Nascere Nera: L’Ombra Pesante del Razzismo su Gravidanza e Parto
Ciao a tuttə! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta particolarmente a cuore, un argomento che scuote le fondamenta di quello che dovrebbe essere uno dei momenti più gioiosi nella vita di una persona: la nascita di un figlio. Immaginate l’attesa, i sogni, le speranze… e poi immaginate che tutto questo sia velato da una costante, strisciante preoccupazione, non per le solite ansie da futuri genitori, ma per il colore della vostra pelle. Sì, avete capito bene. Parliamo di come il razzismo anti-Nero influenzi profondamente l’esperienza della gravidanza e del parto per le donne Nere.
Recentemente mi sono imbattuta in uno studio illuminante, una seconda analisi trasversale dei dati del “Giving Voice to Mothers”, che ha messo nero su bianco quello che molte donne Nere vivono sulla propria pelle. E i risultati, ve lo dico subito, sono un pugno nello stomaco.
Un’ombra sulla gioia: la preoccupazione dilagante
Pensate che circa il 71% delle donne Nere intervistate ha dichiarato di essere preoccupata per la propria esperienza di gravidanza e parto, e per quella della propria comunità. Non è una paura campata in aria, ma una reazione più che comprensibile a un sistema che, troppo spesso, le delude e le discrimina. Questa preoccupazione non è solo un “sentimento”, ma un vero e proprio fardello emotivo che si aggiunge a un periodo già di per sé delicato.
Ma da dove nasce questa ansia? Lo studio ha indagato due forme subdole e pervasive di discriminazione: il razzismo ostetrico e il razzismo strutturale. So che sembrano paroloni, ma cerchiamo di capire insieme di cosa si tratta, perché è fondamentale.
Cos’è il razzismo ostetrico? Non solo “maltrattamenti”
Quando parliamo di razzismo ostetrico, non ci riferiamo solo a un episodio isolato di maltrattamento. È qualcosa di più profondo. La dottoressa Dána-Ain Davis lo definisce come l’intersezione tra razzismo medico e violenza ostetrica. Si manifesta in tanti modi:
- Errori diagnostici o ritardi nelle cure.
- Atteggiamenti di sufficienza, negligenza o mancanza di rispetto da parte del personale sanitario.
- Procedure eseguite senza consenso o con coercizione.
- Dolore inflitto intenzionalmente o non preso sul serio.
- Vere e proprie “cerimonie di degradazione” che minano la dignità della persona.
Questi non sono “incidenti”, ma pratiche che hanno radici storiche nel razzismo anti-Nero e nell’eugenetica, e che purtroppo persistono. Lo studio ha usato come indicatore di razzismo ostetrico i “maltrattamenti” subiti, e indovinate un po’? Le donne Nere che avevano subito razzismo ostetrico erano significativamente più propense a essere preoccupate per la gravidanza e il parto.
E il razzismo strutturale? Un nemico invisibile ma potente
Il razzismo strutturale è forse ancora più insidioso perché è intessuto nelle leggi, nelle politiche, nelle pratiche delle nostre istituzioni, sanitarie e non. Non è il singolo individuo razzista, ma un sistema che svantaggia sistematicamente le persone Nere e altri gruppi razzializzati, mentre ne favorisce altri. Nello studio, questo è stato misurato, ad esempio, attraverso la percezione di avere “risorse nascoste” o, meglio, la mancanza di queste. Un esempio? La sensazione che le donne di colore abbiano semplicemente meno opzioni per l’assistenza alla gravidanza e al parto.
E qui arriva il dato che fa davvero riflettere: quando il razzismo strutturale si manifestava come “risorse nascoste” (cioè, quando le donne Nere percepivano di avere meno opzioni di cura), quelle che avevano anche subito razzismo ostetrico durante l’assistenza erano 15,6 volte più propense a preoccuparsi per la gravidanza e il parto rispetto a chi non aveva subito razzismo ostetrico. Un numero enorme, che ci dice quanto questi due livelli di razzismo si alimentino a vicenda, creando un cocktail tossico di ansia e sfiducia.

È come se il sistema ti dicesse: “Non solo hai meno scelte a disposizione, ma anche quando accedi a quelle poche, rischi di essere trattata male”. Come si fa a non essere preoccupate?
