Osteopetrosi e Protesi d’Anca: Un Viaggio Complesso tra Revisioni Multiple e Sfide Chirurgiche
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi nel mondo complesso e affascinante dell’ortopedia, parlando di una condizione rara ma che pone sfide enormi: l’osteopetrosi, conosciuta anche come la “malattia delle ossa di marmo”. Immaginate ossa così dense da sembrare, appunto, marmo, ma allo stesso tempo incredibilmente fragili. Sembra un controsenso, vero? Eppure, è proprio questa la realtà per chi convive con questa patologia ereditaria.
Cos’è l’Osteopetrosi? La Malattia delle Ossa di Marmo
Identificata per la prima volta nel lontano 1904, l’osteopetrosi è causata da un difetto nel funzionamento degli osteoclasti, le cellule che normalmente riassorbono il tessuto osseo vecchio per far spazio a quello nuovo. Se questo processo non funziona a dovere, l’osso diventa universalmente denso, rigido e, paradossalmente, più incline a fratturarsi.
Esistono diverse forme di osteopetrosi:
- Una forma autosomica recessiva grave, spesso legata a problemi infantili e mortalità precoce.
- Una forma intermedia autosomica recessiva.
- Una forma autosomica dominante (ADO), più benigna, che permette una vita relativamente normale (fino al 40% dei pazienti può essere asintomatico).
La forma ADO si divide ulteriormente in tipo I e tipo II. È soprattutto il tipo II a interessarci oggi, perché è più frequentemente associato a fratture, coxa vara (un’anomalia dell’anca), incurvamento delle ossa lunghe, osteomielite (infezione ossea) e, soprattutto, osteoartrosi.
L’Artrosi e la Necessità della Protesi d’Anca (THA)
Nei pazienti con osteopetrosi ADO tipo II, l’artrosi dell’anca tende a manifestarsi precocemente, spesso dopo i 40 anni. La causa? L’osso subcondrale (quello appena sotto la cartilagine) è così rigido da comprimere e danneggiare la cartilagine articolare stessa. Quando i farmaci antidolorifici non bastano più, l’unica soluzione per alleviare il dolore e ripristinare la mobilità è l’intervento di artroplastica totale d’anca (THA), ovvero l’impianto di una protesi.
Il problema è che questi pazienti spesso necessitano della protesi in età relativamente giovane. E cosa significa questo? Significa che la probabilità di dover affrontare, nel corso della vita, una o più chirurgie di revisione (cioè la sostituzione della protesi usurata o fallita) aumenta drasticamente. Purtroppo, questo aspetto viene spesso sottovalutato, forse perché i risultati della prima protesi a breve e medio termine sono generalmente buoni.
Il Caso Clinico: Una Storia Lunga 24 Anni di Revisioni
Voglio raccontarvi, per farvi capire meglio la portata del problema, il caso di un paziente con osteopetrosi che abbiamo seguito. Un uomo di 62 anni con una storia medica segnata da innumerevoli interventi di revisione. Tutto inizia nel 1976 con dolori bilaterali all’anca e la diagnosi di osteopetrosi. Nel 2000, a causa di un’artrosi invalidante, si sottopone a protesi d’anca bilaterale. Il dolore migliora significativamente, ma è solo l’inizio di un lungo percorso.
Già nel 2009, entrambe le protesi devono essere revisionate per allentamento della componente acetabolare (la “coppa” della protesi nel bacino). Durante la revisione destra, subisce anche una frattura periprotesica del femore. Passano gli anni, e nel 2015 è di nuovo il turno dell’anca destra: dolore, mobilità ridotta. La radiografia conferma l’allentamento asettico (non infetto) della coppa. Altro intervento di revisione, complesso, con rimozione della vecchia protesi, pulizia del cemento, impianto di una coppa “jumbo” (più grande) fissata con viti e innesto osseo.

Arriviamo al 2023. Ora è l’anca sinistra a dare problemi: dolore, limitazione dei movimenti. La diagnosi è ancora una volta l’allentamento della protesi acetabolare. Si procede con un nuovo intervento di revisione a sinistra. Si rimuove la vecchia coppa, si allarga la cavità acetabolare, si posizionano degli “augment” in metallo trabecolare (strutture che aiutano a colmare i difetti ossei) fissati con cemento osseo, e si impianta una nuova coppa. Sembra fatta, ma purtroppo insorge una complicanza: un danno al nervo peroneo comune, che causa una caduta del piede sinistro (il paziente non riesce a sollevarlo).
Le Sfide della Chirurgia di Revisione nell’Osteopetrosi
Perché tutte queste revisioni? E perché sono così complesse? La chirurgia di revisione in un paziente con osteopetrosi è un vero incubo per l’ortopedico. L’osso è:
- Estremamente denso: rende difficile perforare, alesare (allargare le cavità) e preparare l’osso per accogliere la nuova protesi. Gli strumenti normali faticano, si surriscaldano, si usurano rapidamente.
- Incredibilmente fragile: nonostante la densità, l’osso è meno elastico e più incline a fratturarsi durante l’intervento.
- Con ridotta capacità di guarigione: il rimodellamento osseo patologico rende più difficile l’osteointegrazione (l’adesione dell’osso alla protesi) e la guarigione delle fratture o degli innesti.
