Gruppo multietnico di persone sorridenti che collaborano durante un incontro informativo sulla salute a Bergen, Norvegia, simboleggiando gli ambasciatori di salute migranti. Fotografia di ritratto di gruppo, obiettivo prime 35mm, luce naturale brillante da una finestra, profondità di campo che mette a fuoco il gruppo ma lascia intravedere l'ambiente di una sala riunioni accogliente.

Migranti Ambasciatori di Salute: Eroi Silenziosi della Pandemia COVID-19 in Norvegia

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi dietro le quinte di un’esperienza incredibile avvenuta durante uno dei periodi più difficili della nostra storia recente: la pandemia di COVID-19. Sapete, quando il mondo si è fermato, alcune comunità, come quelle migranti, si sono trovate ad affrontare sfide ancora più grandi, inclusa una maggiore incidenza di infezioni. In Norvegia, come in molti altri paesi, ci si è resi conto che per combattere efficacemente il virus, bisognava raggiungere *tutti*, superando barriere linguistiche e culturali.

E qui entra in gioco un’idea brillante: coinvolgere direttamente i membri delle comunità migranti come “Ambasciatori di Salute” (Health Ambassadors – HAs). L’obiettivo? Creare un ponte tra le autorità sanitarie e le persone, diffondendo informazioni corrette e affidabili nella loro lingua madre, attraverso canali fidati. Uno di questi progetti, chiamato HA-project, si è svolto a Bergen tra il 2021 e il 2022, mettendo in contatto questi ambasciatori con esperti sanitari e il comune.

Ma cosa ha significato davvero per queste persone assumere un ruolo così cruciale in piena crisi? Come hanno vissuto questa responsabilità? È proprio quello che abbiamo cercato di capire con uno studio qualitativo, intervistando sette di questi straordinari ambasciatori nel gennaio 2023. E le loro storie sono davvero potenti.

Il Progetto HA: Un Ponte tra Culture e Informazione

Immaginate la scena: la pandemia imperversa, le notizie cambiano continuamente, la disinformazione dilaga sui social media. Le autorità sanitarie norvegesi si rendono conto che i messaggi standard non bastano per raggiungere efficacemente le diverse comunità migranti, che presentano tassi di infezione e mortalità più elevati.

Nasce così l’HA-project, finanziato dalla Direzione per l’Integrazione e la Diversità (IMDi). Una collaborazione tra il comune di Bergen, l’ONG Caritas (un punto di riferimento per i migranti) e il Centro Pandemico dell’Università di Bergen. L’idea centrale era semplice ma rivoluzionaria: trattare gli ambasciatori migranti, gli esperti medici e il comune come partner alla pari, ognuno con la propria expertise.

Caritas si è occupata del reclutamento e della logistica, coinvolgendo 75 ambasciatori provenienti da Polonia, Somalia, Eritrea, Iraq, Filippine, Palestina, Turchia, Etiopia e, dal 2022, Ucraina. Il Centro Pandemico gestiva gli incontri e gli aspetti accademici, mentre il comune coordinava i servizi e organizzava la vaccinazione per i migranti senza documenti.

Gli incontri, inizialmente digitali e poi anche fisici (con un piccolo compenso per gli HAs nella seconda fase), si svolgevano principalmente in norvegese, la lingua comune. Si iniziava con un’intervista a esperti medici o funzionari comunali, rispondendo a domande specifiche raccolte dalle comunità, usando un linguaggio semplice e incoraggiando un dialogo aperto. Poi, gli HAs si dividevano in gruppi linguistici per discutere le informazioni nella loro lingua madre, per poi riunirsi tutti per una discussione plenaria. Armati di queste conoscenze aggiornate, gli ambasciatori tornavano nelle loro comunità per diffondere le informazioni. Sembra un piano perfetto, vero? Ma come si sono sentiti loro, gli HAs, in questo ruolo?

Fotografia di un incontro multiculturale in una sala luminosa a Bergen. Persone di diverse etnie discutono attorno a un tavolo, alcune prendono appunti, altre parlano con esperti sanitari. Atmosfera collaborativa e seria. Obiettivo prime 35mm, luce naturale diffusa, profondità di campo media per mostrare sia i volti che l'ambiente.

