Moda e Dovere: E Se Kant Avesse Ragione Sul Tuo Guardaroba?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi in un viaggio un po’ inaspettato, un percorso che collega due mondi apparentemente distanti: la moda e la filosofia di Immanuel Kant. Sembra strano, vero? Eppure, scavando un po’, ho scoperto delle connessioni affascinanti che potrebbero farvi vedere il vostro prossimo acquisto fashion sotto una luce completamente nuova. Parleremo di come seguire la moda, non per il capo in sé, ma per il puro piacere di “essere alla moda”, possa incredibilmente prepararci a concetti kantiani profondi come l’autonomia e il dovere. Pronti a seguirmi in questa esplorazione?
Il Fascino di “Essere alla Moda” per Sé Stesso
Partiamo da un’idea intrigante discussa da pensatori come César Moreno-Márquez e, prima ancora, Georg Simmel. Qual è il vero potere della moda? Spesso non risiede nell’oggetto specifico – quel vestito, quella borsa – ma nell’atto stesso di sentirsi “in stile”, nel “seguire la moda per la moda stessa”. Pensateci: a volte indossiamo cose che, oggettivamente, potrebbero non essere il massimo della bellezza o della praticità. Simmel notava, già oltre un secolo fa, come la moda riesca a farci adottare persino “le cose più atroci” solo perché sono, appunto, di moda.
Questo fenomeno, secondo Moreno-Márquez, crea un senso di appartenenza a una comunità, anche se siamo soli. Credere di essere “in stile” ci connette a un gruppo più ampio. Certo, questo può implicare una sorta di “sottomissione” alle tendenze, ma allo stesso tempo, ci offre “un modo per guidare la nostra esperienza”.
La cosa interessante, dal punto di vista che stiamo esplorando, è che questa soddisfazione deriva non tanto dall’oggetto, ma da una relazione formale, sociale. È una sorta di soddisfazione disinteressata [Wohlgefallen], per usare un termine kantiano, perché non è legata all’esistenza materiale dell’oggetto in sé. Scegliere di seguire una moda, che riflette il gusto collettivo, promuove una sorta di libera conformità a una “legge” sociale. Nessuno ci obbliga, è una scelta che nasce dalla nostra volontà autonoma.
Prendiamo l’esempio delle borsette Prada in nylon: valore oggettivo basso (€28 di materiale), prezzo altissimo (€440). Perché le persone le cercano? Per l’atteggiamento verso la “moda per la moda stessa”. Questa non è semplice obbedienza servile, ma una convinzione che ha radici più profonde. Ed è qui che le cose si fanno kantiane.
Kant Incontra la Passerella: Astrazione e Libera Scelta (Willkür)
Qui entra in gioco Kant e la sua complessa filosofia morale. L’argomento che voglio proporvi è questo: seguire “X per il gusto di X” nella sfera culturale (come la moda) ci prepara ad accettare ciò che è considerato giusto o virtuoso in una società, con quella stessa soddisfazione disinteressata, senza essere schiavi degli oggetti sensibili.
Come avviene questo “allenamento”? Attraverso un processo che Kant chiama astrazione. Quando seguiamo la moda per la moda stessa, stiamo, in un certo senso, astraendo dal contenuto sensibile dell’oggetto. Non ci interessa *solo* se la giacca è calda o il colore ci dona particolarmente, ma ci interessa l’atto di aderire a una tendenza, di fare una scelta all’interno di dinamiche sociali.
Kant scrive nell’Antropologia dal punto di vista pragmatico che “essere capaci di astrarre da una rappresentazione, anche quando i sensi ce la impongono, è una facoltà molto più grande di quella di prestare attenzione a una rappresentazione, perché dimostra una libertà della facoltà di pensiero e l’autorità della mente nell’avere l’oggetto delle proprie rappresentazioni sotto il proprio controllo”. Questa capacità di astrazione, dice Kant, si acquisisce con la pratica.
Seguendo la moda “per sé stessa”, esercitiamo questa capacità di astrazione. Impariamo a distanziarci dagli stimoli sensibili immediati, a controllare le nostre rappresentazioni. Questo rafforza la nostra “libertà della facoltà di pensiero”.
Inoltre, la moda ci pone costantemente di fronte a una scelta: distinguerci (individualità) o conformarci (collettività)? Questa deliberazione tra forze antagoniste è un esercizio della nostra libera scelta [Willkür], come la definirebbe Kant. Non è un impulso irrazionale, ma una decisione consapevole sulla nostra posizione nella società, basata sulla facoltà superiore del desiderio, che genera piacere intellettuale e ci spinge ad agire autonomamente. Non siamo semplicemente determinati da stimoli esterni; scegliamo attivamente.
Dalla Predisposizione Naturale alla Disposizione Morale
Kant fa una distinzione cruciale tra predisposizione [Anlage] e disposizione [Gesinnung]. La predisposizione è qualcosa di innato, una potenzialità naturale (come la tendenza a imitare). La disposizione, invece, è qualcosa che dobbiamo adottare attivamente attraverso una libera scelta [Willkür]. È la disposizione che ci conferisce vera autonomia morale.
