Cuore Sotto Stress Glicemico: NHE1, l’Alleato Inaspettato Contro l’Infarto?
Ragazzi, parliamoci chiaro: l’infarto miocardico è una brutta bestia. Ma sapete cosa lo rende ancora più insidioso? L’iperglicemia acuta, ovvero un picco di zuccheri nel sangue, che spesso si verifica proprio durante l’attacco di cuore, anche in persone che non sanno di avere il diabete. È un fattore di rischio subdolo che peggiora drasticamente la prognosi.
Per anni, noi ricercatori abbiamo studiato un attore chiave nella cellula cardiaca, una proteina chiamata NHE1 (Scambiatore Sodio-Idrogeno 1). Il suo compito è regolare il pH interno della cellula scambiando ioni idrogeno (H+) con ioni sodio (Na+). In condizioni normali di infarto (senza iperglicemia), sembrava che inibire l’NHE1 fosse la mossa giusta, una sorta di scudo protettivo per il cuore sofferente. Molti studi, inclusi alcuni nostri precedenti, andavano in questa direzione.
Il Paradosso dell’NHE1: Amico o Nemico?
E qui arriva il colpo di scena. Quando abbiamo iniziato a guardare più da vicino cosa succede durante un infarto complicato da iperglicemia acuta, il quadro si è ribaltato. I dati clinici che abbiamo analizzato su 85 pazienti post-infarto (senza storia di diabete) ci hanno messo la pulce nell’orecchio. Quelli con glicemia alta al momento del ricovero (> 7 mM) mostravano segni di danno cardiaco maggiore (livelli più alti di BNP e CK-MB) e, cosa curiosa, livelli di sodio nel sangue leggermente più bassi, pur rimanendo nei range considerati normali.
Analizzando poi dati da un grande studio americano (NHANES), abbiamo visto una correlazione: nei pazienti infartuati non diabetici con iperglicemia, livelli di sodio più bassi (sempre nei limiti della norma) erano associati a maggior danno cardiaco (misurato dalla troponina I) e a una peggiore funzione contrattile del cuore (frazione di eiezione, EF). Sembrava che questo squilibrio ionico, con meno sodio fuori e più sodio dentro le cellule cardiache (come abbiamo poi confermato nei topi), insieme a variazioni del pH interno, fosse legato all’aggravamento del danno. E chi è il principale regolatore di questi equilibri? Proprio lui, l’NHE1.
La Nostra Scoperta: Ribaltare la Prospettiva sull’NHE1
A questo punto, ci siamo chiesti: e se in questo scenario specifico (infarto + iperglicemia), l’NHE1 non andasse inibito, ma anzi, attivato? Abbiamo messo alla prova questa ipotesi con modelli animali sofisticati.
- Abbiamo creato topi in cui potevamo “spegnere” l’NHE1 specificamente nelle cellule del cuore (cardiomiociti) usando il tamoxifene. Risultato? Quando questi topi avevano un infarto con iperglicemia, il loro cuore peggiorava molto di più rispetto ai topi di controllo: più fibrosi, peggior funzione contrattile, maggior danno tissutale. Inibire l’NHE1 era chiaramente deleterio.
- Poi abbiamo fatto l’opposto: abbiamo “potenziato” l’NHE1 nei cardiomiociti dei topi usando un virus adeno-associato (AAV9) come vettore. Ebbene, questi topi, sottoposti allo stesso infarto con iperglicemia, erano protetti! Il loro cuore funzionava meglio, avevano meno fibrosi e meno danno generale. Addirittura, inibendo farmacologicamente l’NHE1 (con cariporide) in questi topi “potenziati”, la protezione svaniva, confermando che era proprio l’attività aumentata dell’NHE1 a fare la differenza.

Come Funziona? Il Segreto è nella Necroptosi e nell’Autofagia
Ma qual è il meccanismo dietro questa protezione inaspettata? Analizzando l’espressione genica (RNA sequencing) nei cuori dei topi, abbiamo notato che l’infarto con iperglicemia attivava pesantemente una via di morte cellulare programmata chiamata necroptosi. Una proteina chiave in questo processo è la MLKL.
