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Morti CON o PER COVID? La Sorprendente Verità dall’Ondata Omicron in Grecia

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una questione che ha tenuto banco per tutta la pandemia, ma che con l’arrivo della variante Omicron è diventata ancora più spinosa: quando una persona positiva al SARS-CoV-2 moriva in ospedale, era morta per il COVID-19 o semplicemente con il COVID-19? Sembra una sottigliezza, ma credetemi, fa tutta la differenza del mondo, soprattutto quando si tratta di capire il vero impatto del virus e di prendere decisioni di sanità pubblica.

Mi sono imbattuto in uno studio affascinante condotto ad Atene, in Grecia, proprio durante il picco dell’ondata Omicron (parliamo del periodo tra gennaio e agosto 2022). I ricercatori si sono posti esattamente questa domanda e hanno fatto un lavoro certosino che va ben oltre la semplice lettura dei certificati di morte.

Il Contesto Greco e la Definizione Ufficiale

Vedete, in Grecia, come in molti altri posti (tipo Regno Unito e Danimarca, anche se con leggere differenze), la regola iniziale era piuttosto semplice: se un paziente moriva in ospedale e risultava positivo al test per il SARS-CoV-2, quella morte veniva registrata ufficialmente come “morte per COVID-19”. Punto. Una definizione chiara, utile per monitorare la situazione in tempo reale, specialmente durante le prime ondate, inclusa quella della variante Delta. Pare che in quel periodo la precisione fosse molto alta, si parlava del 92-97% nel Regno Unito e solo un 10-20% di “errori” in Danimarca durante l’ondata Delta.

Poi, però, è arrivata Omicron. Ricordate? Gennaio 2022, un’impennata pazzesca di contagi. Questa variante era super infettiva, ma sembrava causare meno malattie gravi e decessi rispetto alle precedenti. In più, in Grecia (come da noi), una buona fetta della popolazione era vaccinata. A questo punto, il sospetto ha iniziato a farsi strada: non è che molti pazienti, magari anziani e con altre malattie serie, morivano per le loro patologie preesistenti, pur essendo casualmente positivi al COVID-19? La definizione ufficiale iniziava a scricchiolare.

Lo Studio di Atene: Come Abbiamo Fatto?

Ed è qui che entra in gioco lo studio greco. I ricercatori non si sono accontentati dei certificati di morte, che a volte possono essere imprecisi o compilati frettolosamente (spesso da medici più giovani, senza autopsie a supporto, come sottolineano gli stessi autori). Hanno preso in esame 530 decessi avvenuti in sette grandi ospedali di Atene, tutti registrati ufficialmente come morti per COVID-19.

Cosa hanno fatto di diverso? Hanno fatto tre cose fondamentali per ogni singolo caso:

  • Hanno esaminato il certificato di morte.
  • Hanno spulciato da cima a fondo la cartella clinica del paziente (sia cartacea che elettronica), raccogliendo dati demografici, comorbidità (malattie preesistenti), stato vaccinale, motivo del ricovero, sintomi, esami di laboratorio, radiografie, terapie ricevute (incluse quelle specifiche per il COVID-19).
  • Hanno intervistato il medico curante che aveva seguito il paziente prima del decesso, usando un questionario strutturato per capire la sua opinione sulla causa della morte.

Infine, due ricercatori senior, gente con esperienza su migliaia di pazienti COVID, hanno revisionato indipendentemente tutti i dati e classificato ogni morte in due categorie principali:

  1. Morte “dovuta a” COVID-19: L’infezione era la causa diretta o aveva innescato una catena di eventi che hanno portato al decesso (qui hanno incluso anche i casi in cui il COVID ha “contribuito” alla morte, pur non essendo l’unica causa).
  2. Morte “con” COVID-19: Il decesso non era correlato all’infezione da SARS-CoV-2.

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I Risultati Sorprendenti: Quasi la Metà Non Era “Per” COVID!

E qui arriva il bello. Tenetevi forte: su 530 morti ufficialmente classificate come “per COVID-19”, ben 240 (il 45,3%) sono state riclassificate dai ricercatori come morti “con” COVID-19, cioè non direttamente causate dal virus! Solo nel 54,7% dei casi (290 decessi) il COVID-19 è stato considerato la causa diretta o un fattore contribuente significativo.

Impressionante, vero? Quasi la metà delle morti registrate non erano, secondo questa analisi approfondita, realmente dovute al virus. Pensate a cosa significa per le statistiche ufficiali e per la percezione pubblica della letalità di Omicron.

