Un cuore di ratto isolato, rosso vivo e sano, montato su una cannula aortica all'interno di una camera di perfusione Langendorff in vetro. Si vedono tubicini trasparenti che trasportano il perfusato. Illuminazione da laboratorio brillante e focalizzata sul cuore. Obiettivo macro, 60mm, alta definizione dei dettagli anatomici del cuore e delle goccioline di liquido sulla sua superficie.

Cuore Sotto Pressione (Controllata!): Come Stiamo Rivoluzionando la Ricerca Cardiaca con la Perfusione Langendorff

Amici scienziati e curiosi di scienza, mettetevi comodi! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore (letteralmente!): come stiamo cercando di fare passi da gigante nella ricerca sulle malattie cardiovascolari (CVD). Sapete, nonostante i progressi, queste malattie restano la prima causa di morte al mondo. Negli Stati Uniti, parliamo di oltre 900.000 decessi all’anno. Cifre da capogiro che ci spingono a cercare soluzioni sempre più efficaci.

Il punto è che, a volte, i modelli di studio che usiamo nella ricerca di base non sono proprio il top. Le linee cellulari cardiache, per quanto comode da gestire, sono un po’ troppo “artificiali” e non riescono a replicare la complessità tridimensionale e l’ambiente del nostro cuore. D’altro canto, gli esperimenti su animali interi, pur essendo biologicamente accurati, introducono una complessità che, nelle fasi iniziali della ricerca, può essere un ostacolo. E allora, che si fa?

Langendorff: Un Vecchio Amico con Nuovi Trucchi

Ecco che entra in gioco un mio “vecchio amico”: il sistema di perfusione ex vivo di cuori isolati di roditore, meglio noto come apparato di Langendorff. Immaginate di poter studiare un cuore che batte fuori dal corpo, mantenendolo vivo e funzionante grazie a una soluzione nutritiva che lo irrora attraverso le coronarie. Questo sistema ci offre il giusto compromesso: l’accuratezza biologica di un organo intero, ma senza le complicazioni date dai riflessi nervosi o dai contributi ormonali dell’intero organismo. In pratica, possiamo vedere gli effetti diretti di uno stimolo sulla funzione e sull’omeostasi cardiaca. Una vera manna dal cielo!

La cosa che mi affascina di più è la sua versatilità. Possiamo modificare un sacco di parametri: il tipo di perfusato (la soluzione nutritiva), la velocità del flusso, la pressione coronarica, la temperatura… Insomma, possiamo “cucire” l’esperimento su misura per le nostre esigenze. Eppure, per anni, ci siamo un po’ fossilizzati sull’usare parametri che imitassero strettamente le condizioni fisiologiche (pressioni tra 60 e 80 mmHg, temperatura a 37°C), senza chiederci se fossero sempre la scelta migliore per quel particolare esperimento.

Nel nostro lavoro, abbiamo voluto esplorare proprio questo: come la modifica di questi parametri influenzi la vitalità, la funzionalità e i marcatori di danno del cuore. L’obiettivo? Creare una sorta di “manuale d’uso” per aiutare i ricercatori a scegliere i parametri giusti per massimizzare il potenziale della tecnica in base ai loro specifici bisogni.

Pressione Alta vs. Pressione Bassa: Questione di Obiettivi

Una delle prime cose che abbiamo analizzato è stata la pressione di perfusione. Abbiamo scoperto che usare pressioni fisiologiche (60-80 mmHg) porta a un aumento della pressione sviluppata dal ventricolo sinistro (LV). Questo è ottimo se il nostro scopo è valutare la funzionalità dell’organo, per vedere “quanto forte pompa”. Però, c’è un rovescio della medaglia: nel tempo, questa pressione elevata porta a una perdita di funzione. Quindi, è ideale per “fotografare” lo stato del cuore, ma non per esperimenti lunghi.

Al contrario, se usiamo pressioni più basse del normale (30-35 mmHg), la pressione ventricolare sinistra diminuisce, ma – ed è questo il bello – si previene la perdita di funzione nel tempo. Questo scenario è perfetto quando abbiamo bisogno di tempi di perfusione più lunghi, magari per testare un farmaco per diverse ore o per studi di conservazione d’organo.

Un cuore di roditore isolato, rosso vivo e sano, montato su una cannula aortica all'interno di una camera di perfusione Langendorff in vetro. Si vedono tubicini trasparenti che trasportano il perfusato. Illuminazione da laboratorio brillante e focalizzata sul cuore. Obiettivo macro, 60mm, alta definizione dei dettagli anatomici del cuore e delle goccioline di liquido sulla sua superficie.

Quindi, già qui capiamo che non esiste un “meglio” assoluto, ma un “meglio per…”.

Globuli Rossi nel Perfusato: Servono Davvero?

Un altro grande dibattito riguarda l’uso di trasportatori di ossigeno nel perfusato, come i globuli rossi concentrati (pRBCs). L’idea comune è che senza di essi, il cuore non riceva abbastanza ossigeno e vada in ischemia moderata. Noi abbiamo voluto vederci chiaro.

Abbiamo confrontato cuori perfusi con soluzioni acellulari (senza pRBCs) e cellulari (con pRBCs). Sorprendentemente, anche se i cuori con perfusato acellulare mostravano un tasso di consumo di ossigeno inferiore, non c’erano differenze significative nei livelli di carica energetica adenilata (un indicatore dello stato energetico delle cellule). Questo suggerisce che, almeno nel modello di roditore, il perfusato acellulare riesce a fornire abbastanza ossigeno. Come? Probabilmente grazie alle altissime pressioni parziali di ossigeno che raggiungiamo con l’ossigenazione artificiale del perfusato (oltre 4 volte quelle fisiologiche!).