- Problematico con il cemento: Nel nostro caso, sono state usate spesso componenti cementate. Il cemento offre stabilità immediata, ma nell’osso osteopetrotico denso, l’interfaccia cemento-osso potrebbe essere meno duratura nel tempo. La penetrazione del cemento nell’osso può essere difficoltosa, compromettendo la tenuta a lungo termine. Infatti, nonostante la letteratura non riporti molti casi di fallimento di coppe cementate in osteopetrosi (ma spesso con follow-up brevi), nel nostro paziente abbiamo assistito a ripetuti allentamenti proprio della componente acetabolare cementata.
Questi fattori aumentano esponenzialmente il rischio di fallimento dell’impianto e la necessità di ulteriori, e sempre più difficili, revisioni. Ogni intervento comporta perdita di tessuto osseo, rendendo la revisione successiva ancora più complessa.
Tecniche Innovative: Augment Trabecolari e il Componente Triflange Personalizzato (CTAC)
Dopo l’intervento del 2023 all’anca sinistra, la situazione precipita. Solo due settimane dopo, la radiografia mostra un nuovo allentamento della coppa acetabolare appena impiantata con gli augment trabecolari. Due mesi dopo, si rompe addirittura una delle viti. Un fallimento rapidissimo, forse dovuto alla scarsa adesione tra osso e cemento nell’osso iperdenso, o a un orientamento non ottimale delle viti rispetto alle linee di carico.
Di fronte a un difetto osseo acetabolare ormai massivo e a una storia di fallimenti ripetuti, ci siamo trovati davanti a una sfida enorme. Abbiamo deciso di ricorrere a una soluzione estrema e altamente personalizzata: un Componente Acetabolare Triflange Customizzato (CTAC).

Cos’è un CTAC? È una protesi acetabolare realizzata su misura per il singolo paziente, basata su una TAC ad alta risoluzione del suo bacino. Viene creato un modello 3D del bacino e la protesi viene progettata con tre flange (alette) che si ancorano saldamente all’osso residuo dell’ileo, dell’ischio e del pube. È una soluzione riservata ai casi più complessi di perdita ossea acetabolare, spesso dopo multiple revisioni. Per quanto ne sappiamo, questo potrebbe essere il primo caso riportato di utilizzo di un CTAC in un paziente con osteopetrosi.
L’Intervento con CTAC: Procedura e Risultati a Breve Termine
Il paziente ha dovuto attendere tre mesi per la produzione della protesi su misura e del modello 3D, periodo durante il quale non ha potuto caricare sull’arto sinistro. L’intervento è stato eseguito nuovamente per via posterolaterale. Abbiamo rimosso la protesi fallita, gli augment e le viti. Durante l’intervento, abbiamo scoperto che il nervo sciatico era parzialmente intrappolato nel tessuto cicatriziale e abbiamo dovuto liberarlo con molta cautela.
Nonostante l’alesaggio, il difetto osseo era ancora enorme. Abbiamo quindi utilizzato due teste femorali da donatore (allograft) per ricostruire parte della parete acetabolare. Successivamente, abbiamo impiantato la coppa CTAC su misura, fissandola con ben sette viti e rinforzandola ulteriormente con cemento osseo. Infine, abbiamo inserito l’inserto in polietilene e la testina femorale in ceramica, riducendo l’anca.
Dopo l’intervento, il paziente ha dovuto rispettare un periodo di 3 mesi senza carico. Successivamente, ha iniziato a camminare con carico parziale utilizzando un deambulatore. A quattro mesi dall’intervento, camminava senza dolore con il deambulatore, e le radiografie mostravano un inizio di consolidamento osseo. Il suo punteggio funzionale (Harris Hip Score) era di 67.25/100, un risultato discreto considerando la complessità del caso. Purtroppo, però, il problema al nervo peroneo persisteva, con incapacità di muovere attivamente la caviglia e il piede sinistro e formicolio alla pianta. Per questo, continua a usare un tutore AFO (Ankle-Foot Orthosis) e farmaci neurotrofici.
Limiti, Rischi e Prospettive Future
L’uso del CTAC rappresenta una frontiera affascinante per i casi più disperati, ma non è privo di limiti e rischi, specialmente in un osso “difficile” come quello osteopetrotico:
- Complessità chirurgica: Richiede pianificazione meticolosa e precisione assoluta.
- Alto tasso di complicanze: Allentamento delle viti, fratture pelviche, infezioni, lussazioni sono rischi concreti.
- Guarigione ossea compromessa: L’osteopetrosi aumenta il rischio di complicanze.
- Costi elevati: La personalizzazione ha un prezzo.
- Dati a lungo termine limitati: Non sappiamo ancora quale sia la durata di queste protesi nel tempo, soprattutto in pazienti con osteopetrosi.
Quindi, il CTAC va considerato con cautela, come un’opzione di salvataggio.
In conclusione, la gestione dell’artrosi d’anca nei pazienti con osteopetrosi tramite THA è un percorso lungo e potenzialmente costellato di revisioni multiple. Non esiste ancora una soluzione definitiva. La ricerca futura dovrà concentrarsi su:
- Trattamenti medici: Trovare farmaci che possano prevenire o ritardare l’artrosi in questi pazienti.
- Miglioramenti chirurgici: Sviluppare materiali e strumenti più adatti a questo tipo di osso e affinare le tecniche chirurgiche.
Per ora, la THA rimane uno strumento prezioso per migliorare la qualità di vita, ma richiede un’attenta pianificazione e la consapevolezza delle possibili complicanze. Serviranno altri studi e follow-up più lunghi per definire il trattamento ottimale per questi pazienti unici e complessi.
Fonte: Springer
