Un collage di immagini: a sinistra, un paziente che esegue un test di cammino in un corridoio clinico; al centro, un primo piano di un sensore IMU indossato su una scarpa; a destra, una persona che cammina con fiducia in un parco. Prime lens, 35mm, colori vivaci e un senso generale di progresso e tecnologia al servizio della salute.

Camminare dopo Ictus e Lesioni Midollari: I Test Clinici Bastano? Scopriamo la Verità con i Sensori Indossabili!

Ammettiamolo, la capacità di muoversi liberamente è qualcosa che spesso diamo per scontato, finché non viene compromessa. Per chi ha affrontato un ictus o una lesione midollare, riconquistare la mobilità non è solo un obiettivo: è una fetta enorme della propria qualità di vita e della possibilità di partecipare attivamente alla società. Eppure, vi siete mai chiesti cosa succede davvero quando queste persone tornano a casa, fuori dall’ambiente protetto della riabilitazione? Come si muovono nel mondo reale, giorno dopo giorno? Ecco, questa è una domanda che, come ricercatori, ci siamo posti con grande interesse, perché le prove scientifiche su questo fronte sono sorprendentemente limitate.

Il “Gap” da Colmare: Dai Test in Clinica alla Vita Reale

Tradizionalmente, per valutare i progressi nella mobilità, ci affidiamo a test clinici standardizzati, come il famoso 10-meter walk test (10MWT) – banalmente, quanto velocemente si percorrono 10 metri – o il Timed Up and Go (TUG), che misura il tempo per alzarsi da una sedia, camminare per tre metri, girarsi, tornare e sedersi. Questi test sono utilissimi, ci dicono “cosa un paziente può fare” in un ambiente controllato. Ma riflettono davvero “cosa un paziente fa” nella sua quotidianità, per mesi e mesi dopo la dimissione? Soprattutto per chi ha una capacità di cammino da moderata a buona, il dubbio che questi test non raccontino tutta la storia è forte. E per chi ha subito una lesione midollare, i dati a lungo termine sono ancora più scarsi.

Pensateci: i livelli di mobilità spesso calano una volta che i pazienti passano alle cure sul territorio. È come avere una macchina sportiva (la capacità di camminare bene) ma tenerla quasi sempre in garage (la scarsa mobilità reale). Ecco perché studi a lungo termine che misurino la distanza percorsa nel mondo reale per mesi sono merce rara, ma preziosissima. Potrebbero darci informazioni cruciali sui livelli di attività e sulla partecipazione sociale.

La Tecnologia ci Viene in Aiuto: Gli IMU Entrano in Scena

Ed è qui che entra in gioco la tecnologia, amici miei! I cosiddetti “wearables”, o dispositivi indossabili, dotati di Unità di Misura Inerziale (IMU) – piccoli sensori che registrano movimento, accelerazione, rotazione – potrebbero essere la chiave per colmare questo vuoto di conoscenza. Permettono misurazioni quotidiane della mobilità, aprendo scenari impensabili fino a poco tempo fa. Immaginate di poter monitorare non solo i passi, ma la distanza effettivamente percorsa, giorno dopo giorno, per mesi!

Così, ci siamo imbarcati in uno studio (parte del più ampio progetto NeuroMoves) per esplorare proprio questa relazione: quella tra i test clinici di cammino e il monitoraggio della mobilità nel mondo reale, basato su IMU, in persone sopravvissute a ictus e lesioni del midollo spinale (SCI). L’obiettivo? Capire se ciò che misuriamo in clinica corrisponde a come i pazienti si muovono effettivamente una volta tornati alla loro vita.

Prima Tappa: Quanto Sono Precisi Questi Sensori?

Prima di lanciarci nel monitoraggio a lungo termine, dovevamo essere sicuri dell’affidabilità del nostro “activity tracker”. Abbiamo quindi condotto una valutazione su un percorso standardizzato, sia con persone sane che con pazienti reduci da ictus o lesioni midollari (un totale di 57 partecipanti). Volevamo vedere quanto la distanza misurata dal sensore si discostasse da quella reale.

