Un Cuore Sotto Assedio: Il Mistero della Miocardite Eosinofila Nascosta in una Cardiomiopatia Dilatativa
Amici appassionati di medicina e curiosi della scienza, oggi voglio raccontarvi una storia che ha dell’incredibile, un vero e proprio giallo diagnostico che si è dipanato tra le corsie di un ospedale, mettendo a dura prova medici e tecnologie. Parliamo di un nemico subdolo e raro che può colpire il nostro muscolo più importante, il cuore: la miocardite eosinofila (ME). Immaginatevela come un’infiammazione del cuore causata da un’eccessiva presenza di un tipo specifico di globuli bianchi, gli eosinofili. Spesso, questa condizione si maschera, rendendo la diagnosi un percorso ad ostacoli. E quando si presenta in un quadro già complesso come quello di una cardiomiopatia dilatativa (CMD) – dove il cuore si dilata e perde la sua forza contrattile – la sfida diventa ancora più ardua.
L’inizio di un calvario: sintomi e primi sospetti
La nostra protagonista è una giovane donna di 32 anni. Per oltre cinque anni, ha combattuto con una tosse ricorrente, catarro e una fastidiosa mancanza di respiro. Negli ultimi 20 giorni prima del ricovero, questi sintomi si erano aggravati in modo preoccupante. Una volta in ospedale, i primi esami del sangue hanno subito acceso un campanello d’allarme: i livelli di pro-BNP (un marker di scompenso cardiaco) erano a 1107 ng/L (pensate che il normale è sotto i 125!), la troponina T ad alta sensibilità (indice di danno cardiaco) a 20.0 ng/L (normale < 14) e, soprattutto, un'impressionante conta di eosinofili: 17,1% del totale dei globuli bianchi, con un valore assoluto di 1.74 × 10⁹/L. Per fortuna, i test autoimmuni (ANA, anti-dsDNA, pannello ENA) erano negativi, escludendo alcune malattie autoimmuni sistemiche.
Una risonanza magnetica cardiaca con contrasto, effettuata il 14 novembre 2023, mostrava una ridotta e ritardata capacità di movimento del setto interventricolare e della parete anteriore del cuore. Un elettrocardiogramma dinamico del 3 dicembre 2023 rivelava un ritmo sinusale con alcune alterazioni significative delle onde ST-T e qualche extrasistole atriale. L'ecocardiogramma specialistico del giorno dopo confermava un lieve ingrandimento del ventricolo sinistro e una sua funzione sistolica moderatamente ridotta, con una frazione di eiezione (la percentuale di sangue pompato ad ogni battito) del 49%. Insomma, il cuore faceva fatica.
In questo periodo, il sospetto di miocardite eosinofila si faceva sempre più forte. Gli eosinofili continuavano ad aumentare, erano presenti in quantità significative nel liquido di lavaggio alveolare (un esame dei polmoni) e, ciliegina sulla torta, le era stata diagnosticata una polmonite eosinofila, confermata anche da una consulenza pneumologica. Sembrava quasi un caso da manuale, ma la medicina, si sa, ama le sorprese.
La biopsia che non chiarisce e la terapia steroidea
Il 22 febbraio 2024, una nuova risonanza magnetica cardiaca mostrava un cuore ingrandito, soprattutto a livello dell’atrio destro e del ventricolo sinistro, con una ridotta ampiezza di movimento. Si notavano piccole aree di difetto di perfusione e una piccola quantità di versamento pericardico. Di fronte al forte sospetto di miocardite eosinofila, già dal 18 novembre era stata iniziata una terapia con metilprednisolone orale (un corticosteroide) al dosaggio di 40 mg al giorno. Dopo che i livelli di eosinofili si erano normalizzati (passando dal 17,1% allo 0,5%), il dosaggio era stato ridotto a 30 mg al giorno il 29 novembre.
Il 6 dicembre 2023, la paziente era stata sottoposta a una biopsia miocardica endocardica. Questo esame, che consiste nel prelevare piccoli campioni di tessuto cardiaco, è considerato il “gold standard” per la diagnosi di miocardite. E qui, la prima doccia fredda: i risultati non fornivano prove definitive di miocardite. Il referto parlava di una sparsa infiltrazione linfocitaria, lieve fibrosi e alcune cellule miocardiche ramificate, ma nulla che urlasse “miocardite eosinofila”. Si ipotizzava persino una malattia da accumulo di glicogeno, ma si raccomandava di considerare il contesto clinico. Un vero rompicapo!

