Tecnologia in corsia? Sì, ma facciamola funzionare! Come migliorare l’assistenza post-dimissione per i nostri anziani
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, ne sono sicuro, tocca le vite di molti di noi: come possiamo usare al meglio la tecnologia per aiutare i nostri pazienti anziani una volta che lasciano l’ospedale. Sappiamo tutti quanto possa essere delicato quel momento di transizione, vero? Passare dalla sicurezza (si spera!) dell’ospedale al ritorno a casa può essere complicato, specialmente per chi ha bisogno di gestire farmaci e terapie complesse.
E qui entra in gioco la tecnologia! Pensate alle cartelle cliniche elettroniche, ai sistemi di supporto decisionale, alle app per la salute (mHealth, eHealth)… strumenti fantastici che hanno il potenziale per migliorare davvero la qualità e l’efficienza delle cure. Possono integrare i metodi tradizionali di educazione alla dimissione, facilitando la comunicazione tra noi professionisti sanitari e i pazienti su istruzioni cruciali. Sembra tutto bellissimo, no?
Il nodo della questione: l’adozione tecnologica
E invece, c’è un “ma”. Nonostante i benefici evidenti, noi operatori sanitari – infermieri, medici – spesso facciamo fatica ad adottare queste nuove tecnologie nella pratica quotidiana. Non basta darci in mano un tablet o un nuovo software per trasformare magicamente l’assistenza. Integrare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (le famose ICT) nei percorsi di cura richiede un cambiamento nelle nostre abitudini, nel nostro modo di lavorare. E cambiare, si sa, non è mai semplice.
Ci sono mille fattori in gioco: le nostre competenze individuali, quelle dei pazienti, le interazioni tra colleghi, la capacità dell’organizzazione di supportare il cambiamento, persino fattori sociali e politici. Il problema è che le strategie messe in campo finora per aiutarci in questa transizione spesso non sono sufficienti. A volte sono progettate un po’ a caso, non considerano tutti i livelli (individuale, organizzativo, di sistema) e, cosa fondamentale, raramente si basano su teorie solide del cambiamento comportamentale. Insomma, manca un approccio strutturato.
Una bussola per il cambiamento: il Behavior Change Wheel
Ed è qui che entra in gioco il lavoro affascinante descritto nell’articolo scientifico che ho letto di recente. Hanno affrontato proprio questo problema: come possiamo creare un pacchetto di interventi *efficace* per migliorare l’uso clinico delle ICT nell’assistenza post-dimissione degli anziani? E per farlo, hanno usato strumenti potenti e rigorosi.
Il protagonista è il Behavior Change Wheel (BCW). Immaginatelo come una sorta di “ruota” o, se volete, una cassetta degli attrezzi super organizzata per progettare interventi che funzionino davvero. Il BCW ci guida passo passo:
- Prima di tutto, ci aiuta a capire esattamente quale comportamento vogliamo cambiare (nel nostro caso, l’uso consistente di un sistema ICT da parte degli infermieri).
- Poi, ci aiuta a diagnosticare perché quel comportamento non avviene come dovrebbe, usando il modello COM-B. Questo modello guarda a tre elementi chiave:
- Capability (Capacità): Abbiamo le conoscenze e le abilità necessarie (psicologiche e fisiche)?
- Opportunity (Opportunità): L’ambiente fisico e sociale ci supporta nel fare quella cosa?
- Motivation (Motivazione): Siamo abbastanza motivati (in modo riflessivo o automatico) per farlo?
Per scavare ancora più a fondo, si può usare il Theoretical Domains Framework (TDF), che scompone questi tre elementi in 14 domini più specifici (come conoscenze, abilità, ruolo sociale, credenze sulle conseguenze, ecc.).
- Una volta capita la “diagnosi” comportamentale, il BCW ci propone una serie di funzioni di intervento (come educazione, formazione, persuasione, ristrutturazione ambientale…) più adatte a risolvere i problemi identificati.
- Infine, ci aiuta a scegliere le tecniche di cambiamento comportamentale (BCTs) specifiche, cioè gli “ingredienti attivi” dell’intervento, e le politiche di supporto.
Il caso pratico: il PDIS a Hong Kong
I ricercatori hanno applicato questo approccio a un contesto reale: il sistema PDIS (Post-discharge Information Summary) utilizzato negli ospedali pubblici di Hong Kong. Il PDIS è un sistema ICT integrato nella cartella elettronica che genera un riassunto personalizzato per il paziente alla dimissione, con promemoria sui farmaci, informazioni sugli effetti collaterali (tradotte, a caratteri grandi, validate da esperti) e appuntamenti futuri. L’obiettivo? Migliorare la comunicazione sui farmaci e responsabilizzare i pazienti.
