Ictus nei Topi Svegli: La Rivoluzione Mini-Invasiva che Potrebbe Cambiare Tutto!
Amici della scienza e curiosi di ogni sorta, mettetevi comodi perché oggi vi racconto una storia che ha del rivoluzionario, o almeno, per noi che lavoriamo nel campo della ricerca sull’ictus, lo è eccome! Parliamo di ictus, quella brutta bestia che, solo negli Stati Uniti, colpisce qualcuno ogni 40 secondi. E pensate, l’87% di questi sono ictus ischemici, causati da un grumo, un coagulo, che blocca un’arteria cerebrale, molto spesso l’arteria cerebrale media (MCA). Un bel problema, vero?
Le terapie attuali, come l’attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) o la trombectomia endovascolare, devono essere somministrate super velocemente, entro poche ore. Risultato? Molti pazienti non riescono a riceverle in tempo. E anche quando ci si riesce, circa la metà delle volte, la ricanalizzazione dell’arteria non porta a miglioramenti funzionali. Frustrante, no? Per migliorare queste terapie o trovarne di nuove, abbiamo bisogno di modelli animali che imitino al meglio la malattia umana. Ma qui casca l’asino, o meglio, il topolino da laboratorio.
I Limiti dei Vecchi Modelli di Ictus
I modelli di occlusione dell’MCA che usavamo finora, diciamocelo, non erano il massimo. Avevano un sacco di limiti:
- Producevano infarti enormi, che coinvolgevano aree cerebrali raramente colpite negli umani.
- Richiedevano l’anestesia, che di per sé può influenzare il cervello e proteggerlo, falsando i risultati.
- Spesso mancava una riperfusione, sia spontanea che terapeutica, oppure la ricanalizzazione era troppo brusca, non come quella graduale che si vede negli umani.
- La compatibilità con tecniche di imaging intravitale era scarsa.
- E, ciliegina sulla torta, bisognava fare una craniotomia (aprire il cranio!) per esporre l’MCA, il che interferiva con i processi infiammatori post-ischemici e alterava la dinamica del flusso sanguigno cerebrale (CBF).
Insomma, un bel pasticcio che rendeva difficile tradurre le scoperte dal laboratorio alla clinica.
La Svolta: Particelle Magnetiche e un Pizzico di Genialità
Ed è qui che entriamo in gioco noi, con un’idea che definirei… magnetica! Abbiamo sviluppato un nuovo modello di ictus trombotico minimamente invasivo. Come funziona? Semplice (si fa per dire!): iniettiamo per via endovenosa delle particelle magnetiche rivestite di trombina e, contemporaneamente, posizioniamo un micro-magnete sopra il cranio intatto, proprio sopra l’MCA. Niente craniotomia, avete capito bene!
Questo approccio ci ha permesso di ottenere infarti corticali riproducibili nel territorio dell’MCA, con cambiamenti citologici e immunitari simili a quelli osservati con i modelli più invasivi. E la cosa fichissima è che la lesione prodotta dal nostro modello è stata ridotta dalla somministrazione di tPA, proprio come spereremmo in un paziente!
Ma non è finita qui. Abbiamo scoperto che indurre l’occlusione dell’MCA in animali svegli (sì, avete letto bene, svegli!) porta a lesioni ischemiche più grandi, indipendentemente dal fatto che l’esperimento sia condotto di giorno o di notte. Questo è un passo avanti enorme, perché l’anestesia, come dicevo, è un fattore confondente non da poco. Le particelle magnetiche, inoltre, non hanno mostrato effetti negativi evidenti sui parametri fisiologici o sui biomarcatori immunitari sistemici. Insomma, sembra proprio che abbiamo creato un modello di ictus nei topi che soddisfa molti dei requisiti per mimare l’ictus umano.
Come Siamo Arrivati Fin Qui: Dettagli Tecnici (ma non troppo)
L’idea di usare nanoparticelle magnetizzate non è spuntata dal nulla. Ci siamo ispirati a uno studio precedente, ma volevamo qualcosa che producesse una caduta del flusso sanguigno cerebrale (CBF) di almeno l’85%, necessaria per indurre un danno ischemico. Per farlo, abbiamo posizionato un magnete sull’osso temporale e iniettato le particelle magnetiche in vena. È stata necessaria anche una legatura temporanea dell’arteria carotide comune ipsilaterale per far sì che le particelle si aggregassero in modo riproducibile a livello dell’MCA.
