Primo piano del telemetro J.G. Hofmann appoggiato su una vecchia mappa militare del XIX secolo, con luce laterale drammatica che evidenzia i dettagli in ottone lucido, la copertura intrecciata scura e l'oculare. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, messa a fuoco precisa sui dettagli incisi.

Squarci nel Passato: Il Mistero del Telemetro di J.G. Hofmann al Deutsches Museum

Avete mai pensato a quanti segreti possano nascondere gli oggetti dimenticati in un museo? A volte, basta avvicinarsi in silenzio a questi testimoni del passato, apparentemente immobili e consumati dal tempo, per sentire i sussurri di epoche lontane, storie e misteri racchiusi nella loro stessa essenza. È proprio quello che ho provato a fare con un affascinante strumento: il Distanzschätzer, ovvero il “telemetro”, di un certo J.G. Hofmann, conservato al Deutsches Museum di Monaco.

Seguendo un approccio quasi da detective, ispirato al modello Winterthur per lo studio degli artefatti, ho cercato di ricostruire non solo le caratteristiche di questo oggetto, ma anche frammenti della vita del suo creatore e il viaggio che, molto probabilmente, lo ha portato fino a Monaco. Un viaggio pieno di domande, dove a volte si possono solo formulare congetture, come ci ricorda Huygens: non tutto può essere indagato con certezza assoluta, ma anche le ipotesi hanno il loro valore.

Un Escrino Misterioso: La Custodia

La prima cosa che salta all’occhio è che l’oggetto si presenta in due parti: lo strumento vero e proprio e la sua custodia. Quest’ultima è una scatola triangolare in pelle verde scuro, un po’ vissuta, con segni d’uso e qualche danno, specialmente sul lato sinistro e sul coperchio. Si chiude con una serratura in metallo dorato, decorata con motivi floreali e la scritta “BREVETÉ” (brevettato, in francese). Sul retro, si vedono chiaramente le cuciture e una goffratura. Ci sono anche tre passanti per cintura, perfettamente allineati, che suggeriscono come potesse essere trasportato.

All’interno, la custodia è foderata con un morbido tessuto rosa, che sembra seta, e presenta un piccolo “cuscinetto” in velluto color carne sul fondo, probabilmente per stabilizzare e proteggere lo strumento. Ma la vera sorpresa è incollata all’interno del coperchio: un’etichetta di carta che funge da mini manuale d’istruzioni, intitolata “Micromètre”.

Sotto il titolo, ci sono tre cerchi con delle linee centrali di diversa distanza, accompagnate da didascalie trilingue (francese, inglese, tedesco) che indicano le unità di misura: Metri, Doppi Metri e Mezzi Decametri. Ancora più sotto, un grafico mostra un fante con fucile e baionetta e un cavaliere con spada, affiancati da scale graduate: una per la distanza (fino a 300 metri) e una per l’altezza dell’oggetto (fino a 3 metri). Le uniformi sembrano generiche, databili a metà Ottocento, ma non riconducibili a una nazione specifica. Un piccolo stendardo suggerisce un contesto militare.

Un ultimo dettaglio intrigante sulla custodia è un’etichetta esterna, molto rovinata, di carta giallastra con una cornice decorativa verde-blu. Vi era scritto qualcosa, ora quasi illeggibile, ma osservando attentamente i segni d’inchiostro e le incisioni sulla carta, si intravede un “6”, seguito da qualcosa che assomiglia a un “4” e un terzo numero quasi indistinguibile, forse uno “0”. Potrebbe essere il numero d’inventario 640?

Fotografia macro della custodia in pelle verde scuro del telemetro Hofmann, aperta per mostrare la fodera interna in seta rosa e l'etichetta con le istruzioni sul coperchio. Dettagli della chiusura dorata 'BREVETÉ' visibili. Illuminazione controllata, alta definizione, obiettivo macro 85mm.

Lo Strumento: Un Gioiello di Ottone e Mistero

Passiamo ora allo strumento vero e proprio. È compatto, si tiene facilmente con una mano, anche se pesa circa 300 grammi. Le parti superiore e inferiore, così come la struttura dell’oculare e una leva laterale sinistra, sono in ottone lucido. Il corpo centrale sembra anch’esso in ottone, ma è ricoperto da un rivestimento protettivo/decorativo intrecciato, di colore bronzeo scuro, che lascia scoperte solo le estremità e la leva. Questo rivestimento, che sembra corda di canapa indurita con vernice scura o catrame, mostra graffi e danni, soprattutto sul lato destro, vicino alla lente obiettivo. Questi segni, forse dovuti all’uso o a una conservazione non ottimale, permettono di intravedere il materiale sottostante.

