Fotografia macro ad alta definizione di un esemplare di Arthruridae, un nuovo crostaceo di profondità, su un substrato scuro che ne esalta il colore biancastro e la cuticola lucida; illuminazione da studio per massimizzare i dettagli morfologici, obiettivo macro 105mm.

Tesori Nascosti dagli Abissi: Vi Presento una Nuova Famiglia di Crostacei!

Amici appassionati di creature marine e misteri degli abissi, preparatevi! Oggi vi porto con me in un viaggio incredibile nelle profondità oceaniche al largo dell’Aotearoa, la Nuova Zelanda, e del sud-est dell’Australia. E credetemi, quello che abbiamo scoperto è roba da far strabuzzare gli occhi anche ai biologi marini più navigati: una nuova famiglia di crostacei Tanaidacea, battezzata Arthruridae!

Un “Problema” di Famiglia da Risolvere

Vedete, nel vasto e un po’ caotico mondo dei crostacei peracaridi – quegli animaletti che abbondano nei sedimenti marini profondi come anfipodi, isopodi e cumacei – i Tanaidacei sono sempre stati un po’ i “parenti poveri”, spesso sottostimati. Tra questi, la famiglia Tanaellidae era un gruppo che ci dava qualche grattacapo. Definita nel 2002, era considerata un “clade debolmente supportato”, insomma, una famiglia con confini un po’ sfumati e una certa eterogeneità morfologica e genetica. Alcuni generi al suo interno, come il complesso Araphura-Arhaphuroides, sembravano un po’ dei pesci fuor d’acqua.

In particolare, il genere Arthrura aveva una storia tassonomica complessa e, a dirla tutta, le sue caratteristiche morfologiche – come la forma dei pereoniti (segmenti del torace), la configurazione del pleon (addome) e del pleotelson (la parte finale del corpo), e la morfologia dei pereopodi (zampe) – lo facevano assomigliare più ad altri gruppi, come gli Agathotanaidae, piuttosto che ai Tanaellidae con cui era raggruppato. Era chiaro che bisognava vederci più a fondo!

La Scoperta: Nasce la Famiglia Arthruridae!

E così, armati di microscopi e tanta pazienza, analizzando principalmente la morfologia di questi piccoli esseri, abbiamo tirato le somme. La scoperta di ben nove morfospecie simili ad Arthrura nelle acque profonde australiane e neozelandesi ci ha dato la spinta decisiva. È nata così la famiglia Arthruridae! Questa nuova classificazione non è campata per aria, anzi, è supportata anche da recenti evidenze molecolari emerse da uno studio sulla famiglia Caudalongidae, descritta da poco.

Ma come sono fatti questi Arthruridae? Immaginate dei crostacei con un corpo robusto, un po’ come certi Tanaellidae (tipo Tanaella), o con un esopode dell’uropode (appendici caudali) fuso e sporgente, simile a quello di Arhaphuroides. Però, come dicevo, hanno anche dei tratti che ricordano gli Agathotanaidae. La cosa interessante è che mantengono un’articolazione tra chelipede (la “pinza”) e cefalotorace più plesiomorfica, cioè più “antica” o ancestrale, rispetto agli Agathotanaidae.

Tra le caratteristiche che distinguono nettamente gli Arthruridae dalla maggior parte dei Tanaellidae ci sono:

  • Una grande setola sull’epignato (una struttura boccale).
  • Un grande sclerite coxale sul cefalotorace.
  • Pereopodi simili a bastoncini, sottili e allungati.

Questi dettagli, insieme ad altri come la forma del pleon e del pleotelson (spesso pentagonale, tipico degli “agatotanaoidi”) e la presenza di pleopodi (appendici natatorie addominali) solo nei maschi, ci hanno convinto a separare questo gruppo.

Immagine macro fotorealistica di un crostaceo tanaidaceo della nuova famiglia Arthruridae su un sedimento di fondale marino profondo, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli della sua morfologia, obiettivo macro 90mm.

Le analisi filogenetiche basate sulla morfologia, pur con qualche complessità (l’omoplasia, ovvero caratteri simili evoluti indipendentemente, è sempre in agguato!), hanno mostrato che le specie del gruppo Arthrura formano un clade ben distinto, fratello degli altri Tanaellidae. Questo ci ha dato ulteriore fiducia nella nostra decisione.

I Nuovi Arrivati: Generi e Specie Inedite

All’interno della neonata famiglia Arthruridae, non ci siamo limitati a spostare il genere Arthrura. Abbiamo anche istituito due nuovi generi: Arthruropsis n. gen. e Paralibanius n. gen. Pensate che una specie precedentemente classificata come Arhaphuroides bombus è stata trasferita proprio nel nuovo genere Arthruropsis.