La nostra ipotesi, poi confermata da esperimenti sia in vivo che in vitro (su cellule cardiache isolate), è che l’attivazione dell’NHE1, in condizioni di iperglicemia e ipossia (mancanza di ossigeno, tipica dell’infarto), promuova la degradazione della proteina MLKL. In pratica, l’NHE1 attivato aiuta la cellula a “ripulirsi” dalla MLKL attraverso un processo chiamato autofagia (specificamente, la via autofagosoma-lisosomiale), impedendo così che si inneschi la necroptosi e che la cellula muoia.
Per essere sicuri, abbiamo creato topi knockout per MLKL (cioè senza la proteina MLKL) e topi doppio knockout (senza NHE1 e senza MLKL). Come previsto, togliere di mezzo MLKL annullava gli effetti negativi della mancanza o dell’inibizione di NHE1 nell’infarto con iperglicemia. Questo conferma che MLKL è un bersaglio cruciale dell’azione protettiva mediata da NHE1 in questo contesto.
Nuove Armi Terapeutiche: Attivare l’NHE1
Se attivare l’NHE1 è benefico, come possiamo farlo farmacologicamente? Abbiamo esplorato due strade:
- Soluzione Salina Ipertonica (NaCl al 3%): Visto che l’iperglicemia sembrava associata a un calo del sodio extracellulare e che l’NHE1 risponde alle concentrazioni di sodio, abbiamo provato a somministrare una soluzione di NaCl al 3% (usata a volte per correggere bassi livelli di sodio nel sangue) ai topi subito dopo l’infarto con iperglicemia. Ha funzionato! I topi trattati avevano una funzione cardiaca migliore e meno fibrosi. È importante notare che questa soluzione non ha avuto effetti (né positivi né negativi) nei topi con infarto senza iperglicemia, suggerendo una buona specificità e sicurezza.
- Acido Litospermico (LA): Attraverso uno screening virtuale e farmacologico, abbiamo identificato l’Acido Litospermico, un composto derivato dalla Salvia miltiorrhiza (una pianta usata nella medicina tradizionale cinese), come potenziale attivatore dell’NHE1. Anche il trattamento con LA ha mostrato effetti cardioprotettivi simili a quelli della soluzione salina nei nostri modelli animali. Sembra agire in modo più specifico sull’NHE1 rispetto al NaCl.

Questi risultati sono entusiasmanti perché aprono la strada a strategie terapeutiche completamente nuove e mirate per quella fetta non trascurabile di pazienti che subiscono un infarto complicato da iperglicemia acuta.
Implicazioni Cliniche: Una Nuova Speranza?
Quello che emerge è il duplice ruolo dell’NHE1: dannoso se iperattivato nell’infarto “classico”, ma protettivo se attivato (o se la sua inibizione viene evitata) nell’infarto con iperglicemia. Questo spiega forse perché gli inibitori dell’NHE1, promettenti negli studi preclinici, hanno dato risultati contrastanti negli studi clinici sull’uomo, dove la popolazione di pazienti è molto più eterogenea e include casi con iperglicemia.
La nostra ricerca suggerisce che un’attivazione moderata e controllata dell’NHE1, magari tramite composti come l’Acido Litospermico o, in casi selezionati, con infusioni di soluzione salina ipertonica, potrebbe diventare un’opzione terapeutica per ridurre il danno cardiaco e migliorare la prognosi nei pazienti con infarto miocardico e iperglicemia acuta.
In Conclusione: Una Nuova Via per Proteggere il Cuore
Per la prima volta, abbiamo dimostrato che l’NHE1 nei cardiomiociti può giocare un ruolo protettivo nell’infarto aggravato da iperglicemia, agendo come un freno sulla necroptosi tramite la degradazione autofagica di MLKL. È una scoperta che non solo ci fornisce nuovi potenziali farmaci candidati, ma ci offre anche una comprensione più profonda della complessa biologia dell’infarto, aprendo nuove prospettive per trattamenti personalizzati in base alle caratteristiche specifiche del paziente e del tipo di infarto. La strada è ancora lunga, ma abbiamo forse trovato un alleato inaspettato nella lotta contro questa condizione cardiaca così pericolosa.
Fonte: Springer
