Evoluzione Senza Confini? La Scommessa della Morfometria Landmark-Free
Ciao a tutti! Avete mai pensato a come facciamo noi scienziati a studiare l’evoluzione della forma degli organismi, specialmente su scale temporali vastissime, quelle della macroevoluzione? Per decenni, ci siamo affidati a una tecnica chiamata morfometria geometrica. Immaginatela come un modo super preciso per misurare e confrontare le forme anatomiche, ad esempio i teschi di animali vissuti milioni di anni fa con quelli attuali.
Il Metodo Classico: Punti di Riferimento e Pazienza
Il metodo tradizionale si basa sull’identificazione di punti di riferimento anatomici specifici, chiamati landmark, che si presume siano “omologhi”, cioè corrispondenti tra specie diverse perché ereditati da un antenato comune. Pensate all’angolo della mascella, alla punta del naso, a punti specifici sulle suture ossee. Si prendono le coordinate 3D di questi punti, si fa un po’ di magia matematica (come la sovrapposizione Procruste) per eliminare le differenze di posizione, orientamento e dimensione, e voilà: si ottiene la “forma pura”, pronta per essere analizzata.
Questo approccio è potentissimo, non c’è dubbio. Migliaia di studi lo dimostrano. Ma ha i suoi lati negativi. Primo: richiede un sacco di tempo. Piazzare manualmente decine o centinaia di landmark su centinaia di reperti digitali è un lavoro certosino. Secondo: è soggetto a un certo grado di errore o “bias” dell’operatore. Due persone diverse potrebbero non mettere i landmark *esattamente* nello stesso punto. Terzo, e forse il più limitante per chi studia la macroevoluzione come me: trovare landmark omologhi diventa difficilissimo quando si confrontano animali molto diversi tra loro, separati da milioni di anni di evoluzione. Pensate a confrontare il cranio di un topo con quello di una balena! Il numero di punti confrontabili si riduce drasticamente, e con esso la quantità di informazione sulla forma che riusciamo a catturare.
La Nuova Frontiera: L’Analisi Senza Landmark (o Quasi)
Qui entrano in gioco le nuove tecniche, in particolare quelle “landmark-free”, che promettono di superare questi ostacoli. L’idea è quella di catturare la forma nella sua interezza, senza doversi per forza affidare a una manciata di punti omologhi. Esistono diversi approcci, ma quello su cui mi sono concentrato recentemente si basa su un concetto chiamato Large Deformation Diffeomorphic Metric Mapping (LDDMM) e un’applicazione specifica nota come Deterministic Atlas Analysis (DAA).
Non spaventatevi per i nomi! In parole povere, DAA funziona così: invece di partire da landmark fissi, il sistema “impara” una forma media (chiamata “atlante”) dal dataset stesso. Poi, calcola quanta “deformazione” serve per trasformare questo atlante medio in ciascuno dei singoli campioni (i nostri teschi, nel mio caso). Questa deformazione viene quantificata tramite vettori chiamati “momenta”, associati a una serie di “punti di controllo” distribuiti automaticamente attorno all’atlante. Sono questi momenta, che descrivono la traiettoria ottimale di deformazione, a diventare la nostra nuova misura della forma, senza bisogno dei landmark tradizionali. Il bello è che questo processo è largamente automatizzato e può potenzialmente catturare dettagli fini su tutta la superficie dell’oggetto.
La Prova del Nove: Mammiferi Sotto la Lente
Affascinato da queste potenzialità, ho deciso di mettere alla prova il DAA su un dataset bello tosto: 322 crani di mammiferi, appartenenti a 180 famiglie diverse, che coprono un arco evolutivo enorme, inclusi fossili ed esemplari attuali. L’obiettivo era confrontare i risultati ottenuti con il DAA con quelli derivati dalla buona vecchia morfometria geometrica basata su landmark (nel nostro caso, un set bello denso di 754 punti tra landmark e semilandmark).

Il primo scoglio è arrivato subito. Il nostro dataset era “misto”: alcuni modelli 3D derivavano da scansioni TC (tomografia computerizzata), che spesso lasciano “buchi” nelle superfici (mesh aperte), mentre altri venivano da scansioni di superficie, che producono modelli completi e chiusi (mesh chiuse). Il DAA, inizialmente, è andato un po’ in crisi con questa eterogeneità. I risultati mostravano una separazione artificiale tra i due tipi di mesh, un artefatto che non aveva nulla a che fare con la biologia!