Le parti in ottone sono in buone condizioni generali, ma non mancano i graffi. Sulla placca dell’obiettivo, c’è un graffio evidente che ha alterato colore e lucentezza del metallo. Sembra quasi che qualcosa sia stato cancellato, sfregando via una scritta. Si intravedono tre cifre (6 3 9) rozzamente incise. Proprio sopra questa “macchia”, un’incisione ovale riporta: “J.G. HOFMANN PARIS“. Questo ci dà un indizio sul produttore e sul luogo di produzione. Vicino all’obiettivo ci sono anche due viti, probabilmente in acciaio, dato il colore diverso dall’ottone e l’assenza di ruggine.

Sull’altra placca, quella dell’oculare, ci sono graffi minori e due numeri visibili: un’incisione “640” (scritta a mano, apparentemente a matita, forse lo stesso numero dell’etichetta sulla custodia?) e un’altra incisione “148“. Quest’ultimo numero è scritto con un carattere simile a quello dell’ovale “J.G. HOFMANN PARIS”, suggerendo che possano essere state fatte nello stesso momento dal costruttore. Potrebbe essere un numero di serie?

L’oculare, a forma di corto tubo, sporge dalla placca e si può smontare svitandolo. Osservando l’interno, si nota un’ulteriore lente circondata da quattro “segni” scuri, disposti come i punti cardinali. Quelli verticali sono linee singole, quelli orizzontali sono più spessi, quasi a formare tre linee distinte. Confrontando questo dettaglio con i diagrammi sull’etichetta della custodia, la corrispondenza è impressionante. Inoltre, si notano deboli tracce di colla/vernice in corrispondenza di questi segni. Tutto fa pensare che qui fossero attaccati dei fili (ora mancanti) per formare una griglia, proprio come quella disegnata sull’etichetta, che permetteva all’osservatore di stimare le distanze usando lo schema proporzionale indicato.

Dentro lo Strumento: Come Funzionava?

Non potendo aprire lo strumento, l’unica cosa da fare era guardarci attraverso. Si tiene con la mano destra, mentre con la sinistra si manovra la leva. Ruotandola verso di sé, il tubo dell’oculare si estende; ruotandola in senso opposto, si accorcia. Questo meccanismo permette di mettere a fuoco oggetti a distanze diverse. È una sorta di cannocchiale, ma molto più compatto e leggero di quelli tradizionali a tubi estraibili. La messa a fuoco richiede un po’ di pratica, perché il campo visivo è ristretto (circa 5 gradi a occhio) e la mano non è sempre ferma, ma il meccanismo a leva è preciso e stabile.

Il campo visivo ottimale sembra essere tra pochi metri e circa 300-500 metri, in linea con le distanze riportate sull’etichetta. Tuttavia, si possono vedere chiaramente anche oggetti più lontani. Le due lenti esterne (oculare e obiettivo) non sono allineate, il che suggerisce la presenza interna di prismi o specchi per deviare la luce. È più probabile si tratti di prismi, per questioni di robustezza. Data la posizione delle lenti, ce ne devono essere almeno due. L’assenza di frange colorate ai bordi del campo visivo (aberrazione cromatica) indica l’uso probabile di lenti acromatiche (forse un doppietto acromatico?). L’immagine appare dritta, non capovolta, il che rende l’osservazione più semplice e suggerisce la presenza di almeno un’altra lente interna (portando il totale a quattro, se consideriamo i doppietti).

Come già detto, manca il reticolo a fili, parte cruciale per la misurazione precisa delle distanze, probabilmente perso o rotto a causa della sua delicatezza.

Illustrazione tecnica schematica dell'interno del telemetro Hofmann, mostrando il percorso della luce attraverso il sistema di prismi (tipo Porro) e le lenti acromatiche. Annotazioni in stile disegno tecnico. Bianco e nero, linee precise.

Chi era J.G. Hofmann? Un Ottico Avvolto nel Mistero

Ma chi era questo J.G. Hofmann di Parigi? Parafrasando Don Abbondio, viene da chiedersi: “Hofmann! Chi era costui?”. Sorprendentemente, si sa molto poco della sua vita, nonostante ai suoi tempi fosse considerato “uno dei nostri [francesi] più eminenti ottici”.

