Ritratto fotografico 50mm, effetto duotone seppia e blu, di un'ostetrica congolese che tiene con cura un neonato in una clinica semplice nella RDC orientale, luce naturale da finestra, profondità di campo.

Eroi Sotto Tiro: La Dura Realtà degli Operatori Sanitari Materno-Infantili nella RDC Orientale

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio, non fisico, ma di comprensione, in una delle zone più complesse e martoriate del nostro pianeta: la Repubblica Democratica del Congo orientale, in particolare le province del Nord e Sud Kivu. Parleremo di eroi silenziosi, persone che ogni giorno lottano contro mille avversità per salvare vite: gli operatori sanitari che si occupano della salute di mamme e neonati.

Sapete, la salute materno-infantile è una priorità assoluta a livello globale. L’ONU ha fissato obiettivi ambiziosi per ridurre la mortalità materna e neonatale entro il 2030. Ma mentre in molte parti del mondo si vedono progressi, nell’Africa subsahariana, e specialmente in paesi come la RDC dilaniati da conflitti senza fine, la situazione è drammatica. Qui, le statistiche sulla mortalità materna e infantile sono tra le più alte al mondo e, nonostante più donne partoriscano in strutture sanitarie, i tassi di mortalità faticano a scendere. Perché? Una delle risposte, come evidenzia uno studio recente, risiede nelle condizioni di lavoro e nell’ambiente in cui questi professionisti devono operare.

Chi Sono Questi Eroi Silenziosi?

Lo studio che ho analizzato ha coinvolto 200 operatori sanitari nelle province del Kivu. Immaginatevi la scena: il 71% sono donne, con un’età media di circa 37 anni. La maggior parte sono infermieri, seguiti da ostetriche, mentre i medici generici sono solo l’11% circa (e concentrati più nel Sud Kivu che nel Nord). Queste persone non lavorano certo le canoniche 40 ore settimanali. No, la media è di ben 67 ore alla settimana! Un carico di lavoro enorme, reso ancora più pesante dal contesto.

Ma non è solo la fatica fisica. Quasi un terzo di loro (il 32,8%) ammette di non sentirsi adeguatamente preparato o formato per il ruolo che ricopre. Sentono la mancanza di dialogo con i superiori sulle competenze interpersonali, vedono scarse opportunità di promozione e sviluppo professionale. E qui, diciamocelo, le disparità di genere si fanno sentire. Molti riportano trattamenti iniqui rispetto ai colleghi uomini in termini di formazione, permessi, orari di lavoro, assegnazioni geografiche e avanzamenti di carriera. Le donne, in particolare, sentono di avere meno possibilità di promozione, meno scelta sulla sede di lavoro, meno tempo libero e, cosa forse ancora più grave, di ricevere meno rispetto dai colleghi uomini e dalla comunità.

Fotografia realistica in bianco e nero stile film noir, obiettivo 35mm, di un'operatrice sanitaria congolese stanca ma determinata all'interno di una clinica rurale nella RDC orientale, luce naturale soffusa.

Un Ambiente di Lavoro Sotto Assedio

Pensate a cosa significhi lavorare in un luogo dove la guerra è endemica da decenni. Le strutture sanitarie stesse sono spesso danneggiate, saccheggiate, a volte distrutte. Ma oltre ai danni materiali, c’è l’impatto psicologico. Questi operatori sono esposti a stress intenso, violenza, traumi secondari. La loro salute mentale è messa a dura prova, e questo, inevitabilmente, influisce sulla loro capacità di fornire cure adeguate.

Lo studio riporta dati allarmanti:

  • Quasi un terzo degli operatori ha subito abusi verbali, umiliazioni e pressioni croniche.
  • Urla e grida dai colleghi sono state riportate dal 28%, minacce verbali dal 13%, umiliazioni dal 20%, abusi verbali dal 22%.
  • Anche se rari (2-3%), sono stati segnalati aggressioni fisiche e minacce fisiche da parte dei colleghi.
  • La situazione è simile, se non peggiore, per quanto riguarda le esperienze negative con i pazienti: violenza verbale, umiliazioni, grida sono frequenti. Le aggressioni fisiche da parte dei pazienti sono leggermente più alte (3-6%).
  • Le donne e gli operatori del Nord Kivu sembrano essere i più colpiti da questi atti di violenza.

Questo clima di violenza si aggiunge a un senso generale di insicurezza. Quasi un quarto degli operatori si sente insicuro all’interno della propria struttura sanitaria (24,7%) e durante gli spostamenti casa-lavoro (27%). Questa percezione è nettamente più alta nel Nord Kivu, dove oltre il 60% degli operatori percepisce un aumento significativo della violenza nell’ultimo anno, rispetto al 14% nel Sud Kivu. Lavorare con la paura non è sostenibile.

Stipendi, Incentivi e Rispetto: Un Quadro Critico

Parliamo di soldi e riconoscimenti, elementi fondamentali per la motivazione di chiunque. Sebbene la maggior parte dichiari di ricevere lo stipendio in tempo, meno del 30% riceve bonus o supplementi statali. E gli incentivi non monetari? Praticamente inesistenti: 9 su 10 non ricevono mai uniformi, zaini, buoni, cure gratuite per sé o la famiglia, cibo o alloggi sovvenzionati.

Questa mancanza di riconoscimento economico e materiale, unita alla frequente mancanza di rispetto percepita (quasi la metà la considera frequente nel proprio ambiente), mina la motivazione e la performance. In contesti dove lo stipendio base è spesso insufficiente, come nella RDC, questo può spingere verso pratiche informali (come pagamenti extra dai pazienti) che peggiorano le disuguaglianze nell’accesso alle cure e ne riducono la qualità, specialmente per i più poveri.

Fotografia grandangolare 15mm di un centro sanitario rurale nella RDC orientale sotto un cielo nuvoloso e teso, suggerendo insicurezza. Lunga esposizione per nuvole mosse, focus nitido sull'edificio, luce del tardo pomeriggio.

Perché Tutto Questo è Importante (e Urgente)?

Vi racconto tutto questo non per dipingere un quadro a tinte fosche fine a se stesso, ma perché queste condizioni di lavoro estreme hanno conseguenze reali e devastanti. Mettono a repentaglio non solo il benessere psicologico degli operatori sanitari – che sono persone, prima che professionisti – ma anche la qualità delle cure che mamme e bambini ricevono. Come si può garantire un’assistenza empatica, attenta e competente quando si lavora 67 ore a settimana, ci si sente impreparati, non valorizzati, minacciati e insicuri?

Questi uomini e donne sono la linfa vitale di un sistema sanitario già fragile, reso ancora più vulnerabile da decenni di conflitto. La loro resilienza è ammirevole, ma non infinita. Non possiamo aspettarci che continuino a operare in queste condizioni senza un supporto adeguato.

È urgente, quindi, rafforzare la loro protezione e il loro sostegno. Servono interventi mirati per migliorare la sicurezza dentro e fuori le strutture sanitarie, per garantire formazione continua e opportunità di crescita, per combattere le disuguaglianze (specialmente quelle di genere), per assicurare una remunerazione dignitosa e riconoscimenti adeguati, e per creare un ambiente di lavoro basato sul rispetto reciproco.

Ignorare le loro difficoltà significa mettere a rischio la salute di intere comunità e compromettere gli sforzi per ridurre la mortalità materna e infantile in una delle regioni più bisognose del mondo. Sono eroi, sì, ma anche gli eroi hanno bisogno di essere protetti e supportati per poter continuare a salvare vite.

Fonte: Springer

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