Alzheimer: Una Nuova Molecola Accende la Speranza e Potenzia la Memoria nei Topi!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente entusiasmante che sta succedendo nel mondo della ricerca sull’Alzheimer. Come sapete, questa malattia è un avversario tosto, la sesta causa di morte negli Stati Uniti e, diciamocelo, le terapie attuali lasciano un po’ a desiderare. Offrono un sollievo temporaneo, rallentano marginalmente il declino cognitivo, ma non sono la soluzione definitiva che tutti speriamo. C’è un bisogno disperato di nuovi approcci, di qualcosa che possa davvero fare la differenza.
Ed è qui che entra in gioco una proteina affascinante chiamata clusterina (CLU). Pensate che una specifica mutazione nel gene CLU è il terzo fattore di rischio genetico più importante per l’Alzheimer ad esordio tardivo! Questa mutazione ostacola la produzione di una forma particolare di clusterina, quella secreta (sCLU), che ha un ruolo cruciale: aiuta a gestire l’aggregazione e l’eliminazione di due proteine “cattive” implicate nell’AD, la beta-amiloide (Aβ) e la tau.
Ma cosa fa esattamente questa sCLU?
Immaginate la sCLU come una sorta di “guardia del corpo” o “spazzino” super efficiente nel nostro cervello. Ha un sacco di compiti importanti:
- Si lega alle proteine tossiche come Aβ e tau, impedendo loro di aggregarsi e formare quelle placche e grovigli dannosi che vediamo nell’Alzheimer.
- Aiuta a trasportare l’Aβ fuori dal cervello, attraverso la barriera emato-encefalica, o verso cellule specializzate (le cellule gliali) che la degradano.
- Protegge le cellule nervose dalla morte programmata (apoptosi).
- Stimola la comunicazione tra neuroni (neurotrasmissione eccitatoria).
- Attiva percorsi di segnalazione che possono ridurre la fosforilazione della proteina tau (un altro segno distintivo dell’AD).
- Combatte lo stress ossidativo, la disfunzione mitocondriale e l’infiammazione.
Insomma, la sCLU è una vera alleata del nostro cervello! L’ipotesi prevalente è che mentre la sCLU è protettiva, altre forme di clusterina che rimangono all’interno della cellula (nCLU) potrebbero addirittura favorire la morte cellulare. Quindi, l’idea è semplice ma potente: e se potessimo aumentare i livelli di sCLU nel cervello? Potrebbe essere una nuova strategia terapeutica? Studi precedenti, in cui sCLU ricombinante è stata somministrata a topi modello di AD, hanno mostrato risultati promettenti: riduzione dell’accumulo di Aβ, della perdita neuronale e dei marcatori infiammatori. Questo ci ha dato la spinta per cercare piccole molecole capaci di fare lo stesso lavoro, ma in modo più pratico, magari con una pillola.
La Caccia alla Molecola Miracolosa: DDL-357
Ed eccoci al cuore della nostra scoperta. Abbiamo avviato un programma di ricerca per scovare piccole molecole capaci di aumentare i livelli di sCLU. Utilizzando uno screening ad alto rendimento (HTS), abbiamo testato migliaia di composti su cellule di glioblastoma umano (U-87 MG). E indovinate un po’? Abbiamo trovato dei candidati interessanti! Tra questi spiccavano inibitori di due famiglie di proteine epigenetiche: gli inibitori delle HDAC e gli inibitori delle proteine BET (Bromodomain and Extra-Terminal).
Questi “modulatori epigenetici” agiscono come interruttori che regolano l’espressione dei geni. Sia gli inibitori HDAC che quelli BET avevano già mostrato effetti benefici in modelli animali di AD, riducendo l’infiammazione, la fosforilazione della tau e migliorando la plasticità cerebrale e la funzione cognitiva.
Dopo ulteriori test, abbiamo visto che gli inibitori BET erano generalmente più potenti nell’aumentare la sCLU e meno tossici per le cellule rispetto agli inibitori HDAC. Quindi, abbiamo concentrato i nostri sforzi su di loro. Partendo da un noto inibitore BET, il (+)-JQ1, abbiamo iniziato un lavoro di chimica farmaceutica per creare nuove molecole (NCEs – New Chemical Entities) ancora più potenti, con buone proprietà farmacologiche (assorbimento, distribuzione, metabolismo, escrezione – ADME) e, fondamentale, capaci di attraversare la barriera emato-encefalica per raggiungere il cervello dopo somministrazione orale.
Dopo aver sintetizzato e testato dieci nuovi analoghi, uno in particolare ha soddisfatto tutti i nostri criteri: DDL-357. Questa molecola non solo era potente nell’aumentare la sCLU in vitro, ma mostrava anche ottima solubilità, stabilità, bassa tossicità su vari tipi di cellule (neuronali, renali, epatiche) e, soprattutto, una buona capacità di raggiungere il cervello dopo somministrazione orale nei topi. I test farmacocinetici hanno confermato che DDL-357 raggiungeva concentrazioni cerebrali terapeuticamente rilevanti, superando la soglia necessaria per esercitare il suo effetto sull’aumento di sCLU.
DDL-357 alla Prova dei Fatti: I Test sui Topi
Era il momento della verità: testare DDL-357 in modelli animali di Alzheimer. Abbiamo usato due tipi di topi geneticamente modificati per sviluppare caratteristiche simili all’AD umano: il modello ApoE4TR-5XFAD (che esprime la variante genica umana APOE4, un importante fattore di rischio) e il modello 3xTg-AD (che sviluppa sia placche amiloidi che grovigli di tau).
