Onde J nell’Infarto: Il Segnale Nascosto che Arriva Subito!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante che sta emergendo nel campo della cardiologia, qualcosa che riguarda i primissimi momenti di un evento tanto temuto: l’infarto miocardico acuto (IMA). Sapete, con i progressi della medicina e la creazione di centri specializzati per il dolore toracico, riusciamo a vedere i pazienti molto prima, a volte proprio nelle fasi iniziali, quelle che chiamiamo “iperacute”. Ma cosa succede esattamente al cuore in quei minuti, in quelle primissime ore? E come possiamo capirlo guardando un semplice elettrocardiogramma (ECG)?
Il Mistero delle Onde J Ischemiche
Ecco che entrano in gioco le cosiddette onde J ischemiche. Non sono le onde J “normali” che a volte si vedono, queste sono speciali perché compaiono proprio quando il muscolo cardiaco soffre per la mancanza di ossigeno, cioè durante un’ischemia acuta. Pensate, sono come un piccolo segnale sull’ECG, una specie di “gobbetta” o “intaccatura” subito dopo il complesso QRS, che ci dice: “Attenzione, qui sta succedendo qualcosa di serio!”.
Queste onde J hanno attirato parecchio interesse perché alcuni studi le hanno collegate a un rischio maggiore di aritmie ventricolari pericolose e persino di morte cardiaca improvvisa. Mica poco, vero? A livello cellulare, sembra che tutto ruoti attorno a una corrente di potassio chiamata Ito. Durante l’ischemia, questa corrente si altera nelle cellule più esterne del cuore (l’epicardio), creando uno squilibrio elettrico tra i diversi strati del muscolo cardiaco. Ed è proprio questo squilibrio che, secondo gli esperti, genera l’onda J sull’ECG.
Nonostante la loro potenziale importanza, però, c’erano ancora molte domande aperte: quando compaiono esattamente queste onde J durante un infarto? Quali fattori le favoriscono? È proprio per rispondere a queste domande che abbiamo intrapreso uno studio approfondito.
La Nostra Indagine: Uno Sguardo nelle Prime Ore dell’Infarto
Abbiamo deciso di fare un’analisi retrospettiva, andando a “sbirciare” nelle cartelle cliniche di 466 pazienti arrivati nel nostro ospedale con un infarto miocardico acuto tra il 2015 e il 2020. La condizione chiave era che il loro dolore al petto fosse iniziato da non più di 4 ore. Volevamo proprio concentrarci sulla fase iperacuta.
Abbiamo suddiviso questi pazienti in quattro gruppi, a seconda di quanto tempo era passato dall’inizio del dolore:
- Gruppo α: entro 1 ora
- Gruppo β: tra 1 e 2 ore
- Gruppo γ: tra 2 e 3 ore
- Gruppo δ: tra 3 e 4 ore
Per ognuno, abbiamo raccolto un sacco di dati: caratteristiche demografiche, storia clinica, esami del sangue, risultati dell’ECG fatto all’arrivo, dati dell’ecocardiogramma e della coronarografia (l’esame che “fotografa” le arterie del cuore).
Il nostro obiettivo principale? Capire se ci fosse una relazione tra la durata del dolore e la presenza delle onde J ischemiche sull’ECG, e quali altri fattori clinici ed elettrocardiografici fossero associati a queste onde. L’ipotesi era che capire meglio le onde J in questa fase critica potesse aiutarci a identificare prima i pazienti a rischio e a intervenire meglio.

I Risultati: L’Ora X delle Onde J
Ebbene, i risultati sono stati illuminanti! La scoperta più eclatante è stata proprio sulla tempistica: le onde J ischemiche erano significativamente più frequenti nel Gruppo α, cioè nei pazienti arrivati entro la primissima ora dall’inizio del dolore toracico (p<0.05). Ben il 33,3% dei pazienti arrivati entro un'ora mostrava queste onde, contro il 20,1% di quelli arrivati più tardi (tra 1 e 4 ore). Questo ci dice che le onde J sono un fenomeno davvero precoce, quasi un segnale d'allarme immediato che il cuore lancia.
Chi Sviluppa le Onde J? Un Profilo Preciso
Ma non è tutto. Analizzando i pazienti che presentavano le onde J rispetto a quelli che non le avevano, è emerso un profilo clinico ed elettrocardiografico ben definito. Ecco cosa abbiamo trovato:
- Tipo di Infarto: Una percentuale altissima (91,4%) dei pazienti con onde J aveva un infarto di tipo STEMI (infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST), quello considerato generalmente più grave perché indica un’occlusione completa di un’arteria coronaria. Questo rispetto al 50,4% nei pazienti senza onde J (p<0.001).
- Frequenza Cardiaca: I pazienti con onde J tendevano ad avere un battito cardiaco più lento (bradicardia): in media 74 battiti al minuto contro gli 80 di chi non le aveva (p<0.001). Questo potrebbe essere legato alle caratteristiche stesse dell'onda J, che è più "visibile" a frequenze basse.
- Glicemia: Avevano livelli di glucosio a digiuno più alti (iperglicemia): 8.50 mmol/L contro 6.99 mmol/L (p=0.011). L’iperglicemia acuta potrebbe influenzare i canali ionici del cuore o il metabolismo, contribuendo all’instabilità elettrica.
- Alterazioni ECG Specifiche: Mostravano una maggiore dispersione del QT (un indice di disomogeneità della ripolarizzazione ventricolare) e un intervallo TpTe più lungo (un altro marcatore di rischio aritmico) (entrambi p<0.001). Questi parametri suggeriscono una maggiore instabilità elettrica nel cuore di chi sviluppa onde J.
Utilizzando un’analisi statistica più complessa (regressione logistica multivariata), abbiamo confermato che questi cinque fattori – STEMI, bradicardia, iperglicemia, aumento della dispersione QT e allungamento del TpTe – erano predittori indipendenti della presenza di onde J ischemiche nella fase iperacuta dell’infarto.