Stereotipi duri a morire: la “Welfare Queen” e l’impatto sulla cura
Un altro aspetto toccato dallo studio riguarda gli stereotipi. Avete presente l’immagine della “welfare queen”, la regina dell’assistenzialismo? È uno stereotipo razzista e sessista affibbiato spesso alle donne Nere, come se dipendessero più di altre dall’assistenza pubblica. Lo studio ha rilevato che la percezione di questo stereotipo da parte del personale sanitario (ad esempio, l’idea che “se una donna Nera incinta si presenta in uno studio medico di un bianco, il personale presume che sia assistita dai servizi sociali”) è un altro fattore che si lega alla preoccupazione. Anche se l’interazione non ha raggiunto la significatività statistica piena in questo campione, il dato era comunque molto alto e suggestivo.
Le donne Nere sono consapevoli di questi stereotipi e, come racconta la Dott.ssa Davis, a volte mettono in atto delle vere e proprie strategie di “ricognizione razziale”, come menzionare il proprio status educativo o sociale, nel tentativo di evitare o mitigare incontri razzisti. Ma vi rendete conto dello sforzo erculeo che questo comporta, in un momento in cui dovrebbero solo pensare al proprio benessere e a quello del nascituro?
Quando la “pressione” non è percepita come coercizione
È interessante notare che, nello studio, la “pressione” a subire determinate procedure durante il travaglio o il parto (come l’epidurale, il cesareo, l’induzione) non è emersa come un fattore significativamente associato alla preoccupazione. Questo potrebbe significare che la pressione, se non accompagnata da minacce esplicite, forza o abusi verbali/fisici, potrebbe non essere sempre percepita come coercizione diretta, ma magari come una comunicazione insistente sui rischi/benefici da parte del medico. Tuttavia, sappiamo da altri studi che le donne Nere hanno maggiori probabilità di subire procedure non consensuali. Quindi, è un’area che merita ulteriori approfondimenti, magari analizzando proprio il “non consenso” come misura del razzismo ostetrico.
Oltre la sopravvivenza: il diritto alla sicurezza emotiva e alla giustizia riproduttiva
Questi risultati non fanno che sottolineare una verità amara: le preoccupazioni delle donne Nere sono radicate nelle ingiustizie riproduttive che subiscono. Non si tratta solo di “sopravvivere” al parto, ma di avere il diritto a un’esperienza che sia sicura anche dal punto di vista emotivo, dignitosa, rispettosa della propria autonomia. La giustizia riproduttiva, definita dalle Donne di Discendenza Africana per la Giustizia Riproduttiva già nel 1995, include il diritto di mantenere l’autonomia personale, il diritto di avere o non avere un figlio, e il diritto di crescere i figli in ambienti sicuri e sani. Il parto è una delle prime opportunità per esercitare questo diritto in un ambiente sicuro.
Quando il razzismo ostetrico e strutturale minano questa sicurezza, quando ti spogliano della tua autonomia, quando ti fanno sentire invisibile o, peggio, un problema, allora stiamo parlando di una profonda violazione dei diritti umani. E la preoccupazione, l’ansia, la paura diventano compagne costanti.

Lo studio, pur con i suoi limiti (come la dimensione del campione o la natura trasversale dei dati, che non permette di stabilire causalità dirette), apre una finestra importante. Ci dice che non abbiamo bisogno di continui paragoni con gruppi di riferimento bianchi per validare le esperienze delle donne Nere. Le loro voci, le loro preoccupazioni, sono valide di per sé e devono essere il punto di partenza per un cambiamento.
Un fardello invisibile: la necessità di un cambiamento radicale
Cosa possiamo portarci a casa da tutto questo? Innanzitutto, la consapevolezza che la preoccupazione delle donne Nere riguardo alla gravidanza e al parto non è irrazionale, ma una risposta logica a un sistema che troppo spesso le espone a danni razzializzati. In secondo luogo, che la sicurezza emotiva è importante tanto quanto la sicurezza fisica. Sentirsi al sicuro, ascoltate, rispettate: questo dovrebbe essere lo standard per tuttə, non un privilegio.
Eliminare il razzismo ostetrico e le molteplici forme di razzismo strutturale, sia dentro che fuori l’ambiente sanitario, è l’unico modo per garantire che le madri e le persone partorienti Nere possano vivere la gravidanza e il parto libere da questa angosciante preoccupazione. È una questione di giustizia, di diritti, di umanità. E credo sia responsabilità di ognuno di noi contribuire a questo cambiamento, ascoltando, imparando e agendo.
Fonte: Springer
