Primo piano di un antico manufatto osseo armeno, forse uno spillone decorato, con un ricercatore che preleva delicatamente un campione usando una pellicola per lucidatura. Macro lens, 90mm, high detail, controlled lighting, sfondo leggermente sfocato di altri reperti.

Ossa Antiche Svelano Segreti: Il “CSI” Archeologico Rivela le Specie Usate in Armenia

Avete presente quei reperti ossei che vediamo nei musei, magari strumenti, ornamenti, frammenti lavorati da mani antichissime? Mi sono sempre chiesto: ma di che animale erano fatti? E soprattutto, cosa ci può raccontare quella scelta? Beh, oggi vi porto con me in un’avventura scientifica che risponde proprio a queste domande, usando una specie di “CSI” per le ossa antiche!

Il problema, vedete, è che quando un osso viene trasformato in un manufatto – pensate a un punteruolo, una perlina, o persino un manico – spesso viene talmente lavorato, levigato, inciso, che perde tutte quelle caratteristiche che ci permetterebbero di dire: “Ah, questo era un bovino!” o “Questo apparteneva a una pecora!”. E così, un sacco di informazioni preziose sulle interazioni tra i nostri antenati e il mondo animale, sulle loro tecnologie e persino sulle loro credenze, rischiano di andare perdute.

Il Dilemma degli Archeologi: Ossa Mute?

Per anni, noi archeologi ci siamo dovuti accontentare di classificazioni generiche, tipo “mammifero di grossa taglia” o, se andava bene, “caprino” (cioè pecora o capra, chi lo sa!). Questo è particolarmente vero per regioni ricche di storia come il Caucaso Meridionale, e l’Armenia in particolare. Qui, l’uso di osso, corno e denti per creare oggetti utili e simbolici inizia già nel Paleolitico Medio, ma è dal Neolitico Tardo (parliamo di 6000-5200 a.C.!) che la produzione esplode in quantità e varietà: lisciatoi, strumenti appuntiti, oggetti da taglio, e ornamenti personali di ogni foggia.

Finora, gli studi si sono concentrati molto sulla tipologia e sulla tecnologia di questi oggetti, ma sapevamo pochissimo sulla materia prima. Quali animali venivano scelti? E perché proprio quelli? Immaginate un osso trasformato in un elegante pettine o in un robusto arpione: la forma ci dice molto sulla sua funzione, ma l’identità dell’animale da cui proviene potrebbe svelarci strategie di caccia, pratiche di allevamento, rotte commerciali o persino significati simbolici.

ZooMS: La Nostra Lente d’Ingrandimento Molecolare

Ed è qui che entra in gioco la protagonista della nostra storia: una tecnica fichissima chiamata ZooMS, acronimo che sta per Zooarchaeology by Mass Spectrometry. In pratica, è come ottenere un’impronta digitale molecolare dal collagene, la proteina principale presente nelle ossa. Ogni specie animale ha una sequenza di amminoacidi leggermente diversa nel suo collagene, e la ZooMS è in grado di “leggere” queste differenze.

La cosa ancora più straordinaria è che, per il nostro studio su reperti armeni che vanno dal Neolitico Tardo fino all’Età del Ferro, abbiamo usato una versione minimamente invasiva di questa tecnica. Niente più trapanare o tagliare pezzetti preziosi di manufatti unici! Abbiamo utilizzato delle speciali pellicole abrasive sottilissime (pensate a una specie di carta vetrata super delicata) per raccogliere una quantità infinitesimale di polvere d’osso dalla superficie del reperto. Un metodo così delicato che, a occhio nudo o con un ingrandimento modesto (50x), è quasi impossibile vedere dove siamo intervenuti. Questo è fondamentale quando si lavora con collezioni museali, dove la conservazione dell’integrità del reperto è la priorità assoluta.

La Nostra Missione in Armenia: Un Viaggio nel Tempo

Ci siamo quindi avventurati tra le collezioni di ben cinque musei armeni, selezionando 93 manufatti ossei provenienti da 17 siti archeologici diversi. Un vero e proprio viaggio attraverso i millenni, dal 6000 al 600 a.C. circa! Avevamo tra le mani punte di freccia, punteruoli, perline, pendenti, anelli, pissidi (piccoli contenitori), e persino frammenti di briglie. Un campionario incredibilmente vario.

Prima della ZooMS, l’analisi morfologica tradizionale ci aveva dato ben poche soddisfazioni: solo in due casi eravamo riusciti a identificare il genere (una falange di bovino usata come pendente e un corno di bovino trasformato in punteruolo). Per il resto, solo classificazioni vaghe. Ma poi… è arrivata la ZooMS!

Un archeologo in un laboratorio moderno analizza un piccolo frammento osseo con una pipetta, accanto a uno spettrometro di massa. Luce controllata, focus preciso sul campione, dettagli high-tech. Macro lens, 80mm.

Dei 93 reperti analizzati, ben 81 (l’87%!) hanno fornito abbastanza collagene per un’identificazione tassonomica. Un successo strepitoso, che dimostra anche l’eccellente stato di conservazione delle proteine in questi antichi manufatti. E i risultati? Sorprendenti!

E i Risultati? Sorprendenti!

