OTEC: L’Energia Nascosta degli Oceani che Potrebbe Salvare il Clima!
Amici, preparatevi perché oggi vi porto a fare un tuffo in un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, credetemi, ha del rivoluzionario: l’energia termica oceanica, o come la chiamano gli addetti ai lavori, OTEC (Ocean Thermal Energy Conversion). Immaginate di poter attingere a una fonte di energia pulita, costante e immensa, nascosta proprio sotto la superficie dei nostri mari. Sembra fantascienza? E invece no, è una realtà su cui la scienza sta lavorando sodo, e i risultati sono a dir poco promettenti!
Ma cos’è esattamente l’OTEC e come funziona questa magia?
Ve lo spiego in parole povere. L’OTEC sfrutta una cosa semplicissima: la differenza di temperatura tra le acque superficiali calde degli oceani, scaldate dal sole, e quelle fredde che si trovano in profondità. Pensate ai tropici: in superficie l’acqua può essere bella calda, mentre a 1000 metri sotto il livello del mare è gelida. Questa differenza di temperatura è il motore dell’OTEC.
Esistono principalmente due tipi di sistemi OTEC:
- Ciclo aperto: l’acqua di mare calda superficiale viene fatta evaporare sotto vuoto. Il vapore prodotto fa girare una turbina (che genera elettricità!) e poi viene condensato usando l’acqua fredda di profondità. Il bello? Come sottoprodotto si ottiene acqua desalinizzata, un tesoro preziosissimo in molte parti del mondo!
- Ciclo chiuso: qui si usa un fluido di lavoro con un basso punto di ebollizione, come l’ammoniaca. L’acqua calda superficiale fa evaporare questo fluido, il vapore aziona la turbina, e l’acqua fredda di profondità lo ricondensa per ricominciare il ciclo.
Certo, non è tutto rose e fiori. La tecnologia OTEC ha un’efficienza termodinamica relativamente bassa, circa il 3%, e richiede di pompare enormi volumi d’acqua. Questo significa che i costi iniziali possono essere alti, e infatti il suo costo livellato dell’energia (LCOE) è ancora superiore a quello del solare fotovoltaico o dell’eolico onshore. Ma, e c’è un grosso “ma”, l’OTEC può fornire energia di base continua, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a differenza di sole e vento che sono intermittenti. E se consideriamo i benefici aggiuntivi come l’acqua desalinizzata o il potenziale per alimentare attività come l’acquisizione diretta di CO2, il quadro cambia.
Un potenziale energetico da capogiro e un alleato contro il cambiamento climatico
Ora tenetevi forte, perché i numeri sono impressionanti. Secondo recenti studi, basati su simulazioni climatiche complesse che si estendono per secoli, l’OTEC potrebbe arrivare a produrre brevemente oltre 35 Terawatt (TW) di potenza! Per darvi un’idea, nel 2021 il consumo globale di energia elettrica era di circa 20 TW. Certo, per essere sostenibile su scale temporali millenarie, si parla di una produzione massima tra i 5 e i 10 TW, a seconda dello stato del clima. Un clima più caldo, paradossalmente, ridurrebbe il potenziale sostenibile dell’OTEC a lungo termine, perché anche le acque profonde tendono a riscaldarsi, diminuendo il gradiente termico.
Ma la vera bomba è il suo potenziale di mitigazione del cambiamento climatico. Immaginate di implementare l’OTEC su larga scala. Le simulazioni, considerando uno scenario ad alte emissioni (il famigerato RCP8.5), mostrano che l’energia prodotta dall’OTEC, con picchi di generazione tra i 3 e i 15 TW entro il 2100, potrebbe portare a una riduzione cumulativa delle emissioni equivalente al 36% – 111% delle emissioni storiche di carbonio (dal 1750 al 2023) rispetto a uno scenario senza OTEC. Avete letto bene! Questo, unito al mescolamento delle acque indotto dall’OTEC, potrebbe portare a una diminuzione della temperatura atmosferica media globale fino a 2.5 °C entro il 2100 e fino a 4 °C entro il 2500, rispetto a un mondo senza OTEC.

