Primo piano di un radiologo interventista che osserva attentamente uno schermo di navigazione 3D durante una procedura di ablazione per osteoma osteoide. Focus sullo schermo che mostra l'anatomia ossea e la traiettoria dell'ago, e sulle mani guantate del medico che controllano gli strumenti. Lente prime 50mm, profondità di campo ridotta che sfoca lo sfondo della sala operatoria, illuminazione focalizzata sullo schermo e sul medico.

Navigazione Stereotassica per Osteoma Osteoide: Meno Radiazioni o Sorpresa Amara?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta particolarmente a cuore, un argomento che unisce tecnologia avanzata e la cura di una patologia ossea piuttosto fastidiosa: l’osteoma osteoide. Magari non ne avete mai sentito parlare, ma per chi ne soffre, soprattutto giovani e giovanissimi, può essere un vero incubo.

Cos’è l’Osteoma Osteoide? Un Ospite Indesiderato

Immaginate un piccolo tumore osseo benigno, non canceroso per fortuna, ma capace di provocare un dolore intenso, soprattutto di notte. Questo è l’osteoma osteoide. Colpisce prevalentemente bambini, adolescenti e giovani adulti (tra i 10 e i 20 anni), con una predilezione per il sesso maschile. Le ossa lunghe delle gambe, come femore e tibia, sono le sue “preferite”, ma può comparire anche altrove, persino nella colonna vertebrale causando scoliosi dolorose.

Il dolore, si pensa, derivi dalle prostaglandine prodotte dal tumore stesso, che causano vasodilatazione e comprimono le terminazioni nervose. La buona notizia? Risponde benissimo ai comuni farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), proprio perché questi bloccano le prostaglandine. Ma cosa succede se i FANS non bastano più, non sono tollerati o il dolore limita troppo la vita quotidiana? Si passa all’azione.

La Radiofrequenza: Il Gold Standard Minimamente Invasivo

Fino a qualche tempo fa, l’unica opzione era la chirurgia tradizionale, l’asportazione “en bloc” del tumore. Efficace, sì, ma con tassi di recidiva non trascurabili (fino al 25%) e le ovvie conseguenze di un intervento chirurgico (cicatrici, rischio di fratture, recupero più lungo).

Oggi, per fortuna, abbiamo un’arma molto più precisa e meno invasiva: l’ablazione percutanea a radiofrequenza (RFA). In pratica, sotto guida radiologica (solitamente la TC, la Tomografia Computerizzata), inseriamo un sottile ago-antenna direttamente nel “nidus” del tumore (il suo nucleo centrale) e lo “bruciamo” con il calore generato dalle onde a radiofrequenza, portandolo a circa 90°C. È una tecnica elegante, descritta per la prima volta nel 1992, che ha dimostrato risultati pari o superiori alla chirurgia, con tassi di recidiva più bassi (tra 5% e 20%) e complicanze minime (meno del 5%, spesso solo piccole bruciature cutanee). I vantaggi sono enormi: minima cicatrice, basso rischio per le strutture vicine, recupero rapidissimo.

Il Dilemma della TC: Precisione vs. Radiazioni

La chiave del successo dell’RFA è la precisione: bisogna centrare perfettamente il nidus. La TC è fantastica per questo, ci permette di vedere esattamente dove stiamo andando. Ma c’è un “ma”, soprattutto considerando che i pazienti sono spesso giovanissimi: le radiazioni ionizzanti. Ogni scansione TC, per quanto necessaria, contribuisce alla dose totale di radiazioni assorbita dal paziente. Ridurre questa dose è un obiettivo fondamentale. Come fare?

Qui entra in gioco la tecnologia: i sistemi di navigazione stereotassica computer-assistita. Immaginateli come dei GPS super avanzati per la sala operatoria. Utilizzando immagini TC (a volte fuse con immagini RMN pre-operatorie per una visione ancora più dettagliata), questi sistemi guidano la mano dell’operatore, permettendo di pianificare la traiettoria migliore per l’ago e di seguirla con estrema precisione. L’idea, o meglio, la speranza, è che questa guida “intelligente” permetta di:

  • Ridurre il numero di volte in cui dobbiamo riposizionare l’ago per centrare il bersaglio.
  • Diminuire il numero di TC di controllo necessarie durante la procedura.
  • Di conseguenza, abbassare la dose totale di radiazioni.
  • Magari, anche velocizzare l’intera procedura.

Immagine medica CT che mostra un osteoma osteoide in un osso lungo, evidenziando il nidus centrale ipodenso e la sclerosi reattiva circostante. Illuminazione controllata, lente macro 90mm, alta definizione per dettaglio osseo.

Il Nostro Studio: Navigazione CAS-One IR alla Prova dei Fatti

Presso la nostra clinica (Inselspital di Berna), abbiamo utilizzato per un certo periodo un sistema di navigazione specifico, il CAS-One IR, già impiegato con successo per le ablazioni di tumori epatici. Ci siamo chiesti: questo sistema ci aiuterà a raggiungere gli obiettivi sperati anche per l’osteoma osteoide?

Abbiamo quindi condotto uno studio retrospettivo, andando a rivedere le cartelle cliniche di 19 pazienti sottoposti a un totale di 27 ablazioni tra il 2012 e il 2022. In ogni procedura, era stato il medico operatore a decidere se usare o meno la navigazione stereotassica. Abbiamo raccolto dati su:

  • Numero di riposizionamenti dell’ago necessari.
  • Tempo impiegato per raggiungere il posizionamento corretto dell’ago.
  • Durata totale della procedura.
  • Dose totale di radiazioni (espressa in DLP, mGy*cm).

