Primo piano macro di un sensore TPS (Transient Plane Source) posizionato tra due campioni cilindrici, uno di acciaio lucido e uno di vetro trasparente, in un laboratorio scientifico. Illuminazione controllata, alta definizione, lente macro 100mm, messa a fuoco precisa sul sensore e sull'interfaccia con i materiali.

Acciaio e Vetro Svelano i Loro Segreti Termici: La Magia dei Metodi Transitori e FEM

Ciao a tutti gli appassionati di scienza e materiali! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo microscopico del calore e di come questo si muove attraverso materiali comuni ma fondamentali come l’acciaio e il vetro. Vi siete mai chiesti quanto velocemente il calore attraversa una lastra di vetro o un pezzo di acciaio? Beh, misurare queste proprietà, chiamate conducibilità termica e diffusività termica, è cruciale per un’infinità di applicazioni, dallo sviluppo di nuovi materiali isolanti alla progettazione di componenti industriali efficienti.

Il problema è che ottenere misure precise non è sempre una passeggiata. Ecco perché nel nostro campo siamo sempre alla ricerca di metodi più furbi, veloci e che magari richiedano campioni più piccoli. Ed è qui che entrano in gioco i cosiddetti metodi transitori. L’idea di base è semplice ma geniale: invece di aspettare che il materiale raggiunga un equilibrio termico stabile (che può richiedere molto tempo), creiamo un piccolo “shock” termico, di solito con un sensore che funge anche da fonte di calore, e misuriamo come la temperatura cambia nel tempo, quasi istantaneamente. Da questa risposta dinamica, possiamo ricavare le proprietà che ci interessano.

Alla scoperta dei Metodi Transitori: SWT, DPS, EDPS e TPS

Nel nostro studio, abbiamo messo alla prova diversi di questi metodi transitori. Per l’acciaio, ci siamo affidati ai metodi DPS (Dynamic Plane Source) e TPS (Transient Plane Source). Per il vetro silicato, invece, abbiamo ampliato il campo usando i metodi SWT (Step Wise Transient), EDPS (Extended DPS) e ancora il TPS.

Ogni metodo ha le sue peculiarità:

  • L’SWT usa una termocoppia separata dal sensore per misurare la risposta termica a una certa distanza.
  • Il DPS è pensato per materiali con alta conducibilità termica, mettendo il campione a contatto con un materiale poco conduttore (quasi adiabatico).
  • L’EDPS è la sua versione “estesa” per materiali a bassa conducibilità, dove il campione è a contatto con un ottimo conduttore (un dissipatore di calore, quasi isotermico).
  • Il TPS, inventato da Gustafsson e diventato uno standard ISO, è super versatile e può persino misurare materiali anisotropi (di cui parleremo tra poco). Usa un sensore a spirale che funge sia da fonte di calore che da termometro misurandone la resistenza elettrica.

Una delle sfide comuni a molti di questi metodi, specialmente SWT, DPS ed EDPS, è l’influenza del sensore stesso. Anche se piccolo, il sensore ha una sua capacità termica, cioè assorbe un po’ di calore, e questo può “sporcare” la misura se non ne teniamo conto correttamente nel modello teorico. Calcolare questa capacità termica effettiva direttamente è un incubo, perché dipende da tanti fattori difficili da quantificare.

FEM: Il nostro asso nella manica per la precisione

Ed ecco che arriva il nostro “superpotere”: il Metodo degli Elementi Finiti (FEM). Abbiamo usato simulazioni numeriche FEM per creare modelli super dettagliati dei nostri esperimenti. Questo ci ha permesso di capire e quantificare l’impatto reale del sensore e di altri dettagli sperimentali che i modelli analitici classici spesso trascurano o semplificano troppo.

Per l’SWT, abbiamo usato il FEM per calcolare un valore “efficace” della capacità termica del sensore (C*), che abbiamo poi inserito nella formula analitica per analizzare i dati reali. Un trucchetto che ha migliorato notevolmente l’affidabilità dei risultati!

Per DPS ed EDPS, la faccenda era ancora più complessa perché non esiste una formula analitica semplice che includa la capacità termica del sensore in quel contesto. Qui abbiamo adottato un approccio ibrido: abbiamo usato il FEM per simulare la risposta termica con una stima iniziale dei parametri del materiale. Poi, abbiamo usato questa risposta simulata per “correggere” la forma della funzione analitica originale. In pratica, abbiamo creato una formula analitica “migliorata” grazie al FEM, da usare poi per analizzare i dati sperimentali reali. Abbiamo verificato con delle simulazioni che questo metodo è incredibilmente preciso: anche partendo da stime iniziali con un errore del 5%, i risultati finali avevano errori inferiori allo 0.02%! E il bello è che basta una sola simulazione FEM (che di solito è la parte che richiede più tempo computazionale), rendendo il tutto anche piuttosto veloce.

Fotografia di un setup sperimentale per la misurazione della conducibilità termica in laboratorio. Si vedono blocchi di rame, campioni cilindrici di materiale (vetro o acciaio), sensori sottili inseriti tra i campioni e fili sottili di termocoppie collegati a strumenti di misura elettronici. Lente prime 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo del laboratorio, illuminazione da laboratorio.

Acciaio e Vetro sotto la lente: L’esperimento

Ma passiamo all’azione! Abbiamo preso campioni di vetro silicato (soda-lime, quello comune delle lastre) spesso 2.86 mm e campioni di acciaio S355J2+N (cilindri di 60 mm di diametro e 30 mm di altezza). Per le misure SWT, DPS ed EDPS abbiamo usato un sensore HotDisk tipo 7281 (una spirale di nickel tra strati di *Kapton*), misurando la temperatura con una termocoppia sottilissima (fili di chromel e alumel da 25 µm!). Per il TPS, abbiamo usato un sensore più piccolo (HotDisk 5501, diametro 13 mm) e misurato la sua resistenza.