Bello, no? Eppure, un’indagine ha rivelato che, anche negli ospedali pilota, l’uso non era ottimale: solo il 78% degli infermieri stampava regolarmente il modulo PDIS e appena il 57% ne spiegava il contenuto ai pazienti. C’erano quindi due comportamenti chiave da migliorare.
Per capire il perché, hanno condotto uno studio approfondito (interviste qualitative basate sul TDF e un sondaggio quantitativo su quasi 500 infermieri). Hanno identificato facilitatori e barriere specifiche legate a capacità (conoscenza, abilità, memoria, processi decisionali), motivazione (accordo sul ruolo, credenze sulle conseguenze e sulle proprie capacità, intenzioni, obiettivi) e opportunità (contesto ambientale e risorse).
Costruire il pacchetto di interventi: un lavoro sartoriale
Armati di questa diagnosi dettagliata, i ricercatori hanno usato il BCW per costruire un pacchetto di interventi su misura. Hanno valutato diverse funzioni di intervento usando i criteri APEASE (Affordability, Practicability, Effectiveness, Acceptability, Side effects/safety, Equity – cioè accessibilità economica, praticità, efficacia, accettabilità, sicurezza ed equità) per scegliere le più adatte.
Alla fine, hanno selezionato cinque funzioni di intervento:
- Educazione (per migliorare la comprensione del PDIS)
- Formazione (per migliorare le abilità operative e comunicative)
- Abilitazione (es. coinvolgere farmacisti, creare piattaforme di feedback)
- Persuasione (usando opinion leader per promuovere atteggiamenti positivi)
- Ristrutturazione ambientale (modificando il sistema PDIS stesso)
Hanno anche identificato quattro categorie di policy di supporto (comunicazione/marketing, fornitura di servizi, pianificazione ambientale/sociale, linee guida) e ben undici tecniche specifiche di cambiamento comportamentale (BCTs) per rendere operative le funzioni scelte.
Il risultato? Un pacchetto di interventi multifattoriale con quattro componenti principali:
1. Formazione Flessibile e Sostenibile
Perché? Gli infermieri segnalavano lacune nelle conoscenze (es. effetti collaterali) e difficoltà a integrare il PDIS nella routine.
Cosa? Formazione a più livelli (orientamento per i nuovi, sessioni informali di gruppo per tutti, sistema di aggiornamento continuo) con modalità ibride (materiali scritti, online, workshop) per adattarsi ai diversi stili di apprendimento e ai vincoli di tempo.
Come funziona? Aumenta l’autoefficacia (mi sento capace, quindi lo faccio), promuove l’abitudine (diventa routine, libera risorse cognitive) e coltiva una cultura organizzativa favorevole al cambiamento.
2. Campagna di Comunicazione e Marketing (con Opinion Leader)
Perché? Bisognava contrastare la tendenza a dare priorità ad altri materiali e rafforzare le credenze positive sul valore del PDIS, la fiducia nelle proprie capacità e l’intenzione di usarlo.
Cosa? Utilizzo di opinion leader (pazienti, colleghi rispettati, leader infermieristici) per promuovere i benefici del PDIS e rafforzare le norme sociali. Diffusione di report sui risultati positivi. Creazione di brochure e video informativi.
Come funziona? Sfrutta l’identità sociale e il confronto sociale (voglio fare come i miei pari rispettati), la teoria del comportamento pianificato (sono motivato a conformarmi alle aspettative di persone stimate) e le aspettative sui risultati (vedo che il PDIS è utile per me e per i pazienti).
3. Riprogettazione della Tecnologia e del Flusso di Lavoro
Perché? Il design attuale del PDIS presentava ostacoli (es. database farmaci incompleto, mancanza di lingue) e c’era poca comunicazione tra sviluppatori e utenti finali. Il tempo era un problema.
Cosa? Aggiornare il sistema PDIS (più farmaci, più lingue, renderlo default nel riassunto di dimissione per ridurre lo sforzo cognitivo). Creare una piattaforma di feedback bidirezionale. Stabilire un meccanismo di referral ai farmacisti per le spiegazioni complesse sugli effetti collaterali.
