Fotografia di paesaggio grandangolare che mostra una discarica a cielo aperto traboccante di rifiuti tessili colorati vicino a un insediamento in Ghana, contrasto tra i colori vivaci dei vestiti scartati e l'ambiente degradato, obiettivo grandangolare 20mm, luce del tardo pomeriggio.

Moda Insostenibile in Ghana: Dietro le Quinte di un Disastro Annunciato

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, ammettiamolo, ci tocca tutti da vicino: la moda. Ma non quella patinata delle passerelle, bensì il suo lato oscuro, quello che spesso preferiamo non vedere. Mi sono imbattuto in uno studio affascinante sull’industria dell’abbigliamento in Ghana e sul suo impatto ambientale, e quello che ho scoperto mi ha fatto davvero riflettere. Preparatevi, perché stiamo per fare un viaggio dietro le quinte di un sistema che, purtroppo, sta lasciando cicatrici profonde sul nostro pianeta.

Lo studio usa una lente particolare, quella della Teoria delle Attività Routinarie (RAT), presa in prestito dalla criminologia. Sembra strano, vero? Eppure, applicarla ai “crimini ecologici” dell’industria della moda apre prospettive inedite. L’idea di base è che un “crimine” (in questo caso, il danno ambientale) avviene quando tre elementi si incontrano: un “reo motivato”, un “bersaglio idoneo” e l’assenza di un “guardiano capace”. E credetemi, nel caso della moda in Ghana, questi tre elementi ci sono tutti.

L’Industria dell’Abbigliamento in Ghana: Un Quadro Complesso

Prima di tuffarci nelle motivazioni, capiamo il contesto. L’industria della moda in Ghana, ci dice lo studio, è meno sviluppata rispetto a quella delle economie avanzate. Ha una catena di approvvigionamento più semplice e segue un modello prevalentemente lineare (produci, usa, getta), il che, come potete immaginare, amplifica i problemi ambientali. Pensateci: produrre vestiti richiede risorse (acqua, energia, materie prime) e genera scarti e inquinamento. Se poi questi vestiti sono pensati per durare poco e finire presto in discarica, il danno si moltiplica.

Cercare la sostenibilità in questo contesto è una vera sfida. Non basta una buona intenzione; serve un intreccio complesso di strategie, politiche e azioni concrete. Ed è qui che entra in gioco la ricerca, cercando di capire cosa si sta facendo (e cosa no) per rendere la moda ghanese più “verde”.

Chi sono i “Rei Motivati”? Le Spinte Dietro le Pratiche Insostenibili

Lo studio ha intervistato 25 stilisti ghanesi per capire cosa li spinge, a volte consapevolmente a volte no, ad adottare pratiche dannose per l’ambiente. E le risposte sono state illuminanti, anche se un po’ sconfortanti. Ecco cosa è emerso:

  • Il Dio Denaro (Profitto): Non giriamoci intorno. Quattordici partecipanti su venticinque hanno ammesso che la spinta principale è il profitto. Per mantenere i prezzi competitivi e marginare, si scelgono materiali e metodi di produzione meno costosi, anche se più inquinanti. Come ha detto uno stilista: “Non è che non ci importi dell’ambiente, ma è un difficile equilibrio tra restare a galla finanziariamente e puntare tutto sulla sostenibilità“. È una questione di sopravvivenza in un mercato competitivo.
  • La Febbre del Fast Fashion: Cinque stilisti hanno puntato il dito sulla domanda pressante di “fast fashion”, abiti nuovi e alla moda quasi ogni settimana. Questa richiesta spinge a produrre grandi volumi velocemente, sacrificando la qualità e la sostenibilità sull’altare della rapidità e del basso costo. “È difficile tenere il passo con la sostenibilità quando la pressione per sfornare nuovi design è costante“, ha confessato uno di loro.
  • “Non lo Sapevo!” (Mancanza di Consapevolezza ed Educazione): Sorprendentemente, dieci partecipanti hanno rivelato una limitata conoscenza delle pratiche sostenibili e dell’impatto ambientale delle loro scelte. Alcuni hanno ammesso di essersi resi conto solo di recente della portata del problema. “Vorrei averlo saputo prima, forse avrei fatto scelte diverse“. Questo evidenzia una lacuna formativa importante.
  • Mission Impossible? (Vincoli di Risorse): Trovare materiali eco-friendly in Ghana è difficile e costoso. Cinque stilisti hanno sottolineato questa difficoltà: “Mi piacerebbe usare materiali più sostenibili, ma la verità è che non sono facili da trovare qui… e quando li trovi, sono spesso costosi“. Questo li porta a ripiegare su materiali convenzionali, più accessibili.
  • Tradizione vs. Pianeta (Preferenze Culturali ed Estetiche): A volte, sono le preferenze dei consumatori a guidare le scelte. Quattro partecipanti hanno spiegato che tessuti e design tradizionali molto popolari possono avere un’impronta ecologica maggiore. Bilanciare il rispetto della tradizione con la sostenibilità diventa un vero dilemma.

Primo piano macro su etichette di vestiti fast fashion ammucchiate, alcune con prezzi bassi evidenti, illuminazione controllata per evidenziare la trama economica dei tessuti, obiettivo macro 100mm, alta definizione.