All’inizio abbiamo provato particelle da 180 nm, ma non riducevano abbastanza il CBF. Quelle da 500 nm andavano meglio, ma appena toglievamo il magnete, la riperfusione era immediata, un po’ come nel modello a filamento intraluminale. Noi, invece, volevamo mimare la riperfusione graduale che si osserva nei pazienti. Così, abbiamo progettato delle nanoparticelle magnetiche personalizzate, rivestite di albumina di siero bovino (BSA) e coniugate a trombina bovina (le abbiamo chiamate tMP). Queste tMP da 500 nm ci hanno dato la caduta di CBF desiderata e, soprattutto, un’occlusione più stabile con una riperfusione graduale dopo la rimozione del magnete. Studi longitudinali con imaging laser speckle (LSI) hanno mostrato che la riperfusione avveniva gradualmente nell’arco di diversi giorni, raggiungendo i livelli del lato sano entro 5 giorni.
Negli animali di controllo (sham), che subivano la stessa procedura chirurgica e l’iniezione di tMP ma senza il posizionamento del magnete, non si osservava alcun danno, a parte la prevista riduzione del CBF del 25% dovuta alla legatura della carotide. I volumi dell’infarto a 48 ore dall’ictus erano in media di 11.5 mm³, mentre il tPA somministrato 35 minuti dopo l’occlusione riduceva significativamente il danno a circa 2.7 mm³. E non abbiamo trovato differenze significative tra maschi e femmine, il che è un altro dato interessante.
Dove Vanno a Finire le Particelle? E Sono Sicure?
Una domanda lecita è: che fine fanno queste particelle magnetiche una volta iniettate? Grazie alla risonanza magnetica (MRI), abbiamo visto che le particelle si accumulavano principalmente nel fegato già un’ora dopo l’iniezione. Studi istologici hanno confermato che le nanoparticelle si localizzavano all’interno delle cellule dei sinusoidi epatici (probabilmente le cellule di Kupffer, note per “ripulire” le nanoparticelle dal circolo), ma non nel parenchima o nei dotti biliari. Erano ancora rilevabili, seppur in quantità molto ridotta, dopo 4 settimane, ma senza segni di morte cellulare epatica, infiltrazione immunitaria o rimodellamento tissutale.
Per stare tranquilli, abbiamo controllato anche la funzionalità epatica misurando vari enzimi nel siero (fosfatasi alcalina, transaminasi, bilirubina, ecc.) a diversi intervalli di tempo. Non abbiamo trovato differenze significative, a parte una modesta diminuzione della fosfatasi alcalina. Anche i parametri come pH arterioso, pCO2, pO2 e pressione arteriosa media sono rimasti nella norma. E per escludere un’infiammazione sistemica causata dalle particelle stesse, abbiamo misurato le citochine sieriche: come previsto, aumentavano negli animali con ictus (a causa dell’infiammazione post-ictus), ma non c’erano differenze tra i gruppi di controllo che ricevevano le tMP senza magnete e quelli che ricevevano solo soluzione salina. Quindi, possiamo dire che le tMP di per sé non scatenano una risposta infiammatoria sistemica che potrebbe confondere i risultati: l’infiammazione che vediamo è dovuta all’ictus stesso.
Comportamento e Risposta Immunitaria: Come nei Libri di Testo (o quasi!)
Dato che la corteccia somatosensoriale è l’area principale colpita dall’occlusione distale dell’MCA, abbiamo eseguito test neurocomportamentali specifici. Nel test del “filo sospeso” (wire hanging), che misura forza di presa, equilibrio e resistenza, i topi con ictus indotto da tMP (tMPS) cadevano prima rispetto ai controlli, un deficit che poteva essere recuperato con il tPA. Nel “corner test”, che rileva asimmetrie sensoriali e motorie, i topi tMPS mostravano una preferenza dell’80% a girare a destra, ipsilateralmente all’infarto, e anche questo deficit era recuperabile con tPA. Infine, nel test di rimozione dell’adesivo, i topi tMPS impiegavano più tempo a contattare e rimuovere un adesivo attaccato alla zampa.
L’immunocitochimica qualitativa a 48 ore dall’ictus ha mostrato i classici segni patologici: perdita di assoni (MAP-2) nel nucleo dell’infarto, riduzione di microglia/macrofagi (Iba-1) nel nucleo, e un aumento degli astrociti (GFAP-positivi) nella regione peri-infartuale. La marcatura per fibrinogeno e piastrine (CD41) ha confermato la presenza di trombi nei rami distali dell’MCA già 4 ore dopo l’ictus.
Con la citometria a flusso, abbiamo esaminato più in dettaglio le popolazioni di cellule immunitarie a 1, 2 e 7 giorni dopo l’ictus. I leucociti infiltranti (CD45hi) erano elevati nella corteccia ipsilaterale in tutti i momenti. Le cellule derivate da monociti (MdC) Ly6Chi e Ly6Clo erano elevate a 48 ore e le Ly6CloMdC a 7 giorni. I neutrofili erano elevati a 48 ore. Le cellule T e NK erano elevate a 7 giorni. Le cellule B non differivano significativamente, ma tendevano ad aumentare a 2 giorni. Questo profilo di cellule immunitarie infiltranti è paragonabile a quello riportato per altri modelli di occlusione dell’MCA.