I risultati? Interessanti! La precisione variava a seconda del tipo di mobilità:

  • Per chi usava una sedia a rotelle manuale, il tracker è stato un cecchino: la deviazione media dalla distanza reale era minima, solo un -1.5%, un valore statisticamente non significativo. Ottimo!
  • Per chi usava una sedia a rotelle elettrica, la precisione era comunque buona, con una deviazione del +1.9%.
  • Le cose si complicavano un po’ per chi camminava. Qui abbiamo notato una tendenza a sottostimare la distanza. In particolare, i partecipanti con lesione midollare e una significativa compromissione del cammino hanno mostrato la deviazione maggiore, con una sottostima media del -14.6%. Anche per i camminatori sani e quelli post-ictus c’era una sottostima, rispettivamente del -9.5% e -8.6%.

Un altro dato emerso è che su distanze maggiori, il grado di sottostima tendeva a diminuire. Questo è importante: l’errore non è fisso, ma dipende da come e quanto ci si muove.

Un paziente in fase di riabilitazione neurologica, assistito da un fisioterapista in un ambiente clinico luminoso, mentre esegue un test di deambulazione. Prime lens, 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco il paziente, toni caldi e speranzosi.

È fondamentale sottolineare che il nostro scopo non era “migliorare” il sensore commerciale che stavamo usando, ma capire l’entità del suo errore di misurazione in queste popolazioni specifiche. Saperlo è cruciale per interpretare correttamente i dati raccolti “sul campo”.

Seconda Tappa: 8 Mesi nel Mondo Reale

Una volta capita la precisione del nostro strumento, siamo passati alla fase successiva: uno studio osservazionale multicentrico su 116 partecipanti (con ictus o lesione midollare in grado di camminare) seguiti per 8 mesi subito dopo la dimissione dalla riabilitazione intensiva. Abbiamo registrato le distanze giornaliere percorse nel loro ambiente di vita quotidiano usando l’activity tracker (un dispositivo chiamato Mobile GaitLab, montato sul dorso del piede). Parallelamente, abbiamo eseguito i classici test di cammino (10MWT e TUG) all’inizio dello studio (baseline), a 4 mesi e a 8 mesi.

Cosa abbiamo scoperto? Innanzitutto, i test clinici sono migliorati nel tempo: la velocità nel 10MWT è aumentata significativamente da 0.74 m/s al baseline a 0.94 m/s a 8 mesi. Anche i tempi del TUG sono migliorati, soprattutto nei primi 4 mesi.

La Relazione tra Test Clinici e Mobilità Reale: C’è, Ma…

E veniamo al dunque: c’è una relazione tra i test clinici e la distanza percorsa ogni giorno? La risposta è ! La velocità misurata con il 10MWT ha mostrato una correlazione significativa con la distanza giornaliera percorsa. Ad esempio, per ogni aumento di 0.1 m/s nella velocità del 10MWT al baseline, la distanza giornaliera stimata aumentava di circa 84 metri. Questo vale per tutte e tre le misurazioni (baseline, 4 e 8 mesi). Sembra quindi che il 10MWT sia un buon “proxy” della mobilità reale.

Tuttavia, e questo è il punto cruciale, soprattutto nella categoria dei “buoni camminatori” (quelli con velocità di cammino più elevate), abbiamo notato una grande variabilità. A parità di performance nel 10MWT, c’erano persone che percorrevano distanze giornaliere molto diverse: alcuni macinavano chilometri, altri molti meno. Questo ci dice che, sebbene il test clinico sia informativo, non cattura completamente la complessità della mobilità nel mondo reale per tutti.

