Fisicamente Qui, Mentalmente Là? Il Dilemma del Migrante tra Due Mondi e l’Impegno Civico
Un Piede Qui, un Piede Là: Come Vivono i Migranti?
Avete mai pensato a cosa succede quando si vive con un piede in due mondi? Io sì, spesso. Soprattutto quando penso a chi, come tanti migranti, è fisicamente qui, negli Stati Uniti nel nostro caso, ma ha ancora un legame fortissimo, mentale ed emotivo, con il paese d’origine (che chiameremo COO, Country of Origin). La domanda che mi ronza in testa è: questo legame, questa ‘presenza mentale’ altrove, come influenza la voglia e la capacità di partecipare alla vita civica e politica qui, nel nuovo paese di residenza (il COR, Country of Residence)? È un tema affascinante che tocca le corde dell’identità, dell’appartenenza e della partecipazione democratica.
Recentemente mi sono imbattuto in uno studio che cerca di fare luce proprio su questo. L’idea di base è esplorare se l’impegno verso il paese d’origine renda i residenti nati all’estero negli USA più o meno propensi a partecipare alle attività civiche e politiche americane. Sembra semplice, ma le implicazioni sono enormi.
Due Scenari Possibili: Addizione o Sottrazione?
Lo studio parte da due ipotesi principali, quasi opposte.
- La prima ipotesi (che potremmo chiamare “della socializzazione trasferibile”) suggerisce che l’impegno politico sia un po’ come andare in bicicletta: una volta che impari, sai farlo ovunque. Quindi, chi era attivo politicamente nel proprio paese d’origine prima di migrare, o continua ad esserlo anche dopo, dovrebbe essere più propenso a impegnarsi anche nel nuovo contesto americano. L’attivismo sarebbe una sorta di bagaglio che ci si porta dietro e si adatta. Ha senso, no? Se sei abituato a far sentire la tua voce, perché smettere solo perché hai cambiato indirizzo?
- La seconda ipotesi (chiamiamola “dell’attenzione divisa” o “delle risorse limitate”) va nella direzione opposta. Sostiene che impegnarsi con il paese d’origine (magari mandando soldi a casa, le famose rimesse, o seguendo da vicino la politica di là) possa, in realtà, disincentivare la partecipazione nel paese di residenza. Perché? Semplice: tempo, energie mentali e risorse economiche non sono infinite. Se investi molto “là”, ti resta meno da investire “qua”. È come avere due lavori part-time molto impegnativi: difficile dare il massimo in entrambi.
Quale delle due avrà la meglio? La realtà, come spesso accade, è più sfumata.
Cosa Dicono i Dati? Sorprese e Sfumature
Per capirci qualcosa di più, i ricercatori hanno usato i dati di un sondaggio molto interessante del 2020, il “Collaborative Multiracial Postelection Survey” (CMPS). Hanno fatto domande specifiche a persone nate all’estero che vivono negli USA, chiedendo dei loro legami con il paese d’origine, delle loro opinioni politiche e del loro coinvolgimento nelle questioni sociali e politiche americane. Hanno poi incrociato questi dati con informazioni sui paesi d’origine, come la crescita economica e il tipo di regime politico (democratico o meno).
E qui arriva il bello, o forse dovrei dire il complicato. I risultati mostrano un quadro a due facce:
- Partecipazione Politica Formale (tipo votare): Qui sembra prevalere la tesi dell’ “attenzione divisa”. Chi è più impegnato con il paese d’origine (misurato ad esempio dall’invio di rimesse o dall’aver votato nel COO prima di migrare) tende a partecipare meno alla politica formale negli USA (come votare alle elezioni americane, ovviamente per chi ha la cittadinanza). È come se l’energia politica fosse canalizzata altrove, o forse le dinamiche del voto sono così diverse tra i due paesi che l’esperienza pregressa non si “trasferisce” facilmente.