E le nuove specie? Ben nove! Sei provengono dalle acque batiali (tra i 200 e i 2000 metri di profondità, più o meno) della Nuova Zelanda:

  • Libanius concertator n. sp.
  • Libanius intonsus n. sp.
  • Libanius largitas n. sp.
  • Libanius projectus n. sp.
  • Libanius tangaroa n. sp.
  • Paralibanius taitonga n. sp.

Altre tre, invece, sono state pescate lungo la scarpata continentale del sud-est dell’Australia:

  • Libanius australis n. sp.
  • Libanius brevicarpus n. sp.
  • Libanius clisicola n. sp.

Abbiamo anche fornito una chiave dicotomica per identificare le 13 specie di Arthruridae attualmente conosciute. Mica male, eh?

Il genere Libanius, originariamente descritto da Lang nel 1971 e poi sinonimizzato con Arthrura, è stato qui “resuscitato” e ora accoglie molte di queste nuove specie, oltre a quelle già note come L. monacanthus e L. pulcher. Questo genere si distingue da Arthrura per l’assenza di spinule sul margine dorsale del carpo del chelipede e per un cefalotorace proporzionalmente più lungo. Da Paralibanius, invece, si differenzia per un attacco più posteriore dei chelipedi sul cefalotorace.

Paralibanius, con la sua specie tipo P. taitonga, è particolarmente interessante perché presenta i chelipedi attaccati più anteriormente sul cefalotorace, quasi a mimare la configurazione degli Agathotanaidae, pur mantenendo un lobo posteriore sulla base del chelipede. Ha anche un quinto articolo dell’antenna corto e pereopodi relativamente robusti.

Perché Questa Scoperta è Importante?

Qualcuno potrebbe chiedersi: “Ma a che serve scoprire una nuova famiglia di piccoli crostacei abissali?”. Beh, ogni nuova specie, ogni nuovo genere, ogni nuova famiglia che identifichiamo è come aggiungere un pezzetto fondamentale al grande puzzle della biodiversità del nostro pianeta. Gli Arthruridae, con il loro aspetto robusto, la cuticola biancastra e lucida, e le zampe sottili, sono abitanti caratteristici dei fondali profondi, anche se non sempre abbondantissimi.

Capire le loro relazioni evolutive, la loro distribuzione geografica e batimetrica (cioè a quali profondità vivono) ci aiuta a comprendere meglio come funzionano gli ecosistemi profondi, spesso ancora così misteriosi. Ad esempio, abbiamo notato che le sei specie neozelandesi mostrano una certa segregazione geografica e di profondità. L. intonsus, per esempio, è stata trovata in una regione con emissioni di metano da idrati di gas, il che apre scenari interessanti sul loro adattamento a condizioni particolari.

Fotografia wide-angle di un paesaggio sottomarino abissale al largo della Nuova Zelanda, con focus nitido sui sedimenti e acqua liscia, tempi di esposizione lunghi, obiettivo 15mm, per contestualizzare l'habitat degli Arthruridae.

Si presume che questi crostacei siano detritivori, nutrendosi cioè di particelle organiche che scendono dalla colonna d’acqua, un ruolo ecologico cruciale negli abissi. La loro morfologia, con quelle zampe “a bastoncino”, suggerisce uno stile di vita non fossorio (cioè non scavano attivamente) e a bassa mobilità, forse riparandosi nello strato più superficiale del sedimento.

Uno Sguardo al Futuro

Il lavoro, ovviamente, non finisce qui. Siamo convinti che ci siano ancora molti altri Arthruridae da scoprire, magari a profondità ancora maggiori, sia nelle regioni oceaniche neozelandesi e australiane che in altre zone del Pacifico. Ogni nuovo ritrovamento ci permetterà di testare le nostre attuali ipotesi tassonomiche e di capire meglio il posto di questa famiglia nel grande albero della diversità dei Tanaidacei.

Sarebbe fantastico, ad esempio, riuscire a raccogliere nuovo materiale della specie tipo del genere Arthrura, A. andriashevi, per chiarire definitivamente la sua relazione con il genere Libanius. E, naturalmente, l’integrazione di dati morfologici con sequenze genetiche (la cosiddetta tassonomia integrativa) sarà sempre più cruciale, anche se, come dimostra questo studio, le analisi morfologiche sono tutt’altro che obsolete!

Insomma, gli abissi continuano a regalarci sorprese e a ricordarci quanto ancora poco sappiamo della vita che pullula nelle profondità del nostro pianeta. E noi siamo qui, pronti a continuare l’esplorazione!

Fonte: Springer

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