Abbiamo cercato di capire meglio questa variabilità e abbiamo visto che il punteggio della Functional Independence Measure (FIM), una scala che misura l’indipendenza funzionale, giocava un ruolo. In particolare, nei camminatori veloci, un punteggio FIM totale (e soprattutto il suo sottogruppo motorio) più alto era associato a maggiori distanze giornaliere. Questo suggerisce che, oltre alla capacità di camminare velocemente, anche altre capacità funzionali residue influenzano quanto una persona si muove effettivamente.

Primo piano di un sensore IMU indossabile, piccolo e discreto, attaccato con una clip ai lacci di una scarpa sportiva di una persona che sta camminando su un marciapiede. Macro lens, 60mm, alta definizione del sensore, luce naturale del giorno, sfondo leggermente sfocato per enfatizzare il dispositivo.

Cosa Ci Portiamo a Casa da Questo Studio?

Questo studio esplorativo ci ha fornito spunti preziosi. Innanzitutto, l’activity tracker testato ha una precisione accettabile in condizioni controllate, ma con variazioni importanti a seconda del tipo di mobilità (meglio per la sedia a rotelle che per il cammino), della lunghezza delle sequenze di mobilità (meglio per distanze lunghe) e della popolazione (più preciso nei soggetti sani che in quelli con disabilità, specialmente camminatori con SCI).

Una delle sfide dei dispositivi indossabili commerciali è distinguere autonomamente tra cammino e uso della sedia a rotelle. Nel nostro caso, il sensore montato sulla scarpa non riusciva a tracciare in modo affidabile le distanze in sedia a rotelle, richiedendo un riposizionamento manuale sulla ruota. Questo è un limite importante per il monitoraggio continuo in pazienti che alternano le due modalità.

La velocità di cammino più lenta è associata a maggiori errori nel conteggio dei passi, e questo si è riflesso nei nostri risultati: il gruppo SCI, che camminava più lentamente, ha avuto l’errore maggiore del sensore. Inoltre, la sottostima su brevi distanze è rilevante, perché spesso chi cammina piano o si muove prevalentemente in casa compie proprio tragitti brevi e frequenti.

Dal punto di vista clinico, i nostri risultati sollevano interrogativi sulla validità ecologica dei test di cammino standardizzati come il 10MWT. Sebbene il 10MWT correli con la distanza percorsa nel mondo reale (e questo è un dato positivo!), non racconta tutta la storia, specialmente per i pazienti che camminano bene. C’è una variabilità significativa che i test da soli non spiegano. Questa discrepanza potrebbe essere dovuta a limitazioni funzionali residue nelle attività della vita quotidiana: pazienti con un buon recupero del cammino ma deficit persistenti in altri domini funzionali potrebbero rimanere più confinati in casa nonostante la loro capacità di camminare più velocemente.

Guardando al Futuro della Riabilitazione

Nonostante alcune limitazioni (come la necessità di migliorare la precisione dei sensori e campioni di studio più ampi), il messaggio chiave è che per le persone con ictus o lesione midollare, specialmente quelle con velocità di cammino da moderate a elevate, il monitoraggio dell’attività nel mondo reale offre una misura della mobilità clinicamente significativa e preziosa. Va oltre ciò che possiamo misurare in un ambulatorio.

Credo fermamente che gli studi futuri sulla riabilitazione dovrebbero considerare la distanza giornaliera percorsa nel mondo reale come un endpoint chiave per valutare l’efficacia degli interventi mirati a migliorare la mobilità. Solo così potremo avere un quadro completo di come le nostre terapie impattano davvero la vita quotidiana dei pazienti.

Un grafico stilizzato su uno schermo di tablet che mostra l'andamento della distanza percorsa giornalmente da un paziente, con picchi e valli. Accanto al tablet, una tazza di caffè e un paio di occhiali, suggerendo un'analisi attenta dei dati. Macro lens, 100mm, focus selettivo sul grafico, illuminazione da ufficio controllata.

Insomma, la strada è ancora lunga, ma la tecnologia indossabile ci sta aprendo porte affascinanti per comprendere e migliorare la vita di chi lotta ogni giorno per riconquistare ogni singolo passo.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *