Mini-Cervelli in Laboratorio: La Rivoluzione 3D per Scovare i Pericoli Nascosti
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona tantissimo e che, credetemi, potrebbe cambiare il modo in cui proteggiamo la nostra salute, in particolare il nostro cervello. Avete mai pensato a quante sostanze chimiche ambientali ci circondano ogni giorno? E a come facciamo a sapere se sono sicure, specialmente per il nostro sistema nervoso così delicato? Beh, è una sfida enorme.
Il Vecchio Dilemma: Test Animali vs. Sicurezza Umana
Per anni, la risposta principale è stata l’uso di test sugli animali. Ma diciamocelo, questi test sono lenti, costosi, richiedono l’impiego di moltissimi animali e, soprattutto, non sempre quello che succede in un topo o in un coniglio si traduce perfettamente nell’uomo. Ci sono troppe incertezze, troppe differenze biologiche. Ecco perché da tempo si sente il bisogno di qualcosa di nuovo, di più efficiente e, soprattutto, più “umano”. Stiamo parlando delle cosiddette New Approach Methodologies (NAMs), nuovi approcci metodologici che cercano di superare i limiti dei test tradizionali. L’idea è semplice ma rivoluzionaria: usare modelli *in vitro*, cioè in laboratorio, che imitino il più fedelmente possibile la biologia umana, per testare la sicurezza delle sostanze chimiche in modo più rapido ed etico. E qui entriamo nel vivo della nostra avventura scientifica!
Ecco i BrainSpheres: Cervelli in Miniatura
Immaginate di poter creare in laboratorio delle minuscole sfere tridimensionali (3D) che assomigliano a piccoli cervelli. Non è fantascienza! Grazie alle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), derivate da cellule umane adulte (come quelle della pelle), oggi possiamo farlo. Queste cellule “magiche” possono essere riprogrammate per diventare qualsiasi tipo di cellula del corpo, inclusi i neuroni, gli astrociti e gli oligodendrociti, ovvero le cellule principali che compongono il nostro cervello. Noi abbiamo lavorato con un modello specifico chiamato ‘BrainSpheres’. Queste sfere, di circa 300 micrometri di diametro (più o meno lo spessore di 3 fogli di carta), non sono solo un ammasso di cellule: al loro interno si sviluppa una vera e propria micro-architettura tissutale, con neuroni che comunicano tra loro (formando sinapsi), astrociti che li supportano e oligodendrociti che creano la mielina, quella guaina isolante fondamentale per la trasmissione veloce dei segnali nervosi. Addirittura, studi recenti hanno mostrato che in queste BrainSpheres si possono distinguere diversi tipi di neuroni, come quelli eccitatori (glutammatergici) e inibitori (GABAergici), ma anche dopaminergici e serotoninergici. Insomma, una complessità che i vecchi modelli 2D (quelli piatti, su piastra di coltura) non potevano neanche sognare!
La Tecnologia che Fa la Differenza: Gli HD-MEA
Avere dei mini-cervelli è fantastico, ma come facciamo a “sentire” cosa si dicono i neuroni al loro interno? Come capiamo se una sostanza chimica sta interferendo con la loro normale attività? Qui entra in gioco un’altra tecnologia pazzesca: gli array di microelettrodi ad alta densità (HD-MEA). Pensate a una piastra di coltura speciale, con migliaia di micro-elettrodi microscopici sul fondo (parliamo di densità fino a 3200 elettrodi per millimetro quadrato!). Quando appoggiamo le nostre BrainSpheres su questa piastra, gli elettrodi possono registrare l’attività elettrica dei singoli neuroni e delle reti neurali che si formano all’interno della sfera. A differenza dei vecchi sistemi MEA con pochi elettrodi distanti tra loro, gli HD-MEA ci permettono di “ascoltare” con una risoluzione spaziale incredibile, catturando segnali da quasi ogni cellula attiva sopra l’array. Questo è fondamentale per studiare modelli 3D complessi come le BrainSpheres, dove posizionare correttamente la sfera su pochi elettrodi sarebbe stato un incubo e avrebbe introdotto troppa variabilità.
La Prova del Nove: Il Nostro Esperimento
Ok, abbiamo i mini-cervelli (le BrainSpheres) e le “orecchie” super sensibili per ascoltarli (gli HD-MEA). Cosa abbiamo fatto? Abbiamo messo insieme queste due tecnologie per creare un nuovo test di screening per la neurotossicità, che abbiamo chiamato ‘BrainSpheres MEA assay’. Abbiamo fatto crescere le nostre BrainSpheres per 7 settimane, fino a quando non hanno sviluppato una bella attività neurale spontanea, con i neuroni che “sparavano” potenziali d’azione e formavano raffiche di attività sincronizzata (i cosiddetti ‘burst’, segno di una rete funzionante). Poi le abbiamo messe sulle piastre HD-MEA e abbiamo iniziato l’esperimento vero e proprio. Abbiamo selezionato un gruppo di 10 sostanze chimiche:
- Due controlli positivi “noti”: loperamide (un antidiarroico oppioide che agisce sui neuroni *in vitro* ma non *in vivo* grazie alla barriera emato-encefalica) e acido domoico (una tossina marina nota per la sua neurotossicità). Ci aspettavamo che queste sostanze alterassero l’attività neurale.
- Un controllo negativo “noto”: acetaminofene (il paracetamolo), che non dovrebbe avere effetti neurotossici a queste condizioni.