Interessante anche vedere cosa c’era scritto sui certificati originali. Dei 204 casi in cui il certificato indicava il COVID come causa diretta, l’analisi ha confermato questa valutazione solo nel 64,7% dei casi. Addirittura, in un caso, è stato classificato come non correlato al COVID. Ma ancora più eclatante: dei 324 certificati che indicavano il COVID come fattore contribuente, ben il 73,5% (239 casi) sono stati riclassificati come morti “con” COVID, cioè non correlate!

E di cosa morivano allora questi pazienti “con” COVID? Le cause principali erano:

  • Sepsi batterica / shock settico (105 casi)
  • Polmonite ab ingestis (da aspirazione) (63 casi)
  • Insufficienza renale acuta (10 casi)
  • Ictus (15 casi)
  • Insufficienza cardiaca (19 casi)
  • Tumori solidi o ematologici (28 casi)

Insomma, persone già molto malate per altri motivi.

Chi Moriva “Con” e Chi “Per” COVID?

Analizzando i dati, sono emerse differenze significative tra i due gruppi:

  • I pazienti morti “con” COVID tendevano ad essere leggermente più giovani (età media 79,9 anni vs 83,6), avevano più probabilità di avere un tumore solido, una malattia epatica allo stadio terminale o uno stato di immunosoppressione. Inoltre, era più probabile che avessero contratto l’infezione in ospedale (infezione nosocomiale). Fondamentalmente, non avevano sintomi specifici del COVID-19 al momento del decesso.
  • I pazienti morti “dovute a” COVID erano tendenzialmente più anziani, ricoverati nei reparti dedicati alle malattie infettive, presentavano sintomi chiari di COVID-19 (febbre, difficoltà respiratorie, ecc.), avevano bisogno di ossigeno supplementare e ricevevano terapie specifiche per il COVID-19.

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Perché Questa Differenza è Importante?

Questa distinzione non è un mero esercizio accademico. Ci dice che l’alto numero di decessi riportato durante l’ondata Omicron in Grecia (e probabilmente altrove) rifletteva più l’enorme diffusione del virus nella comunità che non una sua maggiore letalità intrinseca. Se il virus circola tantissimo, è ovvio che molte persone ricoverate per tutt’altri motivi (un infarto, una frattura, le complicanze del diabete) risulteranno positive al tampone fatto all’ingresso o si infetteranno durante la degenza. Se poi queste persone, già fragili, muoiono per la loro patologia di base, la vecchia definizione le classificava erroneamente come “morte per COVID”.

Questo fenomeno, l’iper-registrazione dei decessi COVID durante Omicron, è stato osservato anche in altri paesi. In Danimarca, ad esempio, hanno stimato che a inizio 2022 quasi il 40% delle morti registrate entro 30 giorni da un test positivo fossero in realtà morti “con” COVID, una percentuale molto più alta rispetto al 10-20% dell’era Delta. Anche in Svezia, uno studio simile ha trovato che circa il 24% delle morti attribuite al COVID non erano correlate all’infezione. In Italia, alcuni esperti avevano sollevato proprio questo dubbio, affermando che usare la sola positività come criterio causale avrebbe portato a una sovrastima.

Limiti e Punti di Forza dello Studio

Come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Gli autori sono onesti nel segnalarli:

  • Non hanno incluso i dati dei pazienti trasferiti in terapia intensiva (ICU). Poiché in ICU finiscono spesso pazienti più giovani con complicazioni gravi da COVID, la loro esclusione potrebbe aver sottostimato leggermente le morti “dovute a” COVID.
  • Non hanno considerato i decessi avvenuti dopo la dimissione dall’ospedale.
  • C’è sempre un margine di soggettività nella valutazione dei casi, nonostante l’uso di revisori esperti e dati dettagliati.
  • I risultati sono specifici per Atene durante quel periodo e potrebbero non essere generalizzabili ad altri paesi o varianti successive.

Tuttavia, il grande punto di forza è proprio l’aver superato i limiti dei soli certificati di morte, andando a fondo nelle cartelle cliniche e ascoltando i medici curanti. Questo approccio fornisce un quadro decisamente più accurato.

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Conclusione: La Necessità di Precisione

Insomma, questo studio greco ci lascia un messaggio importante: durante l’ondata Omicron, quasi la metà dei decessi ospedalieri registrati come “morti per COVID-19” ad Atene erano in realtà “morti con COVID-19”. Questo non significa sminuire la pandemia o il virus, ma sottolinea l’importanza cruciale di usare definizioni accurate per capire veramente l’impatto di una malattia infettiva.

Affidarsi solo ai certificati di morte, specialmente in un contesto di altissima circolazione virale con una variante meno severa ma più diffusiva, può portare a conclusioni fuorvianti. Per monitorare le pandemie future e prendere decisioni informate, dobbiamo essere consapevoli di questi bias e sforzarci di ottenere dati il più precisi possibile. Una lezione preziosa, non trovate?

Fonte: Springer

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