Abbiamo curato ogni dettaglio: nel caso del vetro, abbiamo impilato più dischi incollandoli con olio di silicone (assumendo che il suo effetto fosse trascurabile data la planarità delle superfici). Nell’EDPS, abbiamo messo il vetro a contatto con cilindri di rame (ottimo conduttore) e, per sicurezza, abbiamo fatto misure anche inserendo un sottile foglio di *PET* (polietilene tereftalato) tra vetro e rame per minimizzare l’effetto di eventuali micro-intercapedini riempite di olio. Nel DPS sull’acciaio, abbiamo usato come materiale “noto” a bassa conducibilità il *PMMA* (plexiglass), interponendo anche qui un foglio di *PET* per isolamento elettrico della termocoppia. Ovviamente, tutti questi strati aggiuntivi (come il PET) sono stati inclusi nei nostri modelli FEM!

Una sorpresa inaspettata: l’Anisotropia

Confrontando i risultati ottenuti con i diversi metodi, è emersa una cosa interessante. I risultati del TPS differivano da quelli degli altri metodi (SWT, DPS, EDPS) fino al 4%. Non tantissimo, ma abbastanza per farci drizzare le antenne. Cosa significava? La spiegazione più plausibile era che i nostri materiali non fossero perfettamente isotropi, cioè con le stesse proprietà termiche in tutte le direzioni, ma leggermente anisotropi.

Il metodo TPS, infatti, è sensibile sia alla conducibilità nella direzione perpendicolare al sensore (che chiamiamo assiale o z) sia a quella nel piano del sensore (radiale o r). Gli altri metodi che abbiamo usato (SWT, DPS, EDPS), per come sono configurati, misurano prevalentemente la conducibilità lungo l’asse z.

I dati suggerivano che:

  • Nel vetro, la conducibilità termica fosse leggermente maggiore nella direzione radiale rispetto a quella assiale (circa 3.2% in meno lungo z). Questo è coerente con l’idea che durante la produzione delle lastre di vetro, le catene molecolari tendano ad allinearsi preferenzialmente nel piano del foglio a causa delle deformazioni meccaniche.
  • Nell’acciaio, accadesse il contrario: la conducibilità termica era leggermente maggiore nella direzione assiale rispetto a quella radiale (circa 4.2% in più lungo z). Qui, probabilmente, sono i cristalli del metallo ad avere un orientamento preferenziale lungo quella direzione.

È affascinante come una misura fisica possa darci indizi sulla struttura microscopica e sul processo di produzione di un materiale, non trovate?

Schermata di un software di simulazione FEM (Finite Element Method) che mostra una mesh colorata rappresentante la distribuzione del calore in un campione cilindrico durante un esperimento transitorio. Grafici di curve di temperatura sovrapposti. Alta definizione, focus sui dettagli della simulazione numerica.

Il modello anisotropico rimette tutto in ordine

A questo punto, abbiamo sfruttato la capacità del metodo TPS di gestire l’anisotropia. Usando il modello anisotropico del TPS (che richiede una misura separata della capacità termica volumetrica, ottenibile dai dati DPS/EDPS), siamo riusciti a calcolare separatamente le proprietà termiche nelle direzioni assiale (z) e radiale (r).

E qui la magia: quando abbiamo confrontato la conducibilità assiale (λz) ottenuta con SWT/DPS/EDPS (migliorata con FEM) con quella assiale (az) ottenuta dal modello anisotropico del TPS, le differenze si sono ridotte drasticamente! Parliamo di un -0.4% per il vetro e un +0.2% per l’acciaio. Differenze così piccole rientrano tranquillamente negli errori sperimentali.

La prova del nove: Validazione e affidabilità

Come ulteriore verifica (la “prova del nove”), abbiamo confrontato la conducibilità termica “media” misurata direttamente dal TPS nel modello isotropo (λ) con quella calcolata (λT) usando i parametri anisotropi (az, λz, ar, λr) ottenuti dal modello anisotropico. Secondo la teoria, questi due valori dovrebbero essere identici. Ebbene, le differenze relative (δ) erano piccolissime: -0.4% per il vetro e 0.2% per l’acciaio. Questo ci ha dato grande fiducia nella correttezza del nostro approccio e dei nostri risultati.

Possiamo quindi affermare che, grazie all’uso combinato di diversi metodi transitori e all’integrazione con le simulazioni FEM, siamo riusciti non solo a misurare con alta precisione (incertezza stimata inferiore all’1%) le proprietà termiche di acciaio e vetro, ma anche a caratterizzare la loro (seppur debole) anisotropia, collegandola alla loro microstruttura. L’anisotropia è risultata molto lieve (rapporto tra conducibilità assiale e radiale di 0.97 per il vetro e 1.04 per l’acciaio), ma significativa.

Limiti e prospettive

Certo, nessun metodo è perfetto per tutto. Questi metodi funzionano alla grande per materiali solidi e compatti, ma potrebbero essere meno adatti per materiali molto soffici o schiume, dove è difficile garantire un buon contatto termico senza comprimerli troppo. Ma per un’ampia gamma di materiali, l’approccio che abbiamo affinato si dimostra potente e affidabile.

Spero che questo tuffo nel mondo delle misure termiche vi sia piaciuto! È un esempio di come la combinazione di tecniche sperimentali intelligenti e strumenti di simulazione avanzati ci permetta di svelare i comportamenti più nascosti dei materiali che ci circondano.

Fonte: Springer

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