Abbiamo identificato sette taxa regionali, inclusa la gazzella (probabilmente Gazella subgutturosa), oggi estinta in quelle zone. Ecco una carrellata delle scoperte più interessanti:

  • Pecore (Ovis): Sono state le più “gettonate”, usate per produrre una vasta gamma di oggetti come punteruoli, perline, spilloni e pendenti. La ZooMS, purtroppo, non distingue tra pecora selvatica e domestica, ma la loro presenza costante è significativa.
  • Gazzelle (Gazella): Al secondo posto, con ben 21 reperti (più altri 5 identificati come Gazella/Cervus). Questo è un dato importantissimo, perché ci dice che la caccia a questi animali selvatici era una fonte rilevante di materia prima per armi (punte di freccia e di lancia), strumenti da lavoro (punteruoli, fusarole) e ornamenti.
  • Bovini (Bos): Anche loro ben rappresentati (17 reperti), usati per punteruoli, punte di lancia, pendenti, anelli e perline. Come per le pecore, non possiamo distinguere con certezza tra bovino domestico (Bos taurus) e l’uro, il suo antenato selvatico (Bos primigenius), che sappiamo essere stato presente nella regione.
  • Cammelli (Camelus bactrianus): Qui la ZooMS ci ha permesso un’identificazione a livello di specie! Due reperti, una placca da Karmir Blur e uno spillone elaborato da Metsamor, entrambi dell’Età del Ferro Tarda, erano fatti di osso di cammello battriano. Questa è una traccia importantissima, che suggerisce l’esistenza di nuove rotte commerciali e interazioni con regioni vicine, forse legate all’influenza del regno di Urartu. Pensate che ci sono testimonianze urartee che parlano di cammelli, e sono stati trovati resti di cammello in siti urartei come Erebuni e Metsamor. I nostri risultati mostrano che l’Armenia non solo commerciava cammelli, ma produceva o scambiava anche oggetti fatti con le loro ossa!
  • Equidi (Equus): Uno spillone e una punta di lancia. Non possiamo ancora dire se fossero cavalli o asini, ma stiamo lavorando per affinare ulteriormente il metodo!
  • Piccoli mammiferi: In rari casi, sono stati usati anche animali più piccoli: una perlina da osso di coniglio/lepre (Lepus sp.), uno spillone da osso di tasso (Meles sp.), e un frammento osseo decorato di un mustelide. Quest’ultimo, una pisside dal sito urarteo di Karmir Blur, è una scelta davvero insolita e rara per il periodo!

Oltre la Semplice Identificazione: Storie di Vita e Commercio

Queste identificazioni non sono solo un elenco di animali. Ci raccontano storie. Ad esempio, nel sito neolitico di Masis Blur, gli oggetti erano fatti principalmente di ossa di pecora e bovino, in linea con quanto già sapevamo sull’importanza dell’allevamento in quella comunità. L’uso di ossa di animali selvatici come lepre e gazzella nel sito calcolitico di Yeghegis, soprattutto per ornamenti, potrebbe indicare una selezione deliberata di queste specie, forse per il loro valore simbolico o estetico.

L’uso persistente di ossa di gazzella, dal Calcolitico fino all’Età del Ferro, è particolarmente interessante. In alcuni siti dell’Età del Bronzo, come Shengavit e Shirakavan, le ossa di gazzella non erano state identificate con i metodi tradizionali, probabilmente perché i loro resti frammentati sono molto simili a quelli dei caprini. La ZooMS ha colmato questa lacuna, rivelando l’importanza continua di questo animale selvatico.

Un altro dato affascinante riguarda proprio le gazzelle: la nostra identificazione di loro resti in depositi della Tarda Età del Ferro presso il sito di Artanish rappresenta la loro ultima occorrenza documentata nella regione. Prima si pensava che si fossero estinte nel Vicino Oriente molto prima, o al massimo fossero sopravvissute in Armenia fino alla Prima Età del Ferro. La ZooMS ha spostato indietro le lancette dell’orologio della loro scomparsa locale!

Una vetrina museale ben illuminata con vari manufatti ossei armeni antichi: punte di freccia, spilloni, pendenti. Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing, controlled lighting.

È curioso notare l’assenza di ossa di capra tra i materiali identificati, nonostante le capre fossero parte integrante delle greggi fin dal Neolitico. Potrebbe essere una casualità dovuta al numero di campioni, oppure una scelta deliberata: forse certi animali erano preferiti per la produzione di utensili, mentre altri erano destinati principalmente al consumo alimentare.

Un Tesoro Nascosto nei Musei e il Futuro della Ricerca

Questo studio pilota, il primo del suo genere in Armenia, dimostra l’enorme potenziale nascosto nelle collezioni museali. Grazie a tecniche come la ZooMS, questi oggetti, a volte considerati “muti”, possono finalmente raccontarci le loro storie, offrendo nuove prospettive sulle società del passato, sulle loro economie, sulle loro scelte tecnologiche e culturali, e persino sui cambiamenti ambientali e sulla perdita di biodiversità.

La possibilità di usare metodi minimamente invasivi è la chiave: possiamo ottenere dati scientifici preziosissimi senza danneggiare il nostro patrimonio culturale, preservandolo per le future generazioni di ricercatori e per il pubblico. Certo, il nostro campione è ancora limitato, ma i risultati sono così promettenti che non vediamo l’ora di espandere queste analisi. Chissà quali altre sorprese ci riserveranno le ossa antiche d’Armenia!

Ogni osso ha una storia da raccontare, e ora abbiamo uno strumento in più per ascoltarla. E io, da parte mia, continuerò a farmi affascinare da questi frammenti di passato, ora un po’ meno misteriosi grazie alla magia della scienza.

Fonte: Springer

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