Uno Sguardo alle Arterie: Dove si Trovano le Onde J?
Anche l’angiografia coronarica ci ha dato informazioni interessanti. Le onde J erano più comuni nei pazienti con malattia coronarica multivasale (cioè con stenosi significative in più di un’arteria principale, p=0.048) e in quelli in cui l’arteria coronaria destra era coinvolta (51,4% vs 39,1%, p=0.024). Non a caso, gli infarti della parete inferiore del cuore erano più spesso associati alle onde J (35,4% dei casi). E guardando l’ECG, le onde J si vedevano più frequentemente proprio nelle derivazioni inferiori (35,4%) e in quelle ventricolari destre (27,2%). Questo potrebbe avere a che fare con la distribuzione dei famosi canali Ito, che sembrano essere più concentrati proprio nell’epicardio del ventricolo destro.
Cosa Significa Tutto Questo? Implicazioni Cliniche
Questi risultati sono importanti perché ci dicono che le onde J ischemiche non sono solo una curiosità elettrocardiografica, ma veri e propri marcatori precoci di ischemia miocardica acuta e severa. La loro comparsa nella prima ora, associata a STEMI, bradicardia, iperglicemia e alterazioni della ripolarizzazione, suggerisce che identificare queste onde potrebbe aiutarci a stratificare meglio il rischio dei pazienti fin dal loro arrivo in pronto soccorso.
Pensateci: un paziente che arriva con dolore toracico e presenta onde J sull’ECG potrebbe essere a rischio più elevato di avere un’occlusione coronarica completa (STEMI), una malattia più estesa (multivasale) e una maggiore instabilità elettrica. Questo potrebbe spingerci a essere più aggressivi con le terapie di riperfusione (come l’angioplastica) o a monitorare più attentamente il rischio di aritmie.
È interessante notare che la frequenza delle onde J nel nostro studio (22,5%) era un po’ più bassa rispetto ad altri studi. Questo potrebbe dipendere da differenze nelle popolazioni studiate o nei criteri usati, ma sottolinea anche quanto queste onde possano essere fugaci. Serve un ECG tempestivo e forse anche un monitoraggio continuo per “catturarle”.

Limiti e Prospettive Future
Ovviamente, come ogni ricerca, anche la nostra ha dei limiti. È uno studio retrospettivo e condotto in un solo centro, quindi i risultati andranno confermati in studi più ampi e multicentrici. Inoltre, non avevamo dati completi sui marcatori di danno miocardico (come troponina e CK-MB) per tutti i pazienti, né dati sul follow-up a lungo termine per valutare il valore prognostico delle onde J. C’è anche la potenziale influenza dei farmaci beta-bloccanti sulla frequenza cardiaca, anche se abbiamo cercato di tenerne conto.
Tuttavia, crediamo che questo studio sia il primo a indagare così a fondo la dinamica temporale delle onde J ischemiche proprio nella fase iperacuta dell’infarto, collegandole a parametri clinici ed ECG specifici in questo lasso di tempo critico.
In Conclusione
Le onde J ischemiche sembrano essere un fenomeno importante e molto precoce nell’infarto miocardico acuto, comparendo con maggiore probabilità entro la prima ora dall’inizio dei sintomi. Sono associate in modo indipendente a infarto STEMI, battito cardiaco più lento, glicemia elevata e segni di instabilità elettrica (QTd e TpTe aumentati). Inoltre, sono più frequenti in caso di malattia coronarica più estesa e coinvolgimento dell’arteria coronaria destra.
Queste scoperte aprono nuove prospettive: le onde J potrebbero diventare un utile strumento per identificare rapidamente i pazienti ad alto rischio e guidare decisioni cliniche immediate. Certo, la strada della ricerca è ancora lunga, ma aver gettato luce su questo “segnale nascosto” che il cuore ci invia nelle primissime fasi di un infarto è, per me, un passo avanti davvero emozionante!
Fonte: Springer