Come funziona? Si basa sulla teoria della diffusione dell’innovazione (un design migliore aumenta l’utilità percepita), sulla teoria del nudge (cambiare l’opzione di default facilita la scelta desiderata), sulla teoria della prontezza organizzativa al cambiamento (coinvolgere gli utenti finali aumenta l’accettazione) e sul supporto sociale (riduce lo stress).
4. Audit e Feedback Regolari a Livello Aziendale (Linee Guida)
Perché? C’era variabilità nell’implementazione dovuta a scarsa conoscenza delle responsabilità e della popolazione target. Servivano piani d’azione chiari.
Cosa? Sviluppare linee guida chiare che standardizzino il processo, definiscano i ruoli e includano piani di emergenza per le difficoltà. Implementare audit e feedback regolari a livello aziendale per monitorare l’aderenza.
Come funziona? Le linee guida regolano il comportamento e aumentano l’autoefficacia nel risolvere problemi. L’audit e feedback esercitano una pressione esterna (accountability) che motiva a raggiungere gli standard.
La Mappa del Tesoro: il Modello Logico (IRLM)
Per tenere insieme tutti questi pezzi e capire come dovrebbero funzionare, i ricercatori hanno usato anche l’Implementation Research Logic Model (IRLM). È come una mappa che visualizza chiaramente le connessioni: dai determinanti (barriere/facilitatori identificati) agli interventi scelti, ai meccanismi d’azione (le teorie che spiegano *perché* funzionano) fino agli esiti attesi (a livello di implementazione, di servizio e per il paziente). Questo rende l’intero processo trasparente, valutabile e comunicabile.
Cosa ci portiamo a casa? Riflessioni e Prossimi Passi
Questo studio è prezioso per diverse ragioni. Innanzitutto, ci offre un esempio concreto e rigoroso di come progettare interventi basati sulla teoria per migliorare l’implementazione delle tecnologie sanitarie, un’area dove, come dicevamo, le prove sono ancora scarse. Il pacchetto sviluppato è pratico, valutabile e potenzialmente scalabile.
L’uso combinato di BCW e IRLM si è dimostrato potente. Il BCW è ottimo per la diagnosi comportamentale e la scelta degli “ingredienti”, ma l’IRLM aggiunge la visione d’insieme, la teoria del cambiamento e facilita la pianificazione della valutazione.
Certo, ci sono anche delle sfide. Applicare il BCW richiede tempo e giudizio. Mappare i determinanti, le funzioni, le BCT può essere un processo iterativo. E, come notano gli autori, il BCW si concentra molto sull’individuo, quindi è importante integrarlo con framework che considerino anche i livelli organizzativi e di sistema più ampi. Inoltre, l’adattamento culturale (il BCW è nato in contesto occidentale) è cruciale, e qui i criteri APEASE aiutano molto.
Un altro punto fondamentale è il coinvolgimento degli stakeholder. Anche se in questo studio le loro voci sono state raccolte nella fase di diagnosi e le loro proposte integrate nella scelta delle BCT, un coinvolgimento ancora più profondo lungo tutto il processo è sempre auspicabile. Gli autori stessi prevedono una discussione con esperti (metodo Delphi) per affinare ulteriormente gli interventi.
E ora? La sfida sarà testare questo pacchetto. Data la sua complessità, non si può implementare tutto insieme ovunque. Saranno necessarie strategie intelligenti, come il Multiphase Optimization Strategy (MOST) o gli Adaptive Interventions, per capire quali componenti funzionano meglio, in che combinazione e per chi, magari personalizzando l’approccio ospedale per ospedale.
In conclusione
Diciamocelo, far sì che le nuove tecnologie vengano davvero usate al meglio nella pratica clinica quotidiana è una sfida complessa, ma cruciale, soprattutto quando parliamo dell’assistenza ai nostri anziani nel delicato momento post-dimissione. Questo studio ci mostra che un approccio sistematico, basato sulla teoria del cambiamento comportamentale e su una profonda comprensione del contesto e delle persone coinvolte, può fare la differenza.
Non si tratta solo di avere la tecnologia giusta, ma di creare le condizioni giuste – capacità, opportunità e motivazione – perché quella tecnologia diventi un vero alleato per noi professionisti e, soprattutto, per i nostri pazienti. E usare strumenti come il BCW e l’IRLM ci dà una marcia in più per progettare interventi che abbiano davvero una chance di funzionare. Un lavoro prezioso che spero ispiri molti altri ricercatori e professionisti sul campo!
Fonte: Springer