- Sette sostanze chimiche “di valutazione”, scelte sulla base di studi precedenti su modelli 2D di ratto (il cosiddetto ‘rNFA’ – rat Network Formation Assay), alcune attive e una (amoxicillina) inattiva in quel modello. Tra queste c’erano metilmercurio, deltametrina, BDE-47, dieldrina, bisfenolo A e valproato di sodio.
Abbiamo esposto le BrainSpheres a diverse concentrazioni di queste sostanze per 13 giorni, registrando l’attività neurale ogni due giorni. Abbiamo misurato ben 10 parametri diversi, che descrivevano sia l’attività generale (come la frequenza di firing media, l’ampiezza dei picchi) sia l’attività di rete (come la frequenza e la durata dei burst, la sincronia). Alla fine, abbiamo anche controllato la vitalità cellulare per vedere se gli effetti osservati fossero dovuti a tossicità specifica sui neuroni o semplicemente alla morte delle cellule (citotossicità).
Cosa Abbiamo Scoperto? Primi Risultati Promettenti
I risultati sono stati davvero incoraggianti! Innanzitutto, abbiamo dimostrato che le BrainSpheres mantengono un’attività elettrica spontanea e consistente per tutte le 7 settimane di coltura e durante i 13 giorni dell’esperimento sulle piastre HD-MEA. Poi, il nostro test è stato in grado di “vedere” gli effetti delle sostanze chimiche. Come ci aspettavamo:
- I controlli positivi, loperamide e acido domoico, hanno effettivamente alterato l’attività neurale in modo significativo, influenzando quasi tutti i parametri che abbiamo misurato, e questo a concentrazioni che non causavano (o causavano poca) morte cellulare.
- Il controllo negativo, l’acetaminofene, è risultato inattivo su tutta la linea. Bingo!
- Anche la maggior parte delle sostanze di valutazione che erano attive nel modello 2D di ratto (rNFA) hanno mostrato effetti nel nostro modello 3D umano (metilmercurio, deltametrina, BDE-47, dieldrina, bisfenolo A).
- L’amoxicillina, negativa nel test sul ratto, è risultata negativa anche da noi. Ottima specificità!
- L’unica “sorpresa” è stata il valproato di sodio, attivo nel ratto ma non nel nostro test. Probabilmente, però, è solo perché non abbiamo testato concentrazioni abbastanza alte (nel ratto era attivo a dosi molto più elevate di quelle usate da noi).
Abbiamo poi confrontato i nostri risultati con quelli ottenuti nel modello 2D di ratto (rNFA). In generale, i profili di attività erano simili per la maggior parte delle sostanze. Tuttavia, abbiamo notato una cosa interessante: per 4 delle 7 sostanze attive in entrambi i modelli, il test sul ratto sembrava essere più sensibile, cioè rilevava effetti a concentrazioni più basse rispetto al nostro modello 3D umano. Questo potrebbe dipendere da tanti fattori: differenze tecniche tra i sistemi MEA usati, differenze biologiche tra le cellule di ratto e quelle umane, o forse la struttura 3D rende le nostre BrainSpheres un po’ più “robuste” e resistenti agli insulti chimici. È un aspetto su cui dovremo indagare meglio.
Sfide e Prossimi Passi: La Strada è Ancora Lunga (Ma Emozionante!)
Non è tutto oro quello che luccica, ovviamente. Una delle sfide principali che abbiamo riscontrato è stata la variabilità tra le diverse repliche dell’esperimento. Anche se l’attività media dei controlli era abbastanza stabile nel tempo, c’era una certa differenza tra una piastra e l’altra, e tra le diverse BrainSpheres all’interno della stessa piastra. Questo è in parte normale, data la complessità biologica del modello, ma dobbiamo lavorare per ridurla. Come? Ad esempio, potremmo implementare criteri di selezione più stringenti per le BrainSpheres da includere nell’analisi (magari scartando quelle con attività basale troppo bassa o troppo alta), o usare piastre con più pozzetti per avere più controlli su ogni piastra. Stiamo anche pensando a come migliorare l’adesione delle sfere agli elettrodi e ottimizzare ulteriormente i parametri di registrazione e analisi. E, naturalmente, il prossimo passo fondamentale sarà testare un numero molto più ampio e diversificato di sostanze chimiche, magari focalizzandoci su specifici meccanismi di neurotossicità, per capire davvero il potenziale e i limiti di questo nuovo approccio e confrontarlo con altri NAMs.
Verso un Futuro Senza Test Animali?
Quello che abbiamo fatto è un primo passo, un “proof-of-concept”, ma crediamo sia molto promettente. Abbiamo dimostrato che è possibile combinare un modello cerebrale 3D umano complesso e rilevante (le BrainSpheres) con una tecnologia di registrazione all’avanguardia (gli HD-MEA) per creare un test *in vitro* capace di rilevare alterazioni funzionali dell’attività neurale indotte da sostanze chimiche. C’è ancora lavoro da fare per ottimizzare il test e renderlo più robusto, ma i risultati preliminari sono forti. Immaginiamo un futuro in cui test come questo possano essere usati, magari in combinazione con altri NAMs (come il test 2D sul ratto, che potrebbe servire da primo screening), per valutare la sicurezza delle sostanze chimiche in modo più rapido, economico, etico e, soprattutto, più predittivo per la salute umana. Potrebbe essere parte di una strategia “a livelli”, dove i “colpi” sospetti identificati in test più semplici vengono poi confermati e caratterizzati in modelli più complessi e umanizzati come le BrainSpheres. L’obiettivo finale? Ridurre drasticamente, e magari un giorno eliminare, la necessità di test sugli animali, garantendo al contempo una protezione migliore per il nostro prezioso cervello. La strada è tracciata, e noi siamo entusiasti di percorrerla!
Fonte: Springer