Immagine concettuale fotorealistica: una persona medita serenamente davanti a un piatto di cibo colorato e invitante (frutta fresca, verdure). Metà del cibo appare vibrante e dettagliato (mindfulness), l'altra metà è grigia e sfocata (assuefazione). Obiettivo 50mm, profondità di campo selettiva che isola la persona e il piatto, illuminazione morbida e naturale.

Mindfulness: Il Segreto per Gustare Davvero il Cibo (e Forse Mangiare Meno?)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che riguarda molti di noi: il nostro rapporto con il cibo, lo stress e quella sensazione di… beh, di non gustare più le cose come una volta. Viviamo in un mondo pazzesco, vero? Siamo costantemente bombardati da immagini, odori, tentazioni alimentari. Pubblicità, supermercati stracolmi, social media… è quella che gli esperti chiamano un “ambiente obesogenico”. E sapete cosa succede quando siamo esposti di continuo agli stessi stimoli, anche quelli buoni come il profumo di una torta appena sfornata? Ci abituiamo.

L’Assuefazione: Quando il Piacere Svanisce

Questa si chiama assuefazione (o abituazione, se preferite). È un meccanismo naturale: il nostro cervello, per non andare in sovraccarico, inizia a “ignorare” un po’ gli stimoli ripetuti. Utile, no? Peccato che quando si tratta di cibo, questo significhi che il piacere che proviamo mangiando diminuisce. Il primo boccone di quella pizza è celestiale, il decimo… meh. E cosa facciamo spesso, quasi senza accorgercene, per ritrovare quel piacere perduto? Mangiamo di più. Si innesca un circolo vizioso: meno gusto -> più cibo -> aumento di peso -> problemi di salute (metabolici, cardiovascolari… insomma, non proprio il massimo).

Aggiungeteci lo stress della vita moderna. Lo stress, si sa, fa venire fame a molti di noi. È un retaggio evolutivo: il corpo si prepara a “combattere o fuggire” e chiede energia. Ma oggi lo stress non è un leone da cui scappare, è il capo, le scadenze, il traffico… e l’energia extra che introduciamo mangiando sotto stress non la bruciamo. Quindi: stress + assuefazione da cibo = un mix potenzialmente problematico per la nostra linea e la nostra salute.

E se la Mindfulness Fosse la Chiave?

Qui entra in gioco una parola che forse avete già sentito: Mindfulness. Non è una magia new age, ma un allenamento mentale ben preciso. Si tratta di portare attenzione al momento presente, in modo intenzionale e senza giudicare. Applicato al cibo, significa mangiare “consapevolmente”: assaporare davvero ogni boccone, notare i sapori, le consistenze, gli odori, ma anche le nostre sensazioni interne di fame e sazietà.

L’idea affascinante è questa: e se la mindfulness potesse aiutarci a “resettare” i nostri sensi? Se potesse ridurre quell’assuefazione al cibo, facendoci riscoprire il piacere di mangiare con quantità normali? E se, aiutandoci a gestire meglio le emozioni (ciao ciao stress!), potesse ridurre anche la fame nervosa? Sembra promettente, no?

Primo piano macro di un pezzo di cioccolato fondente, illuminazione controllata per esaltare la texture ricca e lucida. Obiettivo macro 90mm, alta definizione, messa a fuoco precisa sui cristalli di zucchero.

Un Esperimento nel Cervello: Cosa Succede Davvero?

Per capirci di più, un gruppo di ricercatori (e qui vi racconto un po’ “dietro le quinte” della scienza) ha messo in piedi uno studio molto interessante, registrato come trial clinico (ISRCTN12901054). Hanno reclutato persone che tendevano a mangiare di più sotto stress e che non avevano mai praticato meditazione. Le hanno divise in due gruppi:

  • Un gruppo ha seguito un training di mindfulness online di 31 giorni, focalizzato proprio sul rapporto con il cibo.
  • L’altro gruppo (il controllo attivo) ha seguito un training online simile per durata e impegno, ma con contenuti generici sulla salute (video, audio da programmi scientifici, ma niente su mindfulness o alimentazione).

