Immagine fotorealistica al microscopio di batteri Phascolarctobacterium faecium (di colore verde brillante) che interagiscono intimamente con cellule immunitarie intestinali (macrofagi di colore blu e ILCs di colore giallo) su una superficie mucosa. Obiettivo macro 100mm, altissimo dettaglio delle strutture cellulari e batteriche, messa a fuoco precisa sull'interazione, illuminazione controllata da studio per esaltare i dettagli, sfondo leggermente sfocato per dare profondità.

P. faecium: Il Batterio Intestinale che Riprogramma l’Immunità e Sconfigge l’Obesità (almeno nei Topi!)

Ehilà, appassionati di scienza e curiosi del benessere! Oggi vi porto con me in un viaggio affascinante nelle profondità del nostro corpo, precisamente nel nostro intestino, per scoprire un potenziale alleato contro uno dei “big boss” della salute moderna: l’obesità. Tenetevi forte, perché sto per parlarvi di un batterio dal nome un po’ complicato, Phascolarctobacterium faecium, che potrebbe avere un ruolo da protagonista nella lotta ai chili di troppo e alle malattie metaboliche.

Un’indagine su larga scala: chi ha P. faecium sta meglio?

Immaginatevi un detective che setaccia migliaia di indizi. Ecco, più o meno è quello che hanno fatto i ricercatori: hanno analizzato la bellezza di 7.569 metagenomi umani (cioè il DNA di tutte le comunità microbiche intestinali) provenienti da persone di diverse nazionalità, sesso ed età. E cosa hanno scoperto? Che il nostro amico P. faecium era significativamente più presente negli adulti normopeso rispetto a quelli in sovrappeso o obesi. Una coincidenza? Forse, ma abbastanza intrigante da voler scavare più a fondo!

Questa associazione negativa tra P. faecium e l’obesità era robusta, rimanendo valida anche considerando fattori come sesso ed età. Curiosamente, altre specie dello stesso genere Phascolarctobacterium non mostravano questo legame, anzi, una (P. succinatutens) era addirittura più presente negli individui in sovrappeso. Questo ci dice che non tutti i batteri dello stesso “cognome” sono uguali, e P. faecium sembra avere qualcosa di speciale.

Dai dati umani ai topi: la prova del nove

Ok, l’associazione negli umani è interessante, ma per capire se P. faecium ha un ruolo causale, bisogna passare all’azione. E qui entrano in gioco i nostri amici topi da laboratorio. I ricercatori hanno preso un ceppo specifico di P. faecium (il DSM 32890, isolato dalle feci di un soggetto metabolicamente sano) e lo hanno somministrato a topi nutriti con una dieta ricca di grassi e zuccheri (la classica dieta che fa ingrassare, ahimè!).

I risultati? Sorprendenti! I topi trattati con P. faecium:

  • Hanno guadagnato meno peso corporeo.
  • Avevano meno tessuto adiposo (il grasso!).
  • Mostravano una migliore tolleranza al glucosio e livelli di trigliceridi normalizzati.
  • Avevano livelli più bassi di leptina e GIP (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente), ormoni coinvolti nel metabolismo e nell’accumulo di grasso.

E la cosa ancora più sbalorditiva è che questi benefici si sono visti sia somministrando il batterio vivo che pastorizzato (cioè non vitale)! Questo suggerisce che non è tanto la vitalità del batterio a fare la differenza, quanto forse qualche sua componente strutturale.

Per confermare la specificità di P. faecium, è stato fatto un confronto con P. succinatutens nello stesso modello di obesità indotta da dieta. Indovinate un po’? P. succinatutens non ha sortito gli stessi effetti benefici, confermando l’unicità del nostro eroe batterico.

Un gruppo di topi da laboratorio in un ambiente controllato, alcuni normopeso e altri obesi, con un focus su un ricercatore che somministra oralmente un trattamento a un topo. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo per evidenziare l'azione, illuminazione da laboratorio chiara e definita.

Il segreto è nell’immunità: come fa P. faecium a fare la sua magia?

Qui la storia si fa ancora più intrigante. Sembra che P. faecium non agisca direttamente sul metabolismo, ma piuttosto “riaccordi” il nostro sistema immunitario innato, che spesso va in tilt con diete sbilanciate. La dieta ricca di grassi e zuccheri, infatti, tende a creare uno stato infiammatorio nell’intestino. Si è visto che questa dieta aumentava le cellule linfoidi innate di tipo 1 (ILC1), che sono pro-infiammatorie, e alterava l’equilibrio dei macrofagi, favorendo quelli “cattivi” (M1, pro-infiammatori) a scapito di quelli “buoni” (M2, alternativamente attivati, con ruolo anti-infiammatorio e di riparazione).