L’uso dei pRBCs, però, ha mostrato qualche lato oscuro. Indipendentemente dalla pressione di perfusione, abbiamo osservato un aumento significativo dei livelli di lattato nel tempo, cosa che non accadeva con il perfusato acellulare. I globuli rossi sono grandi produttori di lattato, e questo può confondere le acque se usiamo il lattato come marcatore di salute del cuore. Inoltre, la resistenza vascolare coronarica era più alta nei cuori perfusi con pRBCs.

La combinazione di pRBCs e basse pressioni di perfusione (e quindi bassi flussi) si è rivelata particolarmente problematica, portando a un danno d’organo e a un’attivazione infiammatoria significativi. Questo potrebbe essere dovuto all’aggregazione dei globuli rossi, favorita dai bassi tassi di scorrimento e dalla presenza di albumina bovina (usata per ridurre l’edema) nel perfusato. Abbiamo visto livelli più alti di troponina I (un marcatore di danno cardiaco) e di proteine pro-infiammatorie come ICAM, IL-6 e CXCL1.

C’è da dire che questi effetti negativi dei pRBCs potrebbero essere esacerbati dalle dimensioni ridotte del sistema vascolare dei roditori. In mammiferi più grandi, i trasportatori di ossigeno potrebbero essere necessari, specialmente per la perfusione in modalità “working-heart” (dove il cuore pompa attivamente contro una resistenza).

Il Tocco Farmacologico: Adenosina e Adrenalina

La bellezza della perfusione ex vivo è anche la possibilità di aggiungere farmaci direttamente nel sistema. Abbiamo testato l’adenosina, un noto vasodilatatore. La sua somministrazione, in combinazione con basse pressioni di perfusione, ha ridotto la resistenza vascolare e ha quasi completamente evitato la formazione di edema cardiaco. Non solo: l’adenosina sembra avere anche un ruolo anti-infiammatorio, riducendo il rilascio di citochine e molecole di adesione. Un vero toccasana per mantenere il cuore in condizioni ottimali durante la perfusione!

Due cuori di roditore perfusi fianco a fianco in un sistema Langendorff; uno con perfusato trasparente (acellulare) e l'altro con perfusato rossastro (contenente pRBCs). Obiettivo macro, 70mm, illuminazione da laboratorio brillante, focus preciso sulla differente colorazione del perfusato e sulla superficie dei cuori.

Poi abbiamo provato l’adrenalina (epinefrina), un inotropo, spesso usato per aumentare la forza contrattile. In effetti, l’infusione continua di adrenalina ha portato a una frequenza cardiaca, una pressione ventricolare sinistra, una contrattilità e un rilassamento maggiori rispetto ai cuori non trattati (a parità di bassa pressione di perfusione). Tuttavia, simile a quanto visto con le alte pressioni di perfusione, questa “super-performance” indotta dall’inotropo ha portato a una perdita di funzione cardiaca nel tempo. Inoltre, abbiamo osservato un aumento del rilascio di proteine associate ai miociti cardiaci (come la troponina I) e un accumulo di lattato, suggerendo un certo stress per l’organo in queste condizioni non fisiologiche.

Cosa Abbiamo Imparato (e Cosa Significa per il Futuro)

Questo studio, per me, è la dimostrazione lampante di quanto sia cruciale personalizzare i protocolli di perfusione. Non c’è una ricetta unica che vada bene per tutti gli esperimenti.

  • Se il nostro obiettivo è preservare l’organo per tempi lunghi (magari per testare terapie geniche o farmaci a lento rilascio), allora pressioni più basse e un perfusato acellulare, magari con aggiunta di adenosina, sembrano la scelta ideale per minimizzare il danno e l’infiammazione.
  • Se, invece, vogliamo valutare la funzionalità cardiaca “al massimo”, allora pressioni più alte e, potenzialmente, l’uso di trasportatori di ossigeno (con le dovute cautele) potrebbero essere più indicati, accettando una durata di perfusione più limitata.
  • Se vogliamo studiare risposte immunogeniche, possiamo modulare l’ambiente: usare globuli rossi o sangue intero per una risposta più spiccata, o perfusati acellulari e adenosina per minimizzarla.

Certo, ci sono differenze tra i cuori di roditore e quelli umani, quindi non possiamo traslare questi risultati direttamente sull’uomo. Ma questo lavoro getta le basi, evidenzia l’importanza di una selezione oculata dei parametri e può guidare la ricerca su modelli più complessi, come i mammiferi di grossa taglia, avvicinandoci sempre di più a protocolli ottimizzati per la perfusione e la valutazione del cuore umano.

Insomma, la perfusione Langendorff è uno strumento potente, e imparare a “dialogare” con esso, regolando finemente i suoi parametri, ci permette di ottenere risultati scientifici sempre più solidi e significativi. E questo, amici miei, è un passo fondamentale per vincere la battaglia contro le malattie cardiovascolari. La strada è ancora lunga, ma ogni piccolo, ragionato, passo avanti conta!

Primo piano di una siringa da pompa che infonde lentamente un farmaco (adenosina o epinefrina) in una linea di perfusione collegata a un cuore di Langendorff. Macro lens, 90mm, profondità di campo ridotta per mettere a fuoco la goccia di farmaco che entra nel tubo, sfondo leggermente sfocato del cuore.

Fonte: Springer

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