In uno studio subcronico di due settimane sul modello ApoE4TR-5XFAD, la somministrazione orale di DDL-357 (due volte al giorno) ha portato a un aumento significativo dei livelli di sCLU nell’ippocampo, una regione cerebrale cruciale per la memoria.
Poi siamo passati a uno studio cronico di sei settimane sul modello 3xTg-AD. Qui i risultati sono stati ancora più incoraggianti:
- Abbiamo osservato una riduzione significativa della fosforilazione della proteina tau (specificamente nel sito Ser396), un passo chiave nella formazione dei grovigli neurofibrillari. C’era anche una correlazione inversa: più alti erano i livelli di sCLU, più bassa era la fosforilazione della tau.
- Ancora più importante, i topi trattati con DDL-357 hanno mostrato miglioramenti significativi nelle prestazioni e nella memoria in un test comportamentale chiamato Barnes maze, che valuta l’apprendimento spaziale e la memoria.
Questi risultati in vivo sono stati la prima prova concreta dell’efficacia di DDL-357 nel contrastare alcuni aspetti chiave della patologia dell’Alzheimer e nel migliorare la funzione cognitiva nei modelli animali.
Uno Sguardo più Profondo: Cosa Cambia nel Cervello?
Per capire meglio come agisce DDL-357, abbiamo analizzato il profilo proteico (proteomica) nel tessuto cerebrale dei topi trattati. È stato come aprire una finestra sui meccanismi molecolari! Abbiamo scoperto che DDL-357 non si limita ad aumentare la sCLU, ma influenza positivamente interi network di proteine.
Nei topi ApoE4TR-5XFAD, DDL-357 ha aumentato l’espressione di proteine coinvolte in:
- Funzione mitocondriale: I mitocondri sono le centrali energetiche delle cellule, e la loro disfunzione è un fattore noto nell’AD. DDL-357 ha potenziato proteine chiave della catena respiratoria mitocondriale, suggerendo un effetto protettivo sulla bioenergetica neuronale.
- Plasticità sinaptica: Ha aumentato proteine cruciali per la comunicazione tra neuroni, la formazione di nuove connessioni (sinapsi), il potenziamento a lungo termine (alla base dell’apprendimento) e la memoria.
- Eliminazione degli aggregati proteici: Ha potenziato proteine coinvolte nei sistemi di “pulizia” cellulare (autofagia-lisosomiale e ubiquitina-proteasoma), che aiutano a smaltire le proteine mal ripiegate come Aβ.
Analisi simili nel modello 3xTg-AD hanno confermato l’aumento di proteine importanti per la funzione sinaptica e la memoria.
Oltre la sCLU: Effetti Neuroprotettivi Aggiuntivi
Ma non è finita qui! Studi in vitro su cellule neuronali umane (SH-SY5Y) hanno rivelato altri effetti interessanti di DDL-357:
- Aumento del consumo di ossigeno: Un segno di miglioramento della respirazione mitocondriale.
- Aumento di SirT1 e Humanin: Due molecole con note proprietà neuroprotettive, capaci di contrastare la patologia dell’AD e migliorare la cognizione.
- Promozione della crescita dei neuriti: DDL-357 ha stimolato l’allungamento delle proiezioni neuronali (neuriti) in neuroni derivati da cellule staminali umane (iPSC), un segno di salute e plasticità neuronale. Questo effetto si verificava a concentrazioni simili a quelle raggiunte dal farmaco libero nel cervello dei topi.
Cosa Significa Tutto Questo e Quali Sono i Prossimi Passi?
La scoperta di DDL-357 e della sua classe di molecole (inibitori BET che aumentano sCLU) apre una strada terapeutica davvero nuova e promettente per l’Alzheimer. A differenza di molti approcci attuali che si concentrano su un singolo bersaglio (come la rimozione di Aβ), DDL-357 sembra agire su più fronti: potenzia la sCLU protettiva, migliora la funzione mitocondriale, supporta la plasticità sinaptica e aiuta a ripulire gli aggregati tossici. Questo approccio multifunzionale potrebbe essere la chiave per ottenere benefici più significativi.
Certo, siamo ancora in fase preclinica. I modelli murini sono utili, ma non replicano perfettamente la complessità dell’Alzheimer umano. Serviranno studi futuri con coorti più ampie, un’analisi più approfondita delle differenze tra maschi e femmine, test su altre specie animali e, ovviamente, studi di sicurezza a lungo termine prima di poter pensare a trial clinici sull’uomo. Stiamo anche valutando altri analoghi promettenti, come DDL-356.
Tuttavia, questi risultati sono estremamente incoraggianti. Rappresentano una potenziale nuova classe di farmaci che potrebbero non solo rallentare la progressione dell’AD, ma forse anche migliorare la cognizione lavorando in sinergia con le terapie esistenti. E chissà, forse potrebbero rivelarsi utili anche per altre malattie neurodegenerative caratterizzate da aggregati proteici, come il Parkinson o la SLA.
La strada è ancora lunga, ma ogni passo avanti nella comprensione e nel trattamento dell’Alzheimer è una vittoria. E la scoperta di molecole come DDL-357 ci dà una solida ragione per essere ottimisti!
Fonte: Springer