Voci dal Campo: Il Valore di Essere una Risorsa

La prima cosa che emerge dalle interviste è un sentimento quasi unanime: partecipare al progetto è stata un’esperienza predominantemente positiva. Sentirsi utili, considerati una risorsa preziosa nel mezzo di una crisi globale, ha dato a molti un profondo senso di significato.

Pensateci: spesso, come migranti, ci si trova nella posizione di chi “chiede”, di chi non conosce il sistema. Invece, qui erano loro a *dare* informazioni, a *insegnare* qualcosa di vitale importanza. Una delle ambasciatrici turche lo ha espresso magnificamente: “Wow, ho uno scopo! (…) È bello poter insegnare qualcosa alle persone, perché normalmente come migrante fai sempre domande (…) quindi è stato positivo per me.

Questo senso di orgoglio e utilità è stato un motore potentissimo. Hanno apprezzato enormemente ricevere informazioni affidabili, corrette e pratiche direttamente dagli esperti. Questo li ha resi più sicuri nel rispondere alle domande delle loro comunità, nel contrastare la disinformazione e nel sentirsi certi di ciò che comunicavano. “Ho sentito che persone intelligenti hanno partecipato a questa lezione, quindi ero abbastanza sicura che queste informazioni fossero appropriate e buone“, ha detto un’ambasciatrice ucraina.

Non solo: l’aspetto sociale è stato fondamentale. Poter incontrare altri HAs, condividere esperienze, discutere sfide e trovare soluzioni insieme è stato incredibilmente rafforzante. Si sono creati legami, amicizie, una rete di supporto preziosa in un periodo di isolamento. Hanno imparato gli uni dagli altri come affrontare situazioni difficili, come smontare le “fake news” che circolavano. Questo dialogo tra pari e con gli esperti li ha resi più forti e sicuri.

Ombre e Sfide: Il Peso della Responsabilità

Ma non è stato tutto rose e fiori, ovviamente. Essere un Ambasciatore di Salute ha comportato anche un notevole stress psicologico. La responsabilità di comunicare informazioni sanitarie corrette, soprattutto su temi delicati come i vaccini, e di combattere attivamente la disinformazione e le teorie cospirative, è stata pesante.

Uno degli HAs palestinesi ha raccontato: “Non è stato così facile (…) abbiamo notato che la gente spesso non ci credeva, dato che leggevano cose diverse ogni giorno (…) Penso che la sfida più grande sia stata con i social media.” Immaginate la frustrazione e la difficoltà nel convincere persone bombardate da notizie false o contrastanti su Facebook o TikTok.

Tuttavia, riuscire a convincere qualcuno a farsi testare o vaccinare grazie alle informazioni fornite è stato vissuto come il successo più grande, una vera vittoria. “Dopo il nostro incontro (…) hanno detto (…) perché molti di loro sentivano dal loro paese d’origine che “, ha condiviso un’ambasciatrice irachena.

Un’altra sfida significativa è emersa soprattutto per gli HAs ucraini, arrivati nel 2022 in fuga dalla guerra. Per loro, ci sono state difficoltà legate alla lingua (si aspettavano incontri in inglese, invece erano principalmente in norvegese) e alla chiarezza del loro ruolo. Alcuni non avevano capito subito che il loro compito principale era diffondere attivamente le informazioni ricevute. Questo ha creato frustrazione e la sensazione di non aver potuto contribuire appieno. Addirittura, una HA ucraina si è trovata improvvisamente a dover fare da interprete, un ruolo stressante e non previsto.

Ritratto intenso di un uomo di origine mediorientale, un ambasciatore di salute, che guarda pensieroso fuori campo. Luce laterale drammatica che evidenzia la preoccupazione sul suo volto, simboleggiando il peso della responsabilità. Obiettivo 50mm, bianco e nero film noir style, profondità di campo ridotta.

Inoltre, alcuni HAs, specialmente quelli arrivati più tardi, hanno trovato problematici i questionari usati per valutare l’apprendimento e combattere la disinformazione interna. Le domande a volte sembravano troppo semplici, quasi “condiscendenti” per persone istruite, mentre per altri, che ancora lottavano con il norvegese medico, erano difficili da capire.

