Microplastiche Nascoste: Il Segreto Sotto i Nostri Pescheti Portoghesi!
Ciao a tutti! Avete mai pensato, mentre addentate una pesca succosa, a cosa potrebbe nascondersi nel terreno dove è cresciuta? Beh, preparatevi a una sorpresa, perché oggi vi porto con me in un viaggio un po’ insolito, nei pescheti del Portogallo centro-orientale, per parlare di un nemico invisibile ma sempre più presente: le microplastiche.
Sì, avete capito bene. Quei minuscoli frammenti di plastica, più piccoli di 5 millimetri, che ormai troviamo ovunque, dagli oceani più profondi alle vette più alte, si stanno facendo strada anche nei nostri terreni agricoli. E la cosa, ve lo dico subito, non è per niente rassicurante.
Un Mondo di Plastica (e i Suoi Frammenti)
Partiamo da un dato che fa riflettere: nel 2022, la produzione mondiale di plastica ha toccato la cifra astronomica di 400 miliardi di chilogrammi. Un aumento del 73% in soli vent’anni! E il riciclo? Meno del 10%. Il resto, in gran parte, persiste nell’ambiente, frammentandosi lentamente in microplastiche (MP) e nanoplastiche (ancora più piccole!).
Queste particelle sono dei veri e propri globetrotter, capaci di viaggiare per chilometri e finire in luoghi impensabili. I terreni agricoli, purtroppo, non fanno eccezione. Le fonti? Diverse e spesso interconnesse:
- Materiali plastici usati in agricoltura (tubi per l’irrigazione, teli pacciamanti, reti protettive)
- Ammendanti del suolo come fanghi di depurazione, letame o compost
- Acqua di irrigazione
- Deposizione atmosferica (sì, piove plastica!)
Pensate che il polietilene e il polipropilene, comunissimi nell’attrezzatura agricola, sono tra i polimeri più frequentemente ritrovati nel suolo. E anche quando usiamo questi materiali “correttamente”, l’abrasione e la fotodegradazione (l’azione del sole) rilasciano particelle. Persino l’Unione Europea, con il suo Piano d’Azione per l’Inquinamento Zero, punta a ridurre l’inquinamento da MP del 30% entro il 2030, ma la strada è ancora lunga e la legislazione specifica per la contaminazione del suolo da MP è ancora carente.
Il Caso Studio: Pescheti Sotto la Lente in Portogallo
Ed è qui che entra in gioco lo studio che voglio raccontarvi, un’indagine esplorativa condotta in 19 pescheti nella regione della Beira Interior, nel Portogallo centro-orientale. Una zona caratterizzata da estati secche e inverni miti e umidi, un clima tipicamente mediterraneo. Perché proprio i pescheti? Perché sono una coltura importantissima per l’economia locale e, come molte altre colture, dipendono massicciamente da sistemi di irrigazione in plastica.
Ci siamo chiesti (o meglio, i ricercatori si sono chiesti): quante microplastiche ci sono nel suolo di questi frutteti? E da dove arrivano principalmente? Per scoprirlo, hanno analizzato ben 111 campioni, prelevando il terreno a tre diverse profondità (0-5 cm, 5-15 cm e 15-25 cm) e campionando anche l’acqua di irrigazione, la deposizione atmosferica e il letame usato come fertilizzante.
I risultati? Sorprendenti e un po’ preoccupanti. Le microplastiche erano presenti in tutti i frutteti e in tutti gli strati di suolo analizzati!
Cosa Hanno Rivelato i Campioni di Suolo?
Analizzando i dati, è emerso un quadro interessante. Lo strato più superficiale del terreno (0-5 cm) presentava un contenuto medio di MP di circa 2,2 particelle per grammo di suolo, con dimensioni medie delle particelle di 168 µm (micrometri, millesimi di millimetro). Ma la vera sorpresa è arrivata dagli strati più profondi:
- Nello strato 5-15 cm, la media saliva a 5,9 particelle/g.
- Nello strato 15-25 cm, si attestava a 5,2 particelle/g.