Il peggioramento improvviso e le misure estreme
Nonostante le terapie a lungo termine con farmaci come Entresto, metoprololo, spironolattone, furosemide e dapagliflozin, il 1° giugno 2024 la paziente viene nuovamente ricoverata. La tosse e il catarro erano tornati, con episodi di febbre notturna fino a 38.2°C, sudorazioni e dolori diffusi. I marker cardiaci erano di nuovo alle stelle: mioglobina a 127.50 ng/ml (normale < 72), CK-MB massa a 63.95 ng/ml (normale < 5) e troponina T ad alta sensibilità a 1367.0 ng/L.
Poco dopo il ricovero, la situazione precipita: la paziente sviluppa un'aritmia maligna. Scattano immediatamente gli interventi d’urgenza: farmaci, defibrillazione elettrica, intubazione tracheale e ventilazione assistita. Ma il suo cuore non ne voleva sapere di riprendersi. Il 2 giugno 2024, si decide di avviare l’ECMO (Ossigenazione Extracorporea a Membrana), una macchina che sostituisce temporaneamente la funzione di cuore e polmoni. Nonostante questo supporto vitale e alte dosi di farmaci vasoattivi, il 4 giugno la paziente continuava ad avere tachicardia ventricolare persistente, pressione sanguigna non rilevabile e parametri vitali instabili. La diagnosi ora era di miocardite fulminante (MF), la forma più grave e rapidamente progressiva di miocardite. Per cercare di darle un’ulteriore chance, viene impiantato anche un IABP (Contropulsatore Aortico), un palloncino che aiuta il cuore a pompare il sangue.
Durante questo secondo ricovero per miocardite fulminante, vista la situazione critica e lo shock cardiogeno, si era ripartiti con alte dosi di metilprednisolone per via endovenosa (500 mg al giorno) dal 1° giugno. Fortunatamente, i biomarcatori cardiaci iniziarono a migliorare (mioglobina da 947.20 a 302.60 ng/mL, CK-MB massa da 42.20 a 15.89 ng/mL, e hs-TnT da 4293.0 a 1763.0 ng/L), permettendo una graduale riduzione del dosaggio steroideo a partire dal 4 giugno.
Il trapianto di cuore: l’ultima speranza e la rivelazione
Un ecocardiogramma specialistico del 7 giugno 2024 mostrava un ventricolo sinistro ingrandito, con una frazione di eiezione crollata al 18% e una gravissima riduzione della coordinazione dei movimenti della parete ventricolare. Il 12 giugno, un lieve miglioramento emodinamico aveva fatto sperare in una possibile rimozione dell’ECMO. Ma il giorno dopo, una riduzione del supporto ECMO causava tachicardia parossistica e un aumento dei lattati, segno che il cuore era ancora troppo debole. A questo punto, il trapianto di cuore diventava l’unica opzione terapeutica possibile. I livelli di mioglobina, il 14 giugno, erano di nuovo aumentati a 427.50 ng/ml.
Il 19 giugno 2024, viene eseguito con successo un trapianto di cuore allogenico. E qui, amici, arriva il colpo di scena. L’esame istopatologico del cuore espiantato, quello malato, rivela finalmente la verità: una significativa presenza di eosinofili. La diagnosi di miocardite eosinofila, così a lungo sospettata e mai confermata dalla biopsia, era lì, nero su bianco. La biopsia iniziale, probabilmente, aveva mancato le aree colpite, un fenomeno noto come “errore di campionamento” che può portare a falsi negativi, soprattutto in una malattia che può manifestarsi a chiazze.
Capire la Miocardite Eosinofila: una diagnosi complessa
La diagnosi di ME si basa sull’evidenza istopatologica di infiltrazione eosinofila nel miocardio, con almeno 10 eosinofili per campo ad alta potenza nelle aree colpite, danno ai miociti e l’assenza di altre cause. Come abbiamo visto, la biopsia endomiocardica è fondamentale, ma la sua sensibilità non è altissima (si parla di un tasso di incidenza dello 0,1% nei casi sospetti di miocardite).
