Carnivori e Umani: Sveliamo le Cause Reali della Mortalità con un Approccio Rivoluzionario
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, credetemi, sta cambiando il modo in cui guardiamo alla conservazione dei grandi carnivori. Parliamo di lupi, orsi, linci… creature magnifiche che sempre più spesso finiscono vittime dell’uomo. Ma *perché* succede? E *dove* esattamente il rischio è maggiore? Sembrano domande semplici, ma le risposte sono state finora sorprendentemente elusive.
Per anni, noi scienziati abbiamo cercato di mappare il rischio, usando spesso scorciatoie come la densità delle strade o la vicinanza agli insediamenti umani. Utile, certo, ma è un po’ come cercare di capire una persona guardando solo dove abita. Manca qualcosa di fondamentale: il fattore umano, quello vero, fatto di pensieri, motivazioni, paure e regole sociali.
La ricerca è chiara: la mortalità causata dall’uomo (che chiameremo HCM, dall’inglese Human-Caused Mortality) è uno dei principali limiti per la sopravvivenza di molte popolazioni di grandi carnivori, anche quelle protette. Eppure, i nostri modelli faticavano a cogliere la complessità dietro queste morti. Un incidente stradale è diverso da un atto di bracconaggio, che a sua volta è diverso da un abbattimento legale o da un’azione di controllo per proteggere il bestiame. Ogni evento ha una storia diversa, radicata in processi psicologici e sociopolitici differenti.
Il Limite dei Vecchi Approcci
Pensateci: usare la densità delle strade come unico indicatore è riduttivo. Certo, più strade possono significare più collisioni accidentali, ma non ci dicono nulla sulle intenzioni delle persone che vivono o si muovono in quell’area. Un bracconiere potrebbe agire lontano dalle strade principali proprio per non essere scoperto! Allo stesso modo, la densità abitativa non basta. Un allevatore che subisce una predazione potrebbe richiedere un intervento di controllo anche in un’area remotissima, considerata magari un rifugio sicuro per i carnivori.
È evidente che affidarsi solo a indicatori “fisici” dell’impronta umana non ci permette di capire le cause profonde. Se vogliamo davvero ridurre la mortalità e migliorare la convivenza, dobbiamo scavare più a fondo, capire il *sistema* che genera questi eventi, includendo i processi mentali e sociali che spingono o frenano le azioni umane.
Un Incontro Illuminante: Ecologia e Scienze Sociali a Braccetto
Proprio per affrontare questa sfida, immaginate un gruppo eterogeneo di menti – ecologi esperti di carnivori, modellisti ecologici e scienziati sociali – riuniti con un unico obiettivo: capire meglio *dove* e *perché* avvengono le HCM, integrando finalmente le conoscenze delle scienze sociali nei modelli spaziali. L’idea era di adottare un approccio “di sistema”, partendo da una classificazione chiara dei diversi tipi di mortalità per poi identificare i fattori (spazialmente variabili) che influenzano la probabilità che ciascun tipo si verifichi.
Il risultato di questo brainstorming è un quadro concettuale che, spero, possa avviare una conversazione più ampia su come le scienze sociali possano arricchire i modelli di conservazione.
Quattro Volti della Mortalità Causata dall’Uomo
Il primo passo è stato distinguere chiaramente almeno quattro tipi principali di HCM. È fondamentale perché, come vedremo, i processi che li generano sono diversi e quindi il rischio di un tipo può essere indipendente dagli altri. Eccoli:
- Mortalità Accidentale: Include eventi diretti come le collisioni con veicoli, ma anche quelli indiretti causati dalle nostre infrastrutture (es. un animale che cade in una miniera abbandonata). La caratteristica chiave è che sono involontari. Ci aspettiamo che siano guidati principalmente da processi istituzionali (pianificazione territoriale, costruzione di strade) gestiti da enti burocratici.
- Prelievo Legale (Caccia/Harvest): Qui parliamo di caccia e cattura regolamentate. Le motivazioni possono essere varie (divertimento, controllo percepito della popolazione, ritorsione per danni). Essendo regolate per legge, la loro localizzazione e tempistica sono specifiche (stagioni, orari, zone vietate come aree urbane).
