Fare del Bene: Un Viaggio Sorprendente Tra Culture e Persone Come Te e Me
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, un’esplorazione che tocca corde profonde del nostro essere umani: la nostra inclinazione a “fare del bene”. Sembra una cosa semplice, no? Eppure, vi siete mai chiesti se questa spinta interiore sia uguale per tutti, ovunque nel mondo? O se cambi a seconda di chi siamo, dove viviamo, in cosa crediamo? Beh, tenetevi forte, perché ho messo le mani su uno studio pazzesco che ha cercato di rispondere proprio a queste domande, coinvolgendo oltre 200.000 persone in ben 22 paesi diversi! E le scoperte, ve lo dico subito, mi hanno lasciato a bocca aperta.
Ma cosa significa davvero “promuovere il bene”?
Prima di tuffarci nei risultati, capiamoci un attimo. Quando parlo di “orientamento a promuovere il bene”, non intendo solo gesti eclatanti di altruismo, come donare un rene o salvare qualcuno da un incendio (anche se quelli contano, eccome!). Lo studio si concentra su una disposizione più generale, quasi un tratto del carattere: la tendenza ad agire per contribuire al benessere proprio e degli altri, anche quando le cose si fanno difficili. Pensate a quella vocina interiore che vi spinge a essere onesti, gentili, perseveranti, giusti… ecco, è un po’ quello. I ricercatori hanno usato una domanda specifica, chiedendo alle persone quanto fosse vero per loro affermare: “Agisco sempre per promuovere il bene in ogni circostanza, anche in situazioni difficili e impegnative”. Una scala da 0 a 10 per misurare questa sorta di “perseveranza morale”. E perché è importante? Perché studi precedenti hanno collegato questa inclinazione a una maggiore soddisfazione nella vita, migliore salute mentale e fisica, e in generale a una vita più fiorente. Insomma, fare del bene fa bene, anche a noi stessi!
Un mondo di differenze: Paesi a confronto
La prima scoperta che mi ha colpito è quanto variano i livelli medi di questa disposizione tra i diversi paesi. Non siamo tutti uguali sotto questo cielo! In cima alla classifica troviamo paesi come l’Indonesia e l’Argentina, con punteggi medi altissimi (sopra l’8.6 su 10). Dall’altra parte, il Giappone è l’unico paese con una media sotto il 7. Curioso, vero? Sembra esserci una tendenza: i paesi considerati culturalmente più “collettivisti” (dove il gruppo e l’armonia comunitaria sono molto valorizzati), come Indonesia, Filippine, Messico, Nigeria, tendono ad avere punteggi più alti. Al contrario, paesi più “individualisti” e ad alto reddito, come Svezia, Regno Unito, Germania e lo stesso Giappone, mostrano medie più basse.
Mi chiedo: forse nelle culture collettiviste c’è una spinta sociale più forte a pensare e agire per il bene comune? O forse l’individualismo porta a concentrarsi di più su obiettivi personali, mettendo in secondo piano questa disposizione generale? C’è anche da dire che lo studio è recente (dati raccolti nel 2022-2023), e magari l’ondata di solidarietà vista durante la pandemia di COVID-19, particolarmente forte in alcuni paesi in via di sviluppo, ha lasciato un segno. Interessante anche notare che i paesi con medie più basse tendono ad avere una maggiore *disuguaglianza* interna in questa disposizione (misurata con un indice chiamato Gini, simile a quello usato per l’economia). Come se in alcune società ci fosse un divario più ampio tra chi si sente fortemente orientato al bene e chi meno. Certo, bisogna andarci cauti: le traduzioni, le norme culturali, il modo di interpretare la domanda possono influenzare i risultati. Non possiamo semplicemente dire “questo paese è più buono di quello”, ma le differenze sono innegabili e fanno riflettere.
Chi tende a “fare più bene”? Uno sguardo dentro le società
Ma le sorprese non finiscono qui. Lo studio ha analizzato come questa inclinazione cambia anche *all’interno* dei paesi, a seconda di vari fattori sociodemografici. E qui le cose si fanno ancora più intricate e affascinanti. Vediamo i punti principali emersi mettendo insieme i dati di tutti i paesi:
- Età: In generale, le persone più anziane tendono a riportare punteggi leggermente più alti rispetto ai giovani (18-24enni). Forse con l’età si dà più priorità a ciò che dà senso e compimento alla vita? Però, attenzione! Guardando i singoli paesi, il quadro cambia. In molti paesi ricchi (Australia, Giappone, USA, Spagna), l’orientamento al bene cresce con l’età. Ma in altri, economicamente meno sviluppati (India, Filippine, Tanzania), succede il contrario: i giovani mostrano punteggi più alti! Questo mi fa pensare a quanto contino le condizioni sociali: magari i giovani in certi contesti hanno più speranza o opportunità, mentre gli anziani affrontano più difficoltà strutturali? O forse c’è una crisi di valori tra i giovani nei paesi più ricchi? Domande aperte.