Ecco perché strumenti di imaging come la risonanza magnetica cardiaca (RMC) e la tomografia a emissione di positroni (PET) giocano un ruolo cruciale. La RMC può evidenziare l’edema miocardico, un segno distintivo della ME, e pattern specifici di “late gadolinium enhancement” (LGE). La PET con fluorodesossiglucosio (FDG) può visualizzare le aree di aumentato metabolismo del glucosio, che corrispondono all’attività infiammatoria.
Il trattamento primario della ME mira a risolvere la causa sottostante, ma spesso questa rimane sconosciuta. Per questo, la terapia con corticosteroidi è frequentemente usata come prima linea, e in molti casi porta a miglioramenti significativi, come dimostrato in letteratura. Nel nostro caso, la paziente aveva ricevuto un trattamento ormonale ad alte dosi combinato con immunoglobuline, con una successiva riduzione dei marker miocardici.

Miocardite Eosinofila, Miocardite Fulminante e Cardiomiopatia Dilatativa: un intreccio pericoloso
Le manifestazioni cliniche della ME sono varie. Può presentarsi come una miocardite fulminante acuta o come una cardiomiopatia restrittiva cronica. È interessante notare che la ME contribuisce all’11,5% dei casi di miocardite fulminante e al 18,1% dei casi di miocardite non fulminante. La miocardite fulminante, come abbiamo visto, è una condizione devastante con una mortalità intraospedaliera che può arrivare al 40-80%, anche con interventi farmacologici e meccanici.
La diagnosi differenziale tra ME e CMD può essere complicata. La ME è caratterizzata dall’infiltrazione eosinofila, mentre la CMD è definita dalla dilatazione ventricolare e dalla ridotta contrattilità, spesso senza infiammazione eosinofila. Tuttavia, la ME può causare un ingrandimento del ventricolo sinistro a causa della risposta infiammatoria e del danno miocardico, confondendo le acque. Nel nostro caso, la biopsia negativa e l’ecocardiogramma che mostrava un ventricolo sinistro ingrandito con ridotta coordinazione dei movimenti hanno reso la diagnosi di ME particolarmente difficile.
È fondamentale anche distinguere la ME da altre forme di miocardite, come quella virale (che non ha la componente eosinofila) o la miocardite da ipersensibilità (spesso legata a farmaci o allergeni specifici). Anche malattie sistemiche come la granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA), una vasculite associata agli anticorpi ANCA, devono essere considerate, sebbene nel nostro caso i test ANCA fossero negativi.
Un lieto fine e importanti lezioni
Dopo il trapianto, la paziente è stata trasferita in terapia intensiva, sedata e ventilata. Le sue funzioni cardiovascolari e respiratorie sono rimaste stabili. Il 26 giugno 2024, le sue condizioni si erano stabilizzate a tal punto da permettere l’estubazione. Il giorno successivo, era cosciente, seppur affaticata, e in grado di seguire le istruzioni mediche. Finalmente, il 24 luglio 2024, è stata dimessa dall’ospedale in buone condizioni.
Questo caso sottolinea l’importanza del riconoscimento e del trattamento precoce della miocardite eosinofila, cruciali per prevenire la progressione verso uno scompenso cardiaco grave o una miocardite fulminante. I medici devono mantenere un alto indice di sospetto per la ME in pazienti con dolore toracico inspiegabile, specialmente se accompagnato da ipereosinofilia o una storia di condizioni allergiche. L’uso combinato di test di laboratorio completi, strumenti di imaging efficaci come RMC e PET, e la biopsia miocardica (pur con i suoi limiti) sono essenziali. Un approccio multidisciplinare, coinvolgendo cardiologi, pneumologi, ematologi e radiologi, può migliorare significativamente l’accuratezza diagnostica e la pianificazione del trattamento.
La storia di questa giovane donna ci ricorda quanto possa essere complessa la medicina e come, a volte, solo le misure più estreme, come un trapianto di cuore, possano non solo salvare una vita, ma anche svelare la vera natura di una malattia sfuggente. Un plauso alla tenacia dei medici e alla forza della paziente, che insieme hanno vinto una battaglia difficilissima.
Fonte: Springer