- Azioni di Controllo: Sono anch’esse intenzionali, ma solitamente eseguite da terzi (es. agenti governativi) per un obiettivo gestionale specifico (rimuovere animali sospettati di predare bestiame, ridurre la predazione su ungulati selvatici). Una caratteristica distintiva è che l’incontro iniziale che scatena l’azione potrebbe non coinvolgere direttamente un umano (es. ritrovamento di una carcassa di bestiame). Possono avvenire anche in aree remote e con regole diverse dalla caccia (es. uso di esche, periodi diversi).
- Mortalità Illecita (Bracconaggio): È la terza forma di uccisione intenzionale, ma la sua caratteristica è la violazione della legge o delle norme sociali prevalenti. Chi la compie ha incentivo a nascondersi, influenzando luoghi (spesso aree remote) e metodi (veleni, trappole illegali). Le motivazioni possono spaziare dall’interesse economico (commercio illegale) al desiderio di eliminare animali percepiti come pericolosi o dannosi, fino a forme di protesta rurale.

Questa tipologia, sebbene non perfettamente ermetica (un lupo protetto potrebbe essere ucciso per errore scambiandolo per un coyote), ci aiuta a focalizzarci sui diversi processi antecedenti.
I Motori Nascosti: I Processi Antecedenti all’HCM
Tutti i tipi di HCM iniziano con un incontro: un animale e un umano (o un suo “agente” come una trappola o del bestiame) si trovano nello stesso posto nello stesso momento. Questo crea l’opportunità per un evento di mortalità.
Per le mortalità accidentali, l’incontro è sufficiente. Ma per quelle intenzionali (prelievo, controllo, bracconaggio) entrano in gioco altri fattori cruciali, spesso radicati nella mente umana e nel contesto sociale:
- Intenzione: La volontà di compiere l’azione che porta alla morte dell’animale. È un predittore fondamentale del comportamento volontario, studiato a fondo dalla psicologia. L’intenzione di cacciare legalmente è diversa da quella di bracconare, ma entrambe richiedono una decisione cosciente. Misurarla può essere difficile, specialmente per atti illeciti, ma si possono usare proxy come l’atteggiamento generale verso la specie o la percezione di rischi e benefici.
- Capacità: La possibilità concreta di portare a termine l’azione. Dipende dalle abilità individuali (es. mira con un’arma, saper piazzare una trappola), dall’accesso agli strumenti necessari (armi da fuoco, trappole, veleni) e dalle conoscenze (es. tracciamento). Possiamo stimarla spazialmente usando proxy come il tasso di possesso di armi, il numero di licenze di caccia, o tramite sondaggi sull’esperienza e le abilità auto-percepite. Anche le normative (es. divieto di certi tipi di trappole) influenzano la capacità.
- Tutela (Guardianship): Questo fattore, esterno all’individuo, rappresenta la probabilità che altre persone intervengano per prevenire o segnalare un’uccisione, specialmente se illegale. È legata alle norme sociali percepite: se una persona crede che verrà sanzionata (formalmente o socialmente) per aver ucciso un animale, sarà meno propensa a farlo. La “tutela” può variare molto: in alcune aree il bracconaggio è fortemente condannato, in altre può essere tollerato o persino incoraggiato (una sorta di “anti-tutela”).
- Facilitazione Istituzionale: Si riferisce a come le politiche e le normative create dalle agenzie governative (che gestiscono territori, strade, fauna selvatica) facilitano o inibiscono i diversi tipi di HCM. Esempi sono i limiti di cattura (prelievo), il livello di controllo anti-bracconaggio (illecito), le politiche sull’uso di metodi non letali per proteggere il bestiame (controllo), i limiti di velocità (accidentale). È importante notare che le politiche possono avere effetti inattesi: liberalizzare la caccia a una specie potrebbe, in certi contesti sociali, “sdoganare” l’uccisione e aumentare involontariamente il bracconaggio di un’altra specie protetta.
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Capire come questi cinque elementi interagiscono tra loro e variano nello spazio è la chiave per costruire modelli di rischio HCM molto più accurati e informativi.