- Genere: Le differenze tra uomini e donne, in media, sono minime. Le donne riportano punteggi leggermente superiori, ma nulla di eclatante. Chi si identifica con un genere diverso da maschile/femminile tende ad avere punteggi più bassi, ma il campione era molto piccolo, quindi prendiamo questo dato con le pinze.
- Stato Civile: Le persone sposate mostrano punteggi mediamente più alti rispetto ai single, divorziati o vedovi. Forse il matrimonio, come forma di integrazione sociale, rafforza questa disposizione?
- Lavoro e Istruzione (Status Socioeconomico – SES): Qui emerge un pattern chiaro: chi è occupato (dipendente o autonomo) o pensionato tende ad avere punteggi più alti rispetto ai disoccupati in cerca di lavoro. Allo stesso modo, l’orientamento al bene cresce con gli anni di istruzione. Sembra che avere uno status socioeconomico più elevato, con maggiori risorse e stabilità, possa facilitare l’espressione di questo lato del carattere. È un dato che contrasta con alcune teorie psicologiche che ipotizzavano maggiore empatia in chi ha meno risorse, ma si allinea con altri studi su larga scala. Forse avere più “margine” permette di agire più liberamente secondo i propri valori?
- Religione: Questo è stato il fattore con le differenze più marcate! Le persone che frequentano servizi religiosi regolarmente (una o più volte a settimana) mostrano punteggi significativamente più alti rispetto a chi non li frequenta mai. E questo vale in quasi tutti i paesi, anche in quelli considerati molto secolarizzati come Giappone, Spagna o Svezia. La differenza tra chi frequenta assiduamente e chi mai è la più grande tra tutte quelle osservate per i vari gruppi demografici. Sembra proprio che la partecipazione religiosa, con i suoi insegnamenti morali, i rituali e il senso di comunità, giochi un ruolo potentissimo nel rafforzare questa disposizione a fare del bene.
- Origine: In media, chi è nato nel paese in cui vive ha punteggi leggermente superiori agli immigrati, ma le differenze sono piccole e variano da paese a paese.
Cosa ci portiamo a casa da questo viaggio?
Questo studio, pur con i suoi limiti (una sola domanda per misurare un concetto complesso, possibili differenze culturali nell’interpretazione, dati raccolti in un momento specifico), ci regala spunti preziosi. Ci dice che l’inclinazione a fare del bene, pur essendo forse un valore universale (in nessun paese la media è scesa sotto il 6!), non si manifesta ovunque e in tutti allo stesso modo. La cultura del paese in cui viviamo (collettivista vs individualista), il nostro status socioeconomico, la nostra età e, in modo particolare, il nostro coinvolgimento nella vita religiosa sembrano influenzare profondamente quanto ci sentiamo e agiamo orientati al bene.
Non si tratta di dire che alcuni gruppi siano “migliori” di altri. Piuttosto, questi risultati ci invitano a riflettere sui fattori strutturali e sociali che possono facilitare o ostacolare la capacità delle persone di esprimere questo aspetto fondamentale del carattere. Se vogliamo costruire società dove più persone possano fiorire e contribuire al benessere collettivo, dobbiamo capire meglio queste dinamiche. Dobbiamo chiederci come creare contesti – nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle comunità – che coltivino attivamente questa disposizione in tutti, indipendentemente dalla loro età, dal loro reddito o dal loro background.
Per me, la scoperta più grande è proprio questa complessità, questo intreccio tra l’individuo, la sua storia personale e il tessuto sociale e culturale in cui è immerso. Siamo tutti capaci di fare del bene, ma il modo e la misura in cui riusciamo a farlo dipendono da un’infinità di fattori. E continuare a esplorare questo territorio è fondamentale, non solo per la scienza, ma per costruire un futuro un po’ migliore, un passo alla volta.
Fonte: Springer