La natura, secondo Kant, ci dà delle predisposizioni che possono favorire lo sviluppo morale. Ma siamo noi che dobbiamo trasformare queste predisposizioni dormienti in disposizioni attive, capaci di riconoscere e rispettare una legge morale universale. Come avviene questo passaggio, questo “salto” [Übergang] dalla natura alla libertà e alla moralità?
Qui, l’esperienza estetica e culturale, come quella della moda, gioca un ruolo preparatorio fondamentale. Seguendo la moda per sé stessa, passiamo da una possibile imitazione cieca (una semplice predisposizione) a una scelta consapevole (una disposizione). Pratichiamo l’astrazione, rafforziamo la nostra capacità di scelta (Willkür) e impariamo ad agire secondo un principio (“essere alla moda”) indipendentemente dall’oggetto sensibile specifico. Questo ci prepara ad agire per “dovere per dovere stesso” nel campo morale, dove l’azione è motivata dal rispetto per la legge morale in sé, non da incentivi esterni o sensibili.
È importante sottolineare: non sto dicendo che l’imitazione *in sé* porti alla moralità. Kant critica l’imitazione cieca. Ma seguire la moda *per la moda stessa* è diverso. Implica una coscienza della nostra autonomia nel decidere se aderire o meno alla collettività, un esercizio di astrazione e scelta.
Moda, Cultura e la Palestra della Virtù
Kant vedeva la cultura come uno stadio intermedio essenziale, un ponte tra la natura e la moralità. La cultura ci insegna “un’attitudine ai fini in generale”, rendendoci esseri liberi. Le pratiche culturali, come le “virtù della socialità” (essere socievoli, tolleranti, avere rispetto reciproco), anche se possono sembrare “esteriori” o “sottoprodotti”, coltivano una disposizione alla reciprocità che indirettamente promuove il bene dell’umanità.
Seguire la moda per sé stessa rientra in queste pratiche. Ci insegna a navigare le dinamiche sociali, a esprimere il nostro assenso (o dissenso) rispetto alle norme del gruppo, a bilanciare doveri verso noi stessi (autenticità, individualità) e doveri verso gli altri (socievolezza, appartenenza). È una “bella illusione che assomiglia alla virtù”, dice Kant parlando delle grazie sociali, “che non inganna perché tutti sanno come va presa”.
La virtù, per Kant, non è solo conformarsi al dovere, ma è la “forza morale della volontà” [robur] nell’adempiere al proprio dovere, basata su una salda disposizione. Questa forza va acquisita e esercitata. E dove possiamo esercitarla nella vita quotidiana, in preparazione alle grandi scelte morali? Proprio in queste pratiche culturali come la moda.
Seguire “X per il gusto di X” nella moda ci allena a:
- Esercitare l’astrazione dagli stimoli sensibili.
- Prendere decisioni autonome (Willkür) tra opzioni contrastanti (individualità/collettività).
- Sviluppare autocontrollo (come analizzato da Vujoševiċ).
- Coltivare una forma di piacere intellettuale disinteressato.
- Imparare a conformarci liberamente a una “regola” (la tendenza del momento).
Tutto questo rafforza la nostra volontà e ci prepara ad abbracciare il dovere morale non per paura o desiderio, ma per rispetto della legge stessa: il “dovere per dovere stesso”.
Oltre la Frivolezza: Implicazioni Moderne (anche per la Sostenibilità)
Certo, spesso associamo “moda per la moda stessa” a consumismo sfrenato o superficialità. Ma, come abbiamo visto, può esserci molto di più. È un meccanismo che sviluppa l’autonomia, intesa kantianamente non solo come libertà *da* influenze esterne (libertà negativa), ma come capacità di dare leggi a sé stessi (libertà positiva).
Pensiamo alla sfida della moda sostenibile. Spesso fatica a decollare perché i prodotti costano di più. Appellarsi solo al senso di obbligo morale dei consumatori ha un’efficacia limitata, come dimostrano vari studi. La gente si sente obbligata, ma poi il prezzo frena l’acquisto.
E se la soluzione fosse rendere la sostenibilità… alla moda? Se comprare capi eco-friendly diventasse desiderabile “per sé stesso”, non solo per motivi etici ma perché è “in stile”, parte di una tendenza collettiva a cui si sceglie liberamente di aderire? Quando l’acquisto sostenibile smette di essere solo un dovere morale e diventa anche un atto di appartenenza fashion, allora forse potremmo vedere un cambiamento reale. L’impulso a seguire la moda “per la moda stessa”, quella forza che ci fa desiderare la borsa Prada indipendentemente dal suo valore intrinseco, potrebbe essere sfruttata per cause più nobili.
Ovviamente, una scelta di moda “genuina” in questo senso kantiano non è una scelta puramente morale (come scegliere deliberatamente un capo etico *contro* la tendenza popolare), ma una scelta culturale che opera sulla dinamica individuo/collettivo. Ma è proprio questa pratica culturale, con il suo esercizio di astrazione e scelta autonoma, che, secondo questa interpretazione, ci prepara al regno della moralità.
In conclusione, la prossima volta che vi trovate a desiderare qualcosa solo perché “va di moda”, non liquidatelo subito come un capriccio superficiale. Potrebbe essere in gioco un meccanismo psicologico e sociale complesso, un esercizio inconsapevole di astrazione e autonomia che, secondo una lettura kantiana, vi sta allenando a diventare agenti morali più forti e liberi. Affascinante, no?
Fonte: Springer