- Impegno Civico (tipo volontariato, gruppi sociali): Qui la musica cambia! Lo stesso impegno verso il paese d’origine, in particolare fare volontariato per cause legate al COO, è risultato positivamente associato all’impegno civico nel paese di residenza. Chi si dà da fare per il suo paese d’origine è anche più propenso a partecipare a gruppi sociali, culturali, civici o politici qui negli USA, a collaborare per risolvere problemi di quartiere o a partecipare a riunioni comunitarie. In questo caso, sembra che l’attivismo generi altro attivismo, supportando in parte la tesi della “socializzazione”.
Quindi, non è un semplice “o bianco o nero”. L’impegno verso il paese d’origine può sia ostacolare che favorire la partecipazione nel nuovo paese, a seconda del tipo di partecipazione che consideriamo.
Perché Questa Differenza? Tentativi di Spiegazione
Come mai questa distinzione tra politica formale e impegno civico? Le ragioni possono essere diverse e aprono scenari affascinanti per capire meglio l’esperienza migrante.
Una prima idea è che la socializzazione politica non sia universale. Votare in un paese può avere significati e funzioni molto diverse dal votare in un altro. Magari in alcuni contesti il voto è visto più come un modo per accedere a risorse o mantenere legami clientelari, mentre negli USA è più legato all’espressione di un’opinione o a un dovere civico. Se le “regole del gioco” sono diverse, l’esperienza pregressa potrebbe non essere utile o addirittura controproducente.
Un’altra pista riguarda gli obiettivi dei migranti. Forse chi era attivo politicamente nel paese d’origine cerca di raggiungere obiettivi simili anche nel nuovo paese, ma si rende conto che gli strumenti più efficaci non sono necessariamente gli stessi. Magari l’impegno civico informale, il lavoro nelle associazioni, la partecipazione a riunioni di quartiere diventano le nuove vie per far sentire la propria voce, ottenere risultati concreti o costruire reti sociali, obiettivi che prima magari perseguivano attraverso il voto o la politica partitica nel COO. Si tratterebbe quindi di una scelta strategica: non si replica lo stesso comportamento, ma si adatta la strategia per raggiungere lo stesso fine.
C’è poi da considerare l’accessibilità. Per molti migranti, soprattutto se non cittadini, la politica formale (come il voto a livello statale o federale) è semplicemente preclusa. L’impegno civico, invece, offre canali di partecipazione più aperti e immediati, permettendo di integrarsi, costruire capitale sociale e avere un impatto sulla comunità locale.
Infine, non possiamo ignorare il concetto di “comunità”. Quando un sondaggio chiede di “partecipare nella propria comunità”, cosa intende un migrante? La comunità locale della città americana in cui vive, o la sua comunità etnica o nazionale all’interno degli USA? È probabile che, soprattutto per i nuovi arrivati o per chi vive in aree con una forte presenza di connazionali, l’impegno civico si concentri inizialmente all’interno della propria diaspora, magari per organizzare azioni a sostegno del paese d’origine o per affrontare sfide comuni nel nuovo contesto.
Cosa Ci Portiamo a Casa?
Questa ricerca ci lascia con più domande che risposte definitive, ma è proprio questo il bello della scienza sociale! Ci dice chiaramente che guardare all’integrazione dei migranti solo dal punto di vista del paese di residenza è riduttivo. I legami con il paese d’origine sono potenti, complessi e hanno effetti sfaccettati sulla vita qui.
Capire come l’impegno “là” influenzi quello “qua” è fondamentale. Non si tratta solo di contare quanti votano, ma di comprendere perché scelgono certe forme di partecipazione e ne tralasciano altre. Bisogna indagare gli obiettivi dei migranti, come le loro esperienze pregresse si traducono (o non si traducono) nel nuovo contesto, e come fattori come la discriminazione o le strategie di acculturazione influenzino queste scelte.
E, non da ultimo, ci ricorda quanto sia importante, anche nella ricerca, usare le parole giuste e definire bene i concetti. Parlare di “impegno civico” o “comunità” può voler dire cose diverse per persone diverse, specialmente in un contesto multiculturale.
Insomma, la vita del migrante è davvero un equilibrio complesso tra mondi diversi. Studiarla ci aiuta non solo a capire meglio le loro esperienze, ma anche a riflettere sulla natura stessa della partecipazione, della democrazia e dell’appartenenza nel nostro mondo sempre più interconnesso.
Fonte: Springer