Il modello utilizzato per queste simulazioni, l’UVic ESCM (University of Victoria Earth System Climate Model), è uno strumento sofisticato che considera le interazioni tra oceano, atmosfera, ghiaccio marino e ciclo del carbonio. Gli impianti OTEC sono stati modellati come piattaforme galleggianti autonome, che prelevano acqua fredda da circa 1100 metri di profondità e acqua calda superficiale, rilasciando poi l’acqua mista a circa 20 metri di profondità. Questo processo di “upwelling artificiale” ha effetti complessi: da un lato, porta in superficie acque ricche di nutrienti, potenziando la produttività biologica e l’assorbimento di CO2 da parte dell’oceano; dall’altro, potrebbe rilasciare CO2 disciolta nelle acque profonde. Tuttavia, le simulazioni indicano che circa il 90% della riduzione di CO2 atmosferica è dovuta alla sostituzione dei combustibili fossili, e solo il 10% agli effetti diretti del mescolamento oceanico.
Come si traduce tutto questo in pratica?
Gli studi hanno esplorato diversi scenari di implementazione. Ad esempio, per raggiungere un obiettivo di 10 TW entro il 2100, gli impianti OTEC si concentrerebbero inizialmente nel “Warm Pool” Indo-Pacifico, dove i gradienti termici sono maggiori. Con il tempo, e con l’esaurimento locale dei gradienti, la distribuzione degli impianti diventerebbe più diffusa. Per darvi un’idea della scala, per un obiettivo di 15 TW al picco di dispiegamento, si parlerebbe di circa 150.000 impianti! Ogni impianto, per produrre circa 100 MW, necessiterebbe di un flusso d’acqua di circa 314 m³/s.
È interessante notare che la capacità di sostenere una certa produzione di energia dipende molto dallo stato del clima. Con le condizioni climatiche dell’anno 2000, l’oceano potrebbe sostenere 10 TW per quasi 1000 anni. Con le condizioni più calde previste per il 2300 (scenario RCP8.5), questo periodo si ridurrebbe a circa 180 anni. Questo ci dice che prima agiamo, meglio è, anche per massimizzare il rendimento di tecnologie come l’OTEC.
Il raffreddamento atmosferico indotto dall’OTEC ha due motori principali:
- Maggiore assorbimento di calore da parte degli oceani superficiali nelle aree di mescolamento indotto dall’OTEC.
- Riduzione delle emissioni di carbonio grazie alla sostituzione dei combustibili fossili.
Mentre l’OTEC è pienamente operativo, il mescolamento contribuisce per circa il 60% al raffreddamento, e la riduzione delle emissioni per il restante 40%. A lungo termine, una volta che la produzione OTEC diminuisce (perché la domanda di mitigazione si riduce in uno scenario con meno emissioni globali), quasi tutto il raffreddamento residuo è dovuto alle emissioni evitate in passato.
Sfide e prospettive future
Certo, le sfide ingegneristiche ed economiche per un’implementazione su vasta scala dell’OTEC sono enormi, e non dobbiamo dimenticare i potenziali impatti ambientali locali che andrebbero attentamente valutati. Servirebbero probabilmente sussidi significativi per avviare una tale transizione. Tuttavia, i benefici potrebbero essere immensi.
Pensateci: una fonte di energia rinnovabile continua, capace di ridurre drasticamente le nostre emissioni e di contribuire attivamente a raffreddare il pianeta. Non sto dicendo che l’OTEC sia la panacea per tutti i mali, ma le prime indicazioni suggeriscono che potrebbe dare un contributo sostanziale alla mitigazione del cambiamento climatico. È una di quelle tecnologie che meritano tutta la nostra attenzione e i nostri investimenti in ricerca e sviluppo.
Io sono affascinato da questo potenziale nascosto nelle profondità blu. È come se l’oceano stesso ci offrisse una chiave per rimediare ai danni che abbiamo causato. Chissà, forse il futuro energetico del nostro pianeta è davvero scritto nell’acqua.

È chiaro che modelli climatici come l’UVic ESCM, pur essendo strumenti potentissimi, hanno delle semplificazioni (ad esempio, l’atmosfera è molto parametrizzata e non include feedback complessi dalle nuvole). Quindi, ulteriori studi con modelli ancora più completi saranno necessari per affinare queste stime. Ma una cosa è certa: l’OTEC ha aperto una finestra su un futuro potenzialmente più fresco e sostenibile. E questa, amici miei, è una speranza a cui vale la pena aggrapparsi!
Fonte: Springer