Ebbene, P. faecium ha invertito questa tendenza! Ha promosso la polarizzazione dei macrofagi M2 e, di conseguenza, ha ridotto l’aumento delle ILC1 indotto dalla dieta. Pensatelo come un direttore d’orchestra che riporta l’armonia in un’orchestra stonata. Questo “reset” immunitario ha portato a una riduzione dell’infiammazione sistemica e al miglioramento dei parametri metabolici.

Un altro dato interessante: gli effetti benefici di P. faecium si sono manifestati anche in topi privi di sistema immunitario adattativo (i topi Rag1-/-), quelli che non hanno cellule B e T mature. Questo conferma che il batterio agisce principalmente sull’immunità innata, in particolare sui macrofagi e sulle ILC1.

Il ruolo chiave dei macrofagi M2 e del segnale TLR2

Per capire se i macrofagi M2 fossero davvero cruciali, i ricercatori hanno usato un trucchetto: hanno somministrato ai topi, insieme a P. faecium, un inibitore della polarizzazione M2 (il GW2580). Risultato? Molti degli effetti benefici del batterio sull’aumento di peso, sull’adiposità e sulla tolleranza al glucosio sono svaniti! Questo dimostra che la capacità di P. faecium di “spingere” i macrofagi verso il fenotipo M2 è fondamentale per i suoi effetti anti-obesità.

Ma come fa P. faecium a parlare con i macrofagi? Esperimenti in vitro (cioè in provetta, con cellule isolate) hanno svelato che il batterio stimola direttamente la differenziazione dei macrofagi in M2 attraverso un recettore chiamato TLR2 (Toll-like receptor 2). Quando questo recettore veniva bloccato con un anticorpo, l’effetto di P. faecium sulla polarizzazione M2 si riduceva drasticamente. Quindi, il batterio “suona il campanello” TLR2 sulla superficie dei macrofagi, e questi rispondono trasformandosi in M2.

E le ILC1? Sembra che i macrofagi M2, una volta attivati da P. faecium, rilascino delle sostanze che a loro volta “calmano” le ILC1, riducendo la loro risposta pro-infiammatoria. Infatti, esponendo le ILC1 direttamente a P. faecium non si ottenevano gli stessi effetti; era necessario il “messaggio” proveniente dai macrofagi stimolati dal batterio.

Visualizzazione 3D di macrofagi M1 (rossi, pro-infiammatori) e M2 (blu, anti-infiammatori) nell'intestino, con batteri P. faecium (verdi) che interagiscono con i recettori TLR2 sui macrofagi. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione che enfatizza l'interazione molecolare, colori contrastanti per distinguere le cellule.

Cosa ci portiamo a casa da questa scoperta?

Questa ricerca è un tassello importantissimo! Ci dice che un singolo commensale intestinale, P. faecium, ha il potenziale per mitigare l’obesità e le malattie metaboliche associate, non tanto cambiando drasticamente tutto il microbiota (anche se qualche effetto benefico su altri batteri amici come Akkermansia muciniphila è stato notato con il batterio vivo), ma agendo in modo mirato sul sistema immunitario innato dell’ospite.

L’idea che un batterio, anche pastorizzato, possa “educare” le nostre cellule immunitarie a rispondere meglio a una dieta ipercalorica è affascinante. Questo apre la strada a potenziali nuove strategie terapeutiche, magari basate sull’uso di questo batterio o dei suoi componenti attivi come “postbiotici” per prevenire o trattare l’obesità.

Certo, siamo ancora nel campo della ricerca preclinica sui topi, e gli studi sull’uomo sono necessari per confermare questi effetti. Inoltre, la ricerca si è concentrata su topi maschi, quindi sarà importante valutare anche le femmine. Tuttavia, i risultati sono estremamente promettenti e ci ricordano ancora una volta quanto sia complesso e meraviglioso l’ecosistema che ospitiamo nel nostro intestino, e quanto sia cruciale per la nostra salute.

Insomma, la prossima volta che penserete alla vostra pancia, ricordatevi che lì dentro c’è un mondo di microrganismi che lavorano (o a volte remano contro) per voi. E chissà, forse un giorno Phascolarctobacterium faecium sarà un nome comune nelle strategie per mantenerci in forma e in salute!

Fonte: Springer

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