La Sfida dei Dati e le Possibili Soluzioni
Ok, il quadro teorico è affascinante, ma come lo traduciamo in pratica? Una delle sfide principali è raccogliere dati sufficienti su questi processi sociali e psicologici su scale geografiche ampie, rilevanti per la conservazione dei carnivori.
Un approccio promettente è stato dettagliato da Manfredo e colleghi (2021). Hanno usato sondaggi individuali per misurare atteggiamenti verso la fauna selvatica e supporto per il controllo letale dei lupi in alcune aree (es. contee). Poi, hanno correlato queste misure con dati socio-economici e demografici già disponibili a livello di contea (raccolti da agenzie federali). Infine, hanno usato modelli statistici per “proiettare” questi atteggiamenti su tutte le contee degli Stati Uniti contigui, anche quelle non campionate direttamente.
Questo metodo potrebbe essere esteso per stimare e mappare anche gli altri fattori che abbiamo identificato: opportunità, capacità, tutela e facilitazione istituzionale. Immaginate di poter creare mappe di rischio differenziate, che non mostrino solo “rischio generico”, ma “rischio di bracconaggio”, “rischio di conflitto con allevamento”, “rischio di incidenti stradali”.
Certo, le sfide restano. Misurare l’intenzione di compiere atti illeciti è complesso, richiede tecniche specifiche per aggirare la reticenza delle persone. Stimare il bracconaggio “nascosto” è un altro osso duro. Inoltre, bisogna considerare la questione della scala: i processi sociali possono funzionare diversamente a scale diverse (locale vs regionale vs nazionale), e la disponibilità di dati socio-economici varia da paese a paese. Le aree rurali remote, spesso cruciali per i carnivori, sono anche quelle dove è più difficile raccogliere dati sociali.

Nonostante queste difficoltà, credo fermamente che lo sforzo valga la pena. Integrare queste dimensioni umane nei nostri modelli è un passo necessario.
Perché Tutto Questo è Importante? Implicazioni Concrete
Avere modelli spazialmente espliciti che non solo prevedono *dove* è probabile che avvenga la mortalità, ma anche *perché* (cioè, quale tipo di HCM è predominante e quali fattori sociali lo guidano), apre scenari incredibilmente utili per la conservazione:
- Pianificazione Mirata: Potremmo identificare le aree più idonee per progetti di reintroduzione o corridoi ecologici, tenendo conto non solo dell’habitat ma anche del “paesaggio sociale”.
- Gestione Adattiva della Caccia: Si potrebbero affinare le normative sul prelievo legale in base ai rischi specifici presenti in diverse giurisdizioni (es. alto rischio di bracconaggio vs alto rischio di conflitto con allevatori).
- Controllo Efficace: Le risorse limitate per l’anti-bracconaggio potrebbero essere concentrate nelle aree dove i modelli indicano un’alta probabilità di attività illecite, basata su fattori come bassa tutela sociale percepita o alta capacità.
- Interventi Preventivi: Capire se in un’area il problema principale sono gli incidenti stradali o i conflitti con il bestiame permette di implementare le misure preventive più adeguate (es. passaggi faunistici vs recinzioni anti-predatore o cani da guardiania).
In sostanza, specificare e testare questi processi ci offre una comprensione molto più ricca del fenomeno. Ci ricorda che dietro ogni statistica sulla mortalità dei carnivori ci sono dinamiche umane complesse, che avvengono nella mente delle persone e nelle interazioni sociali. Ignorarle significa perdere una parte fondamentale del puzzle.
Guardando al Futuro
Questo approccio, nato pensando ai canidi e felidi del Nord America, è potenzialmente generalizzabile a molte altre specie e contesti geografici, con i dovuti adattamenti. Bisognerà sempre considerare le specificità locali: le leggi, le tradizioni di caccia, il valore economico della specie, la cultura.
Il messaggio che voglio lasciarvi è questo: per salvare i grandi carnivori, non basta studiare la loro ecologia. Dobbiamo capire profondamente anche noi stessi, le nostre società e le motivazioni che guidano le nostre azioni. Integrare le scienze sociali e comportamentali nell’ecologia della conservazione non è più un’opzione, ma una necessità. Solo così potremo sperare di costruire un futuro in cui umani e carnivori possano davvero coesistere.
Fonte: Springer