Queste motivazioni ci dipingono un quadro complesso, dove le buone intenzioni si scontrano con la realtà economica, la pressione del mercato e le lacune informative.

L’Ambiente: Un “Bersaglio Idoneo” e Vulnerabile

Il secondo elemento della RAT è il “bersaglio idoneo”. Nel nostro caso, è l’ambiente stesso. Perché è così vulnerabile? Ventitré partecipanti hanno evidenziato come l’abbondanza di risorse naturali (acqua, terra, materie prime tessili) renda l’ambiente un bersaglio facile per lo sfruttamento. Sembra un paradosso: proprio la ricchezza naturale diventa un punto debole. Uno stilista ha detto: “L’ambiente è una miniera d’oro di risorse… è essenziale per soddisfare le richieste dei consumatori“.

Inoltre, sedici intervistati hanno sottolineato la fragilità degli ecosistemi naturali, come foreste e corsi d’acqua. Questi vengono spesso presi di mira per l’estrazione di risorse, causando deforestazione, inquinamento idrico e distruzione degli habitat. È un quadro preoccupante: le risorse necessarie per creare bellezza finiscono per essere distrutte nel processo.

Dove sono i “Guardiani Capaci”? Le Strategie di Sostenibilità Esistenti (e i Loro Limiti)

E arriviamo al terzo elemento: l’assenza (o la debolezza) di “guardiani capaci”. Questi sarebbero le regole, gli enti di controllo e le pratiche industriali che dovrebbero prevenire o scoraggiare i comportamenti dannosi. Lo studio ha indagato sull’esistenza e l’efficacia delle strategie di sostenibilità nel settore.

Tutti i partecipanti hanno riconosciuto che qualcosa si sta muovendo. C’è una crescente consapevolezza e un certo impegno verso pratiche più eco-consapevoli. “Stiamo assistendo a uno spostamento verso materiali ecologici e pratiche etiche“, ha affermato uno stilista. Tuttavia, emerge chiaramente che siamo lontani da una soluzione completa.

Le sfide sono enormi. Tutti i partecipanti hanno evidenziato lacune e limiti nelle strategie attuali:

  • Divario tra Intenzione ed Esecuzione: Molti brand dichiarano di essere eco-friendly, ma l’implementazione pratica manca di trasparenza e coerenza.
  • Greenwashing: C’è il rischio che la sostenibilità diventi solo uno slogan di marketing, senza un reale cambiamento nelle pratiche. “C’è bisogno di regolamenti standardizzati per separare chi è genuinamente eco-consapevole da chi sfrutta la tendenza“, ha sottolineato un partecipante.
  • Mancanza di Supporto e Regolamentazione Efficace: Servono politiche più forti, controlli più severi e incentivi concreti per chi adotta pratiche sostenibili.

Fotografia grandangolare di un fiume in Ghana visibilmente inquinato da scarti tessili colorati, acqua torbida, lunga esposizione per rendere l'acqua liscia ma contaminata, obiettivo grandangolare 15mm, messa a fuoco nitida sul contrasto tra natura e inquinamento.

In pratica, i “guardiani” ci sono, ma spesso sono distratti, poco equipaggiati o semplicemente sopraffatti dalla complessità del problema e dalla forza delle motivazioni economiche.

Cosa ci insegna tutto questo?

Questo studio, applicando la lente della criminologia, ci aiuta a capire perché, nonostante la crescente consapevolezza, l’industria della moda in Ghana (e probabilmente altrove) continui a danneggiare l’ambiente. Non è (solo) una questione di cattiva volontà, ma un intreccio di pressioni economiche, richieste del mercato, scarsa informazione e regolamentazioni deboli.

La buona notizia è che capire le cause è il primo passo per trovare le soluzioni. Lo studio suggerisce alcune strade:

  • Standard Chiari e Applicati: Servono regole precise sulla sostenibilità, con controlli seri per evitare il greenwashing.
  • Incentivi e Supporto: Aiutare economicamente chi vuole passare a materiali e processi eco-friendly. Rendere la sostenibilità accessibile.
  • Educazione e Consapevolezza: Formare i designer, ma anche informare noi consumatori sull’impatto delle nostre scelte.
  • Collaborazione: Mettere insieme stilisti, produttori, governo e consumatori per creare catene di approvvigionamento locali e sostenibili.

Ritratto di una stilista ghanese nel suo atelier, circondata da tessuti ecologici e tradizionali, luce naturale morbida, profondità di campo ridotta per focalizzare sulla sua espressione pensierosa, obiettivo 35mm, stile documentaristico.

Personalmente, trovo che questo studio ci chiami tutti in causa. Come consumatori, abbiamo un potere enorme. Scegliere capi durevoli, informarci sui brand, supportare chi si impegna davvero per la sostenibilità può fare la differenza. Certo, non risolveremo tutto da soli, ma possiamo essere parte del cambiamento.

La moda è espressione, è cultura, è bellezza. Ma non può più permettersi di farlo a spese del nostro pianeta. La sfida è aperta: trasformare questo settore in una forza positiva, creativa *e* responsabile. E conoscere le dinamiche nascoste, come quelle emerse da questa ricerca in Ghana, è fondamentale per iniziare a scrivere un futuro diverso per la moda.

Fonte: Springer

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