Abbiamo analizzato questi dati usando un approccio statistico robusto (inferenza Bayesiana), particolarmente adatto anche a campioni di piccole dimensioni come il nostro, per cercare differenze significative tra le procedure eseguite con e senza navigazione.

I Risultati: Una Sorpresa Inaspettata

E qui arriva il colpo di scena. Contrariamente alle nostre aspettative e a quanto riportato in alcuni studi su altri sistemi di navigazione (come StealthStation o O-arm), i nostri risultati hanno mostrato qualcosa di diverso.

Dose di Radiazioni: Abbiamo riscontrato una dose di radiazioni statisticamente e clinicamente significativa più alta quando veniva utilizzata la navigazione stereotassica. In media, circa 200 mGy*cm in più per procedura rispetto alle procedure senza navigazione. Un risultato decisamente controintuitivo!

Riposizionamenti dell’Ago: C’era una tendenza a richiedere un riposizionamento in meno con la navigazione, ma la differenza non era statisticamente conclusiva con i numeri a nostra disposizione. Diciamo un “forse”, ma nulla di certo.

Tempi della Procedura: Nessuna differenza significativa. Né il tempo per posizionare l’ago, né la durata totale dell’intervento cambiavano in modo rilevante tra l’usare o non usare la navigazione.

Sala operatoria di radiologia interventistica durante una procedura di ablazione con navigazione stereotassica CAS-One IR. Si vede il braccio di navigazione vicino al paziente sul lettino CT, schermi che mostrano immagini 3D della pianificazione e il team medico. Lente zoom 35mm, profondità di campo media.

Ma Perché Questi Risultati? Le Possibili Spiegazioni

Come mai questa discrepanza? Dobbiamo essere onesti e considerare diversi fattori che potrebbero aver influenzato i risultati:

1. La Curva di Apprendimento: Ogni nuova tecnologia richiede un periodo di rodaggio. È possibile che l’aumento delle radiazioni rifletta la fase iniziale di apprendimento da parte degli operatori nell’usare e fidarsi del sistema. Forse abbiamo eseguito più scansioni di controllo del necessario all’inizio, proprio per verificare che il “navigatore” ci stesse portando nel posto giusto. Con più esperienza, probabilmente, il numero di scansioni e la dose di radiazioni diminuirebbero.
2. Bias di Selezione: Questa è un’ipotesi molto importante. La scelta di usare o meno la navigazione non era casuale, ma lasciata all’operatore. È molto probabile che i medici abbiano scelto di usare il sistema di navigazione proprio per i casi considerati più difficili: lesioni in posizioni anatomiche complesse, vicine a nervi o vasi sanguigni, dove la massima precisione era cruciale. Al contrario, per le lesioni più “facili”, si è preferita la tecnica convenzionale. Questo “bias” potrebbe aver mascherato i potenziali benefici della navigazione (che magari avrebbe fatto risparmiare tempo e riposizionamenti proprio in quei casi difficili) e aver fatto sembrare la navigazione meno vantaggiosa in termini di tempo e radiazioni rispetto a procedure intrinsecamente più semplici.
3. Variabilità tra Operatori: Diversi medici hanno eseguito le procedure, ognuno con il proprio livello di esperienza e stile operativo. Questo introduce una variabilità che è difficile da isolare.
4. Fattori Tecnici: L’uso del braccio metallico del navigatore può creare artefatti nelle immagini TC se si trova nel fascio di raggi, richiedendo a volte più scansioni o scansioni più ampie. Pianificare traiettorie più angolate potrebbe ridurre questo problema.

Va anche detto che, in alcuni casi specifici, la navigazione ha permesso interventi che sarebbero stati estremamente complessi o impossibili altrimenti, come nel caso di un osteoma non visibile alla TC ma solo alla RMN, localizzato vicino alla placca di crescita nel ginocchio di un giovane paziente. La fusione di immagini RMN e TC offerta dal sistema è stata fondamentale per trattare il tumore senza danneggiare la cartilagine di accrescimento.

Infografica che confronta la dose media di radiazioni (mGy*cm) tra ablazione di osteoma osteoide con navigazione stereotassica (barra più alta, circa 428) e senza navigazione (barra più bassa, circa 230). Design pulito, colori blu e grigio duotone.

Conclusioni: Tecnologia Utile, Ma con Cautela (e Pratica!)

Quindi, cosa ci portiamo a casa da questa esperienza? La navigazione stereotassica per l’ablazione dell’osteoma osteoide è una tecnologia affascinante e potenzialmente molto utile, specialmente nei casi complessi. Tuttavia, il nostro studio suggerisce che, almeno nella fase iniziale di adozione e con il sistema specifico da noi utilizzato (CAS-One IR), non si traduce automaticamente in una riduzione delle radiazioni o dei tempi procedurali, anzi, nel nostro campione ha comportato una dose radiante maggiore.

Questo non significa bocciare la tecnologia in toto. Sottolinea piuttosto l’importanza cruciale della curva di apprendimento e della possibile influenza del bias di selezione nei casi più difficili. Probabilmente, con maggiore esperienza e magari con protocolli più standardizzati, i benefici in termini di riduzione delle radiazioni potrebbero emergere, allineandosi a quanto visto in altri studi con sistemi diversi o per altre applicazioni (come i tumori epatici).

L’obiettivo primario resta sempre quello di trattare efficacemente il dolore dell’osteoma osteoide, e in questo sia la tecnica convenzionale che quella navigata si sono dimostrate efficaci nel nostro campione. Ma la sfida di farlo con la minor dose di radiazioni possibile, specialmente per i nostri pazienti più giovani, rimane aperta e richiede continua ricerca e ottimizzazione delle tecniche. La tecnologia è uno strumento potente, ma va compreso a fondo e usato con saggezza.

Fonte: Springer

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