Jean Georges Hofmann (Bockenheim, 1823 – Parigi, 1892) nacque in Germania e si trasferì a Parigi, dedicandosi alla creazione di strumenti ottici. Lavorò a diversi indirizzi:

  • 1855-1858: 5 Rue de Fleurus
  • 1859-1877: 3 Rue de Buci
  • 1878-1887: 29 Rue de Bertrand

Questi dettagli provengono dagli annuari commerciali dell’epoca (Didot-Bottin), fonti ragionevolmente affidabili, anche se con qualche incertezza dovuta ai tempi di pubblicazione. Una lettera dello stesso Hofmann del dicembre 1858 conferma il trasloco da Rue de Fleurus a Rue de Buci proprio in quel periodo. È interessante notare che l’intestazione di quella lettera mostra un disegno del telemetro in questione, definito come uno dei suoi prodotti di punta, insieme alla lunette bi-prismatique sans tirage (cannocchiale bi-prismatico senza tiraggio). L’intestazione specifica anche che il telemetro era dotato di micrometro reticolare, confermando la nostra ipotesi, ed era progettato per misurare le distanze.

Ad un certo punto, probabilmente verso la metà degli anni ’70 del 1800, la sua ditta prese il nome di Institut d’Optique. Si dice che Hofmann non avesse frequentato corsi di ottica, ma che avesse un talento innato, quasi un genio, specialmente nell’ottica cristallografica.

Partecipò con successo alle Esposizioni Internazionali di Londra (1862) e Parigi (1867), dove fu elogiato per l’eccellenza dei suoi strumenti e la sua abilità costruttiva. Costruì anche strumenti su progetto di altri famosi scienziati, come gli spettroscopi compatti di Pierre Janssen, anche se non mancarono dispute sulla paternità del design.

L’Ombra di un Inventore: Ignazio Porro

Ma la storia del nostro telemetro si intreccia con un’altra figura eminente: Ignazio Porro (Pinerolo, 1801 – Milano, 1875), inventore, ottico e topografo italiano. Maggiore del Genio Militare sabaudo, si trasferì a Parigi nel 1847 e fondò l’Institut Technomatique et Optique. Fu Porro a inventare e produrre, non più tardi del 1850, dei monocoli chiamati longue-vue cornet, sostanzialmente identici al telemetro di Hofmann. Un esemplare di Porro è anch’esso conservato al Deutsches Museum.

Il longue-vue cornet di Porro era un piccolo telescopio terrestre (o meglio, telemetro) compatto (solo 10 cm), leggero (circa 300 g), con un ingrandimento di 10-12x e un micrometro reticolare per stimare la distanza di fanti o cavalieri. Il nome “cornet” derivava dalla forma simile a quella delle cornette acustiche dell’epoca. La caratteristica chiave era il sistema di prismi a visione indiretta, brevettato da Porro in Francia (1854) e Inghilterra (1855), che permetteva di “piegare” il percorso della luce e ridurre drasticamente la lunghezza dello strumento. Una versione migliorata fu presentata a Napoleone III nel 1855, che apprezzò molto l’oggetto, tanto da essere poi chiamato longue-vue Napoleon III.

E Hofmann? Sembra che fosse stato caporeparto nelle officine di Porro. Affascinato dai vantaggi del Cornet-Porro, iniziò a produrlo lui stesso, raggiungendo una tale perfezione costruttiva da dare grande popolarità a uno strumento che, forse, una costruzione mediocre avrebbe condannato all’oblio. Hofmann migliorò anche il concetto, creando il suo cannocchiale bi-prismatico senza tiraggio, che divenne famoso durante la campagna d’Italia e fu adottato dall’Imperatore stesso.

Ritratto in stile metà XIX secolo di Ignazio Porro, inventore italiano, con in mano uno dei suoi primi 'longue-vue cornet'. Sfondo neutro. Pellicola bianco e nero, profondità di campo ridotta, obiettivo 35mm.

Prezzi, Produzione e Datazione

Negli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento, Hofmann divenne un punto di riferimento, ricevendo commissioni da astronomi illustri come Angelo Secchi, Romney Robinson e William Huggins. Sembra che abbia accumulato una notevole fortuna. Interessante è il confronto dei prezzi: nel 1850, il longue-vue cornet di Porro costava 150 franchi o più, una cifra considerevole per l’epoca (lo stipendio medio annuo a Parigi era sui 1000-1400 franchi). Hofmann, invece, pubblicizzava il suo telemetro nel 1859-1860 a soli 65 franchi (70 con spedizione). Questo prezzo accessibile, unito alla qualità, contribuì probabilmente alla sua diffusione. Si stima che Hofmann ne abbia prodotti circa 1000 esemplari, rendendolo il primo telescopio a prismi prodotto in serie.

Questo rafforza l’idea che il “148” inciso sull’oculare del nostro esemplare sia un numero di serie. Ma quando fu prodotto esattamente? Non c’è una data sullo strumento. Tuttavia, un esemplare gemello conservato al National Museum of American History porta il numero 443 e, secondo il museo, ha la data “1862” incisa a matita sulla lente obiettivo. Poiché il nostro esemplare ha il numero 148, è ragionevole pensare che sia stato prodotto prima del 1862, probabilmente non oltre il 1860, considerando la differenza tra i numeri di serie e la produzione annuale stimata. Una risposta definitiva potrebbe arrivare solo aprendo lo strumento e cercando eventuali iscrizioni interne.