Infine, c’è il “costo” nascosto. Molti ambasciatori hanno dedicato molto più tempo ed energie di quanto richiesto, spinti da un forte senso di responsabilità morale e culturale. Hanno aiutato persone malate in modi pratici: portando la spesa, cucinando pasti, facendo telefonate a tarda notte. Hanno sostenuto costi economici personali, ma erano restii a parlarne, sottolineando piuttosto il dovere di aiutare. “È la nostra cultura aiutare gli altri e dare cibo (…) Non penso così alle finanze…“, ha detto un’ambasciatrice eritrea, aggiungendo: “Mi piace aiutare le persone (…) non voglio deludere la gente. Un po’ culturale, il mio background.

Strategie di Resilienza: Come Hanno Fatto Fronte

Di fronte a queste sfide, come hanno fatto gli HAs a resistere e andare avanti? Le loro strategie di coping sono state diverse e illuminanti.

  • Supporto tra Pari e dagli Esperti: La possibilità di discutere apertamente le difficoltà negli incontri, sia con gli altri HAs che con gli esperti, è stata cruciale. Condividere problemi e trovare soluzioni insieme ha avuto un effetto calmante e rafforzante.
  • Ricerca di Significato: Come abbiamo visto, trovare un senso profondo nel proprio ruolo, sentirsi utili e parte di qualcosa di importante, è stato un potente antidoto allo stress. Questo allinea con studi che mostrano come trovare significato aumenti la resilienza.
  • Focus sulla Gratitudine: Anche di fronte alle difficoltà, specialmente per gli HAs ucraini, è emersa una forte gratitudine per l’opportunità di partecipare, di ricevere informazioni di qualità, di socializzare e di poter fare domande agli esperti in un momento di grande bisogno. La gratitudine stessa può essere una strategia di coping.
  • Atteggiamento Risolutivo: Affrontare la disinformazione come un problema da risolvere, cercando attivamente strategie e confrontandosi, ha permesso di chiarire gli obiettivi e dare un senso ancora maggiore al lavoro svolto.

Due donne di diverse etnie sedute vicine su una panchina in un parco, una conforta l'altra che appare stanca o preoccupata. Scena che trasmette supporto reciproco e resilienza. Obiettivo zoom 85mm, luce pomeridiana morbida, sfondo leggermente sfocato, colori caldi duotone (ambra e verde acqua).

Cosa Impariamo? Riflessioni per il Futuro

L’esperienza degli Ambasciatori di Salute in Norvegia ci insegna tantissimo. Ci mostra il potenziale enorme del coinvolgere direttamente le comunità migranti nelle risposte sanitarie, riconoscendole come risorse preziose e non solo come “gruppi vulnerabili”.

Tuttavia, ci ricorda anche le responsabilità che ne derivano. Progetti simili futuri dovranno tenere attentamente conto delle esperienze di chi si mette in gioco:

  • Chiarezza dei Ruoli e Aspettative: È fondamentale che compiti, aspettative e supporto disponibile siano comunicati chiaramente fin dall’inizio.
  • Supporto Linguistico Adeguato: Non si può dare per scontata la competenza linguistica. Servono soluzioni flessibili, come materiali tradotti o interpretariato, specialmente per i nuovi arrivati.
  • Ambiente Sicuro e di Supporto: Creare spazi dove gli “ambasciatori” possano confrontarsi tra loro e con gli esperti in modo sicuro e costruttivo è essenziale per gestire lo stress e migliorare l’efficacia.
  • Minimizzare lo Stress Psicologico: Bisogna riconoscere il carico emotivo e psicologico di questo ruolo e fornire supporto adeguato.
  • Considerazioni Etiche: È giusto “esternalizzare” la risposta a una crisi a membri delle stesse comunità vulnerabili, spesso su base volontaria o con compensi minimi? Bisogna riflettere attentamente su come rendere queste iniziative sostenibili ed eque, senza sovraccaricare individui già pieni di risorse ma anche di responsabilità.

In conclusione, la storia degli Ambasciatori di Salute migranti in Norvegia è una storia di impegno, resilienza e impatto. Ci mostra come, anche nelle circostanze più difficili, la collaborazione, la fiducia e il riconoscimento del valore di ogni individuo possano fare la differenza. Un applauso a questi eroi silenziosi che hanno contribuito a proteggere le loro comunità durante la pandemia.

Fonte: Springer

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