L’Ictus nei Topi Svegli: Una Vera Sfida Vinta
La vera chicca del nostro modello tMPS è la possibilità di adattarlo per indurre ictus in animali svegli. Questo è fondamentale perché, come detto, gli anestetici hanno un impatto profondo sul cervello e possono avere effetti neuroprotettivi. Per eliminare la necessità della legatura transitoria della carotide comune (CCA) negli animali svegli, abbiamo posizionato una micro-spirale (coil) attorno alla CCA ipsilaterale per indurre la riduzione del CBF necessaria all’aggregazione delle particelle. Questa tecnica collega anche il nostro modello alla malattia dell’arteria carotidea e alla stenosi, che contribuiscono significativamente al rischio di ictus ischemico.
Gli animali sono stati addestrati a tollerare la contenzione per l’iniezione in vena caudale nei giorni precedenti l’ictus, minimizzando gli effetti dello stress. Venivano brevemente anestetizzati solo per il posizionamento della spirale e del magnete, per poi essere lasciati recuperare prima dell’iniezione delle particelle da svegli. Questa procedura chirurgica di circa 25 minuti non dovrebbe fornire un precondizionamento anestetico tale da impattare lo sviluppo dell’infarto. Rispetto al modello tMPS con legatura carotidea temporanea (sotto anestesia), il tMPS con stenosi carotidea unilaterale (designato tMPS coil) ha prodotto volumi di infarto e deficit comportamentali simili.
E qui arriva il bello: confrontando i volumi di infarto prodotti dal tMPS coil con anestesia rispetto al tMPS coil in animali svegli, abbiamo scoperto che i volumi di infarto erano significativamente più piccoli con l’anestesia che senza. Questo potrebbe indicare proprio gli effetti protettivi dell’anestesia! Non abbiamo trovato differenze significative nel volume dell’infarto tra ictus indotti di giorno o di notte, né negli animali anestetizzati né in quelli svegli, anche se la variabilità negli ictus da svegli era piuttosto alta.
Vantaggi e Limiti: Onestà Intellettuale
Il nostro modello tMPS ha diversi vantaggi rispetto a quelli esistenti:
- Animali svegli: Elimina il confondimento dell’anestesia.
- Minimamente invasivo: Niente craniotomia, il che è ottimo per studiare, ad esempio, il ruolo delle meningi.
- Riperfusione graduale: Mima meglio la situazione umana.
- Risposta al tPA: Importante per testare terapie.
- Compatibilità con imaging: Permette studi longitudinali in vivo.
- Modella la stenosi carotidea: Rilevante per la patofisiologia umana.
Certo, non è tutto oro quello che luccica. Ci sono delle limitazioni:
- Tecnicamente impegnativo: L’iniezione in vena caudale, specialmente in topi svegli, richiede molta pratica.
- Variabilità negli animali svegli: Il coefficiente di variazione (CV) nei volumi di infarto nel gruppo sveglio era del 67%, il che lo rende meno adatto per studi di scoperta di farmaci o genetici con effetti piccoli. Parte di questa variabilità potrebbe dipendere dal fatto che il CBF non può essere monitorato nei topi svegli.
- Accumulo epatico delle tMP: Anche se non abbiamo visto tossicità, potrebbe essere un problema in modelli con funzionalità epatica compromessa.
- Aspetti non studiati: Non abbiamo approfondito la rottura della barriera emato-encefalica, la formazione di edema o l’angiogenesi post-ischemica.
- Età e sesso: Abbiamo testato il modello solo in topi maschi e femmine adulti giovani, non in diverse fasce d’età, e servirebbero studi più ampi per confermare l’assenza di effetti legati al sesso.
Verso il Futuro della Ricerca sull’Ictus
Nonostante i recenti progressi, l’ictus ischemico rimane una delle principali cause di morte e disabilità a lungo termine. La traduzione delle scoperte precliniche in terapie cliniche efficaci è stata finora deludente, in parte a causa dei limiti dei modelli animali. Noi speriamo che il nostro modello tMPS possa colmare alcune di queste lacune, offrendo uno strumento più realistico e versatile per studiare la patobiologia dell’ictus e testare nuove strategie terapeutiche. È un passo avanti, piccolo forse nel grande schema delle cose, ma per noi che lottiamo quotidianamente contro questa malattia, ogni passo conta. E chissà, magari questa tecnica “magnetica” aprirà la strada a scoperte che un giorno faranno davvero la differenza per i pazienti.
Fonte: Springer