Prima e dopo il training, tutti i partecipanti sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI). Immaginatevi: affamati, un po’ stressati (glielo inducevano apposta, poverini!), dentro la macchina della risonanza, mentre venivano esposti a immagini e odori di cibi super golosi (tipo cioccolato, pizza…). L’obiettivo era vedere come reagiva il loro cervello a questa stimolazione ripetuta.

Risultati Sorprendenti: Il Cervello “Mindful” Resta Sintonizzato

Ed ecco la parte più succosa! A livello di sensazioni riportate *durante* la scansione (fame, stress), non ci sono state grandi differenze tra i gruppi dopo il training. Entrambi si sentivano più affamati e stressati man mano che l’esperimento andava avanti (comprensibile, dentro un tubo rumoroso con odore di pizza!).

Ma guardando l’attività cerebrale… apriti cielo!
All’inizio (prima del training), entrambi i gruppi mostravano una leggera tendenza all’assuefazione: l’attività nelle aree cerebrali legate all’olfatto e alla vista diminuiva un po’ con l’esposizione ripetuta ai cibi. Normale.

Dopo il training, però, le cose sono cambiate:

  • Nel gruppo di controllo (Health Training), l’attività cerebrale nelle aree sensoriali (olfatto, vista) crollava durante l’esposizione ai cibi. Insomma, si erano “abituati” ancora di più, quasi annoiati da quegli stimoli.
  • Nel gruppo Mindfulness, invece, succedeva il contrario! L’attività cerebrale in quelle stesse aree aumentava! Era come se il training li avesse resi più capaci di mantenere l’attenzione sugli stimoli, di percepirli più intensamente e più a lungo, contrastando l’assuefazione.
  • Non solo: nel gruppo Mindfulness è aumentata anche l’attività nelle aree cerebrali legate alla regolazione delle emozioni. Il gruppo di controllo, no.

Visualizzazione astratta ma fotorealistica dell'attività cerebrale. Scintille luminose blu e arancioni (duotone) che rappresentano i segnali neurali in diverse aree (visiva, olfattiva, prefrontale) su uno sfondo scuro. Profondità di campo, effetto bokeh.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Quindi, cosa significa tutto questo? Sembra che la mindfulness, anche con un training relativamente breve, possa davvero “ricablare” un po’ il nostro cervello nel modo in cui processa gli stimoli alimentari. Non ci rende immuni alla fame o allo stress (almeno non subito, e non in un ambiente stressante come una fMRI!), ma sembra potenziare la nostra capacità di:

  • Prestare attenzione ai sensi (gusto, olfatto, vista del cibo).
  • Contrastare l’assuefazione, mantenendo vivo il piacere di mangiare.
  • Attivare le aree cerebrali che ci aiutano a gestire le emozioni.

Anche se nello scanner i partecipanti non hanno detto di sentirsi diversamente, altri dati raccolti nello stesso studio (ma pubblicati separatamente, Torske 2024) hanno mostrato che il gruppo mindfulness *ha effettivamente ridotto* la tendenza a mangiare per stress o per emozioni nella vita quotidiana!

Questo suggerisce che la mindfulness agisce a un livello più profondo, neurale. Potrebbe aiutarci a ritrovare la soddisfazione nel cibo senza doverne mangiare quantità eccessive e a gestire meglio quella fame nervosa che ci assale nei momenti difficili. Non è una bacchetta magica, intendiamoci. Lo studio ha i suoi limiti (campione non enorme, serve vedere gli effetti a lungo termine, ecc.), ma i risultati sono davvero incoraggianti.

Una donna sorridente e rilassata che pratica mindfulness seduta su un cuscino in un ambiente luminoso e tranquillo. Ritratto con obiettivo 35mm, luce naturale diffusa, colori tenui, bianco e nero leggero, profondità di campo.

In conclusione, la prossima volta che vi sedete a tavola, provate a fare un piccolo esperimento di mindfulness: spegnete la TV, mettete via il telefono, e concentratevi davvero su quello che avete nel piatto. Annusate, osservate i colori, masticate lentamente, assaporate. Potreste scoprire che il cibo ha un sapore molto più interessante di quanto ricordavate… e magari vi sentirete sazi e soddisfatti prima del solito. Un piccolo passo per voi, un potenziale grande passo per il vostro benessere!

Fonte: Springer

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