità a 28 giorni, ma hanno guardato anche la mortalità a 6 mesi e a 1 anno, la durata della degenza in terapia intensiva, l’uso di terapia renale sostitutiva continua (CRRT) e di ventilazione invasiva. Per rendere l’analisi ancora più sofisticata, hanno utilizzato tecniche di clustering non supervisionato per identificare diversi “fenotipi” di pazienti, cioè gruppi con caratteristiche cliniche simili, per vedere se l’effetto del BMI sulla mortalità cambiasse tra questi gruppi.

In totale, lo studio ha incluso 3914 pazienti. Di questi, il 4.4% era sottopeso, il 32.8% normopeso, il 38.3% sovrappeso e il 24.5% obeso. Sono emerse differenze significative tra i gruppi BMI per molte variabili, come età, sesso, etnia, tipo di cancro, punteggi di gravità (SOFA, SAPSII), comorbidità come diabete e ipertensione, e vari parametri di laboratorio.
I Risultati: Il Paradosso è Confermato (con qualche distinguo)
Ebbene sì, i risultati sembrano confermare il paradosso dell’obesità anche in questa popolazione così complessa! I pazienti obesi hanno mostrato una mortalità inferiore a 28 giorni, a 6 mesi e a 1 anno. Interessante notare che i pazienti sovrappeso avevano la degenza più breve in terapia intensiva e il minor utilizzo di ventilazione invasiva, mentre l’uso di CRRT aumentava con l’aumentare del BMI.
Analizzando il BMI come variabile continua, i ricercatori hanno identificato un “punto di svolta” a circa 26.3 kg/m²: al di sopra di questo valore, la mortalità tendeva a diminuire. Questo suggerisce che non si tratta semplicemente di “più grasso è, meglio è”, ma che esiste una sorta di “sweet spot” nel sovrappeso/obesità lieve-moderata.
Ma la parte forse più affascinante riguarda i fenotipi. Il clustering ha identificato quattro gruppi distinti di pazienti. Ecco la chicca: l’effetto protettivo dell’obesità era più evidente nei pazienti con punteggi SOFA più bassi (cioè, con una malattia meno grave al momento del ricovero – Cluster 1, 2 e 3). Nel gruppo di pazienti più gravi (Cluster 4, con i punteggi SOFA più alti), questo beneficio dell’obesità non era così significativo, o addirittura assente. Questo ci dice che la gravità della malattia di base gioca un ruolo cruciale e potrebbe “mascherare” o annullare i potenziali benefici del BMI più elevato.
Ad esempio, nel Cluster 3 (pazienti con gravità intermedia), lo stato di sovrappeso è emerso come fattore protettivo indipendente per la mortalità a 6 mesi.
Perché Questo Strano Paradosso? Qualche Ipotesi
Ma come si spiega questo fenomeno? Non c’è una risposta unica e definitiva, ma diverse ipotesi plausibili:
- Riserve energetiche: I pazienti obesi hanno maggiori riserve di energia, che potrebbero aiutarli a sopportare meglio lo stress catabolico (cioè, di “consumo” delle risorse corporee) associato a sepsi e cancro. Lo studio ha infatti trovato livelli di albumina (un indicatore di stato nutrizionale) più alti nei pazienti obesi.
- Bias di selezione nelle cure: È possibile, anche se difficile da dimostrare, che i pazienti obesi ricevano interventi più intensivi e aggressivi, quasi come se si percepisse una maggiore “robustezza” di base.
- Modulazione della risposta immunitaria: L’obesità è spesso associata a uno stato di infiammazione cronica di basso grado. Paradossalmente, questo potrebbe “preparare” o modulare la risposta immunitaria, portando a una reazione infiammatoria acuta meno violenta durante la sepsi.
- Minore apoptosi dei linfociti: I ricercatori hanno notato che i pazienti obesi avevano conte linfocitarie significativamente più alte e un rapporto neutrofili/linfociti (NLR) più basso. L’apoptosi (morte cellulare programmata) dei linfociti è un fattore critico nello sviluppo dell’immunosoppressione nei pazienti con sepsi, che può portare a infezioni secondarie e peggiorare gli esiti a lungo termine. Una migliore conservazione dei linfociti potrebbe quindi contribuire a una migliore sopravvivenza a lungo termine, effetto che lo studio ha effettivamente riscontrato essere più marcato per la mortalità a 6 mesi e 1 anno.

È anche vero che i pazienti obesi nello studio presentavano, all’ammissione, alcuni segni di maggiore gravità o disfunzione d’organo (lattato più alto, pressione sistolica più alta, maggiori alterazioni di enzimi epatici e renali, e maggior uso di CRRT). Questo rende ancora più sorprendente l’osservazione di una migliore sopravvivenza.
Limiti dello Studio e Prospettive Future
Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. Essendo basato su dati di un singolo grande centro, la generalizzabilità dei risultati potrebbe essere limitata. Inoltre, non erano disponibili informazioni dettagliate sugli stadi specifici del cancro, un fattore che sicuramente influenza sia la gravità della sepsi sia la prognosi generale. Immaginate quanto sarebbe interessante poter stratificare i risultati anche in base a questo!
Nonostante ciò, questo studio è davvero importante. Ci offre una valutazione completa del paradosso dell’obesità in una coorte numerosa di pazienti con la terribile accoppiata sepsi-cancro. E, soprattutto, ci mostra che non tutti i pazienti sono uguali: l’identificazione di fenotipi distinti sottolinea quanto sia variabile la risposta e quanto sia cruciale muoversi verso approcci terapeutici sempre più personalizzati.
Insomma, la relazione tra peso corporeo, malattie critiche e sopravvivenza è molto più complessa di quanto potremmo pensare. L’obesità rimane un problema di salute pubblica, ma in contesti specifici e acuti come quello della sepsi in pazienti oncologici, potrebbe nascondere delle dinamiche protettive inaspettate, soprattutto per chi non si presenta in condizioni disperate. Chissà, forse un giorno capiremo così bene questi meccanismi da poterli sfruttare a vantaggio dei pazienti. Per ora, continuiamo a studiare e a meravigliarci delle complessità del corpo umano!
Fonte: Springer