La Soluzione? Un “Lifting” Digitale
Come abbiamo risolto? Abbiamo deciso di standardizzare tutto. Utilizzando una tecnica chiamata ricostruzione di superficie Poisson, abbiamo trasformato *tutte* le mesh in modelli “stagni”, chiusi e con una distribuzione più omogenea di vertici e facce. È stato come fare un lifting digitale a tutti i nostri crani! E ha funzionato. Dopo questa standardizzazione, l’artefatto è sparito e i risultati del DAA hanno iniziato ad avere molto più senso biologico, con un miglioramento significativo della corrispondenza con i dati ottenuti tramite landmark manuali. Lezione imparata: la qualità e l’omogeneità dei dati di partenza sono cruciali per questi metodi automatici.
Confronto dei Risultati: Somiglianze e Differenze
Una volta sistemato il problema delle mesh, siamo entrati nel vivo del confronto. Cosa abbiamo scoperto?
- Correlazione sì, ma non perfetta: C’era una correlazione statisticamente significativa tra i pattern di variazione della forma catturati dai due metodi. Questo è incoraggiante! Significa che il DAA sta vedendo qualcosa di biologicamente rilevante e comparabile al metodo classico. Tuttavia, la correlazione non era perfetta (i valori di R-quadro e Mantel r erano moderati, indicando che una parte significativa della variazione catturata da un metodo non era spiegata dall’altro).
- Questione di “Risoluzione”: Nel DAA, si può regolare un parametro chiamato “kernel width” (larghezza del kernel). Questo parametro controlla, in pratica, il livello di dettaglio dell’analisi: una larghezza minore genera più punti di controllo e cattura deformazioni su scala più fine. Abbiamo visto che variare questa larghezza influenzava i risultati e la correlazione con i landmark manuali. Non c’era una “ricetta” unica valida per tutti: per alcuni gruppi tassonomici, una risoluzione più bassa (kernel più largo) dava risultati più simili ai landmark, per altri era il contrario.
- Primati e Cetacei, i “Casi” Difficili: Le differenze più marcate tra i due metodi sono emerse per alcuni gruppi specifici, in particolare Primati e Cetacei. Con i landmark manuali, i cetacei apparivano molto distinti dagli altri mammiferi, mentre con il DAA questa separazione era meno estrema. Al contrario, i primati sembravano più “unici” nell’analisi DAA rispetto a quella con landmark. Visualizzando le differenze tramite mappe di calore sulle superfici dei crani, abbiamo notato che i due metodi tendono a “pesare” diversamente alcune regioni anatomiche. Il DAA, ad esempio, sembrava dare più importanza alla volta cranica (spesso poco campionata dai landmark tradizionali), mentre faticava un po’ di più a catturare caratteristiche come l'”accavallamento” delle ossa (telescoping) tipico dei cetacei.

E la Macroevoluzione? Cosa Cambia?
Ok, i metodi danno risultati un po’ diversi sulla forma in sé. Ma questo si traduce in conclusioni differenti quando facciamo analisi macroevolutive vere e proprie? Abbiamo verificato tre aspetti chiave:
- Segnale Filogenetico: Misura quanto la forma è correlata alla storia evolutiva (cioè, quanto le specie imparentate si assomigliano). Tutti i metodi hanno trovato un segnale filogenetico significativo. Interessante notare che il segnale tendeva a diminuire leggermente nel DAA all’aumentare della risoluzione (più punti di controllo). Forse perché a risoluzioni molto alte si inizia a catturare anche “rumore” o variazioni non strettamente omologhe?
- Disparità Morfologica: Misura quanta varietà di forme esiste all’interno di gruppi specifici (ad esempio, gruppi con diete diverse o modalità locomotorie diverse). Qui i risultati erano più variabili. Le stime di disparità del DAA erano generalmente più basse di quelle ottenute con i landmark, ma tendevano ad avvicinarsi man mano che aumentavamo la risoluzione.
- Tassi Evolutivi: Misura quanto velocemente la forma è cambiata nel tempo all’interno di quei gruppi. Sorprendentemente, le stime dei tassi evolutivi erano abbastanza comparabili e significativamente correlate tra i due metodi, specialmente per quanto riguarda l’adattamento alla locomozione.
