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Ozanimod e Sclerosi Multipla: Una Speranza Concreta per la Velocità di Pensiero?

Amici, parliamoci chiaro: quando si convive con la sclerosi multipla (SM), non sono solo le gambe a volte a fare i capricci. Spesso, una delle sfide più subdole e impattanti è il rallentamento cognitivo. Immaginate di avere il cervello che va un po’ a rilento, come un computer che ci mette un’eternità ad aprire un file. Ecco, questa è una realtà per tantissime persone con SM, e può influenzare pesantemente la qualità della vita, il lavoro, le relazioni.

Ma cosa c’entra Ozanimod in tutto questo?

Recentemente, mi sono imbattuto in uno studio molto interessante che ha cercato di capire se un farmaco, l’ozanimod, potesse dare una mano proprio su questo fronte, nel mondo reale, fuori dai laboratori patinati degli studi clinici. L’ozanimod è un modulatore selettivo dei recettori della sfingosina-1-fosfato (S1P), già noto per la sua efficacia nel controllare l’attività di malattia nella sclerosi multipla recidivante-remittente (SMRR). Ma la domanda che ci siamo posti è: fa qualcosa anche per la nostra “centralina”?

Lo studio, condotto in un singolo centro (all’Università di Foggia, per la precisione), ha coinvolto 67 pazienti con SM, in gran parte donne (circa il 75%), che stavano assumendo ozanimod da una media di quasi 18 mesi. Per valutare le loro capacità cognitive, abbiamo usato una batteria di test chiamata BICAMS (Brief International Cognitive Assessment for Multiple Sclerosis). È un po’ come fare un check-up al cervello, e include:

  • Il Symbol Digit Modalities Test (SDMT): questo è il pezzo forte per misurare la velocità di elaborazione delle informazioni. Immaginate di dover associare rapidamente simboli a numeri. Più veloci siete, meglio è!
  • Il California Verbal Learning Test-II (CVLT-II): valuta la memoria verbale, cioè quanto bene ricordiamo parole e liste.
  • Il Brief Visuospatial Memory Test-Revised (BVMT-R): testa la memoria visiva e spaziale, tipo ricordare forme e la loro posizione.

Questi test sono stati somministrati in diversi momenti per vedere se ci fossero cambiamenti nel tempo.

I risultati: una luce in fondo al tunnel?

Ebbene sì, qualcosa di significativo è emerso! L’analisi ha mostrato un miglioramento notevole nei punteggi Z dell’SDMT. In soldoni? I pazienti, in media, sono diventati più veloci nell’elaborare le informazioni. Parliamo di un miglioramento medio di 0.337 (con una deviazione standard di 0.638), che statisticamente è bello robusto (p = 0.00031, per i più tecnici tra voi). Il cosiddetto “Cohen’s d”, che misura la grandezza dell’effetto, era 0.42, indicando un effetto moderato ma clinicamente rilevante. Pensate, il 69.7% dei pazienti ha mostrato un miglioramento nei punteggi SDMT!

Curiosamente, l’unico fattore che sembrava predire quanto un paziente sarebbe migliorato era il suo punteggio SDMT di partenza: chi partiva peggio, tendeva a migliorare di più. Questo fattore da solo spiegava circa il 32.4% della variabilità nel cambiamento. Altri fattori come età, sesso, durata della malattia o il punteggio di disabilità (EDSS) non sembravano fare la differenza in questo contesto. Per quanto riguarda gli altri test del BICAMS, quelli sulla memoria verbale (CVLT-II) e visuo-spaziale (BVMT-R), i punteggi sono rimasti stabili. Non un peggioramento, il che è già buono, ma il vero protagonista qui è stata la velocità di elaborazione.

Primo piano di un cervello stilizzato con ingranaggi luminosi che simboleggiano la velocità di elaborazione, obiettivo macro 80mm, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli, duotone blu e giallo.

Perché questo studio è importante?

Sapete, il deficit cognitivo colpisce tra il 40% e il 70% delle persone con SM. Non è un problema da poco. Parliamo di difficoltà di concentrazione, di memoria, di pianificazione. Trovare trattamenti farmacologici efficaci è stata finora una bella sfida. Questo studio, seppur piccolo e condotto in un solo centro, aggiunge un tassello importante al puzzle, mostrando che l’ozanimod potrebbe avere un impatto positivo sulla velocità di elaborazione delle informazioni nel mondo reale, al di là dei risultati degli studi clinici registrativi come il SUNBEAM.

Nello studio SUNBEAM, ad esempio, i pazienti trattati con ozanimod avevano maggiori probabilità di ottenere un miglioramento di 8 punti nel punteggio SDMT rispetto a quelli trattati con interferone. E anche quando i pazienti del gruppo interferone sono passati a ozanimod, le differenze si sono annullate. Dati a lungo termine (6-7 anni) hanno mostrato che chi ha continuato con ozanimod ha mantenuto una proporzione numericamente più alta di persone con questo miglioramento significativo. Anche altri studi, come l’estensione DAYBREAK e il trial ENLIGHTEN (ancora con dati preliminari), suggeriscono una stabilità o un miglioramento cognitivo con ozanimod.

Questi risultati si allineano anche con quanto osservato con altri modulatori del recettore S1P, come il fingolimod e il siponimod, per i quali studi “real-world” hanno mostrato benefici cognitivi, specialmente nella velocità di elaborazione misurata con l’SDMT.

Certo, non è tutto oro quello che luccica (le limitazioni)

Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. Il campione di 67 pazienti non è enorme, e il fatto che sia stato condotto in un unico centro potrebbe limitare la generalizzabilità dei risultati. Inoltre, non c’era un gruppo di controllo (cioè pazienti con SM non trattati con ozanimod o trattati con placebo/altro farmaco), quindi è difficile dire con certezza assoluta che i miglioramenti siano dovuti esclusivamente all’ozanimod e non, ad esempio, a un effetto “pratica” (diventare più bravi a fare i test semplicemente ripetendoli) o alla naturale variazione della malattia.

Altre variabili, come eventuali disturbi dell’umore non diagnosticati (comuni nella SM e che possono influenzare le performance cognitive), o l’eterogeneità della malattia e altri trattamenti concomitanti, non sono state esplorate a fondo. E, naturalmente, un periodo di follow-up più lungo sarebbe stato utile per vedere se questi benefici cognitivi si mantengono nel tempo.

Cosa ci portiamo a casa?

Nonostante queste cautele, i risultati sono incoraggianti! Questo studio fornisce ulteriori prove “dal campo” che il trattamento con ozanimod può essere associato a un miglioramento significativo della velocità di elaborazione delle informazioni nelle persone con sclerosi multipla recidivante-remittente. Il fatto che questo miglioramento sembri indipendente da fattori prognostici tradizionali è particolarmente interessante e potrebbe avere implicazioni su come scegliamo i trattamenti.

È un passo avanti, che ci dice che forse stiamo iniziando a trovare delle armi per combattere anche questo aspetto così invalidante della SM. Certo, la strada è ancora lunga. Serviranno studi più ampi, multicentrici, con periodi di osservazione più estesi e gruppi di controllo, per confermare e caratterizzare meglio questi benefici cognitivi. Ma ogni piccolo passo conta, e questo sembra andare nella direzione giusta, offrendo una speranza in più per migliorare la vita quotidiana di chi affronta la sclerosi multipla.

Fotografia di un gruppo diversificato di persone che partecipano a un test cognitivo in un ambiente clinico luminoso e moderno, obiettivo prime 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco i partecipanti, bianco e nero con alto contrasto.

Fonte: Springer

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