Da Parigi a Monaco: La Storia di un Viaggio

Come è arrivato questo strumento parigino al Deutsches Museum? Sappiamo che nel 1894 era inventariato nella Collezione Matematico-Fisica dello Stato Reale Bavarese (collegata all’Accademia Bavarese delle Scienze) con il numero 640 (lo stesso scritto a matita sull’oculare). L’etichetta esterna rovinata sulla custodia sembra proprio quella dell’Accademia. Resta il mistero del “639” rozzamente inciso e poi cancellato sull’obiettivo: un errore di catalogazione iniziale?

Il passaggio successivo è chiaro: nel 1905, lo Stato Bavarese e l’Accademia donarono 2023 oggetti al Deutsches Museum, costituendo la Collezione Fondante, di cui fa parte il nostro telemetro. Ma cosa è successo tra la sua presunta fabbricazione (1859-1860) e il 1894? Dove è stato per circa 35 anni? È stato mai usato? E come ha viaggiato da Parigi a Monaco?

Qui entriamo nel campo delle ipotesi. Le uniformi generiche e le istruzioni trilingue sull’etichetta suggeriscono un mercato internazionale, forse anche tedesco. Tuttavia, il sistema metrico decimale, usato nelle istruzioni, divenne obbligatorio in Baviera solo nel 1872 (anche se era già in uso nella Baviera Renana dal 1840). Era quindi davvero appetibile per il mercato tedesco negli anni ’60?

Lo stato di conservazione suggerisce più un’usura da stoccaggio improprio che un uso reale sul campo. Non ci sono ammaccature da battaglia, la paglia sotto il rivestimento rovinato è pulita, la custodia sembra un po’ troppo delicata per un uso militare rude, e manca il nome del proprietario inciso, pratica comune tra i soldati. Forse non è mai stato usato veramente?

Un indizio cruciale potrebbe venire da una lettera del 1859, trovata nell’archivio C.A. Steinheil del Deutsches Museum. Il fisico tedesco Wilhelm Eisenlohr scriveva all’amico Carl August von Steinheil (fisico, inventore e curatore della collezione matematico-fisica dell’Accademia Bavarese a Monaco) riguardo alla crescente necessità nell’esercito di telescopi portatili, menzionando esplicitamente il “telescopio di Hoffmann [sic] a Parigi” come “certamente pratico”. Eisenlohr si offriva di procurarli ai prezzi stabiliti da Steinheil. La lettera include persino uno schizzo del telemetro!

Carl August von Steinheil (1801-1870) e suo figlio Hugo Adolph (1832-1893) erano figure chiave nell’ottica e nell’astronomia a Monaco, fondatori della ditta C.A. Steinheil e Söhne e membri dell’Accademia Bavarese. L’ipotesi più plausibile è che il telemetro sia arrivato a Monaco grazie alla famiglia Steinheil. Forse Carl lo acquistò per sé nel 1859-1860 (periodo compatibile con la datazione ipotizzata e con la lettera di Eisenlohr), magari per studiarlo o copiarlo. Potrebbe averlo poi donato all’Accademia, lui stesso o suo figlio Hugo (morto nel 1893, poco prima che l’oggetto comparisse nell’inventario del 1894). Oppure potrebbe averlo acquistato direttamente per l’Accademia in quanto curatore.

Scena storica ricostruita di Carl August von Steinheil nel suo studio a Monaco, a metà '800, mentre esamina il piccolo telemetro Hofmann insieme a disegni tecnici e altri strumenti ottici su un tavolo di legno. Illuminazione da finestra laterale, colori caldi, obiettivo 50mm.

Un Mistero Ancora Aperto

Anche se abbiamo ricostruito parte della sua vita, molte domande restano senza risposta. Il telemetro di Hofmann rimane un oggetto affascinante, testimone silenzioso di un’epoca di grandi innovazioni ottiche e di figure come Porro e lo stesso Hofmann, un costruttore rinomato ma dalla biografia sfuggente.

È difficile credere che di un personaggio così importante ai suoi tempi siano rimaste così poche tracce. Mi piace pensare che molte informazioni siano ancora nascoste, forse in qualche archivio dimenticato, o magari nello strumento stesso, in attesa di essere scoperte. Questo piccolo telemetro conserva ancora gelosamente i suoi segreti, e questo viaggio nella sua storia ne ha svelato solo una piccola parte. Ma, come diceva Huygens, anche le congetture non sono inutili.

Fonte: Springer

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