Questo suggerisce che, nonostante le differenze nel modo di “vedere” la forma, il DAA può comunque fornire insight macroevolutivi simili a quelli tradizionali, almeno per certe domande.
Pro e Contro del Landmark-Free (Versione DAA)
Tirando le somme, quali sono i vantaggi e gli svantaggi emersi da questa analisi?
Vantaggi:
- Velocità ed Efficienza: Il DAA è drasticamente più veloce. L’analisi dei 322 crani ha richiesto circa 120 ore con il DAA (inclusa la preparazione delle mesh Poisson), contro le circa 750 ore (!) stimate per il piazzamento manuale dei landmark da parte di un esperto. Se si parte da dati già omogenei (solo TC o solo scansioni di superficie), il tempo di analisi scende a poche ore! Questo apre le porte ad analisi su dataset enormi, impensabili prima.
- Automazione e Ripetibilità: Riduce il bias dell’operatore e aumenta la possibilità di replicare i risultati.
- Copertura Spaziale: Potenzialmente cattura la forma in modo più completo, includendo regioni spesso trascurate dai landmark.
- Applicabilità a Forme Diverse: Meno vincolato dalla necessità di trovare punti omologhi, è promettente per confrontare taxa molto disparati.
Svantaggi (o Sfide Attuali):
- Sensibilità alla Qualità dei Dati: Richiede dati di input (mesh) omogenei e di buona qualità. La standardizzazione è fondamentale se si usano dati misti.
- Gestione dei Dati Incompleti: I fossili sono spesso incompleti. Il DAA, nella sua forma attuale, fa più fatica dei metodi basati su landmark a gestire parti mancanti, che possono introdurre artefatti.
- Confusione tra Omologia e Analogia: Catturando tutta la superficie, può dare peso a strutture non omologhe (come corna o denti molto grandi presenti solo in alcuni gruppi) o a variazioni dovute a parti mancanti, confondendo un po’ il segnale biologico “puro”, specialmente ad alte risoluzioni.
- Scaling e Relazioni tra Parti: Lo scaling automatico basato sull’intera mesh potrebbe non catturare accuratamente le proporzioni relative tra le diverse ossa del cranio come fanno i landmark posizionati strategicamente.

La Strada è Tracciata: Prossimi Passi
Questo studio ci dice che la morfometria landmark-free come il DAA è una strada promettente, ma c’è ancora lavoro da fare. Molte delle sfide attuali ricordano quelle affrontate agli albori della morfometria geometrica classica, poi superate con nuovi sviluppi.
Cosa bolle in pentola?
- Intelligenza Artificiale per Dati Incompleti: Tecniche di deep learning potrebbero aiutarci a “predire” o ricostruire le parti mancanti nei fossili prima di applicare il DAA.
- Analisi per Singoli Elementi: Invece di analizzare il cranio intero, potremmo “segmentarlo” automaticamente nelle sue ossa componenti (usando altri tool di computer vision) e applicare il DAA a ciascun osso omologo. Questo aiuterebbe a preservare meglio l’omologia e a studiare l’evoluzione modulare.
- Filtrare il “Rumore”: Sviluppare metodi per identificare e magari escludere o pesare diversamente le regioni non omologhe (come corna, denti particolari) dall’analisi della forma complessiva.
- Controllo Anatomico sui Punti di Controllo: Forse in futuro potremo guidare il posizionamento dei punti di controllo DAA basandoci su regioni anatomiche definite, unendo la potenza della copertura globale con una maggiore interpretabilità biologica.
Conclusione: Un Nuovo Potente Strumento nel Nostro Arsenale
Insomma, la morfometria landmark-free, e il DAA in particolare, non è (ancora) la bacchetta magica che sostituisce del tutto i metodi tradizionali. Ma rappresenta un passo avanti importantissimo verso l’analisi di dati morfologici sempre più grandi e complessi, nell’era dei “big data” anche in biologia evoluzionistica e paleontologia.
È uno strumento potente che, se usato con consapevolezza dei suoi attuali limiti e punti di forza, e grazie ai continui miglioramenti, ci permetterà di esplorare l’evoluzione della forma con una risoluzione e su una scala senza precedenti. La capacità di analizzare rapidamente centinaia, forse migliaia, di forme in dettaglio aprirà nuove, eccitanti finestre sul passato e sul presente della vita sulla Terra. E io non vedo l’ora di vedere cosa scopriremo!

Fonte: Springer