Non solo c’erano più particelle in profondità, ma erano anche tendenzialmente più piccole (in media 168 µm e 155 µm rispettivamente)! Questo suggerisce che le MP non restano in superficie, ma migrano verso il basso, forse trasportate dall’acqua di infiltrazione (potenziata dall’irrigazione) o persino dalla fauna del suolo, come i lombrichi. La maggior parte delle particelle rilevate, comunque, aveva dimensioni inferiori ai 300 µm.
È un po’ come se il terreno “inghiottisse” queste plastiche, portandole sempre più giù. E questo, capite bene, solleva interrogativi sulla possibile contaminazione delle falde acquifere.
A Caccia delle Fonti: Chi Inquina i Nostri Suoli?
Identificare da dove arrivano queste microplastiche è fondamentale per cercare di arginare il problema. Lo studio portoghese ha individuato tre principali “colpevoli”, che insieme apportano circa 102.000 particelle per metro quadro all’anno. Tenetevi forte:
- Acqua di Irrigazione (55,9% del totale): Ebbene sì, la principale fonte di contaminazione identificata è proprio l’acqua usata per irrigare i pescheti. I ricercatori hanno trovato una media di 0,4 particelle di MP per millilitro d’acqua. Considerando i volumi di irrigazione, l’impatto è enorme. Si è anche ipotizzato che i tubi stessi del sistema di irrigazione (spesso in polietilene ed esposti al sole) potessero rilasciare particelle, ma lo studio non ha potuto confermarlo statisticamente con certezza, anche se resta un’ipotesi plausibile.
- Deposizione Atmosferica (41,2%): Sembra incredibile, ma il vento trasporta microplastiche che poi si depositano sul terreno. Nello studio, si è registrata una media di circa 113,7 particelle per metro quadro al giorno provenienti dall’atmosfera. Le regioni aride e soggette a erosione eolica, come quella analizzata, sono particolarmente sensibili a questo tipo di trasporto.
- Letame (2,9%): Il letame, principalmente ovino in questo caso, contribuisce in misura minore, ma comunque presente, con una media di 10,3 particelle per grammo. Le pecore possono ingerire detriti plastici o le MP possono derivare dai materiali usati per balle di fieno e mangimi.
Interessante notare che le particelle di MP trovate nei campioni di suolo erano significativamente più grandi di quelle trovate nell’acqua e nella deposizione atmosferica. Questo potrebbe indicare processi di frammentazione che avvengono direttamente nel suolo o un diverso “profilo” delle particelle a seconda della fonte.
Perché Dovremmo Preoccuparci Seriamente?
La presenza di microplastiche nel suolo non è un problema da poco. Queste particelle possono:
- Alterare le proprietà fisiche e chimiche del suolo.
- Interagire negativamente con gli organismi del suolo, come i lombrichi, che sono essenziali per la sua salute.
- Assorbire e rilasciare contaminanti chimici (come gli additivi usati nella produzione della plastica stessa o pesticidi) e biologici (geni di resistenza agli antibiotici, microrganismi patogeni).
- Essere assorbite dalle colture, entrando così nella catena alimentare. E sì, questo significa che potremmo mangiarle.
Lo studio ha calcolato che, se i tassi di apporto rimanessero costanti, il contenuto medio di MP nello strato superficiale del suolo potrebbe raddoppiare in meno di due anni! Certo, ci sono fattori che possono ridurre questo numero, come il trasporto verticale verso strati più profondi, l’erosione eolica che le sposta altrove, o la frammentazione in particelle ancora più piccole (nanoplastiche), difficili da rilevare ma potenzialmente più insidiose perché più facilmente assimilabili dagli organismi.
Limiti dello Studio e Prospettive Future
Come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Ad esempio, l’estrazione delle MP si è basata su metodi che privilegiano particelle con densità inferiore a quella dell’acqua e l’identificazione visiva non permette di definire il tipo di polimero. Inoltre, non si è tenuto conto di eventuali rifiuti plastici più grandi (macroplastiche) presenti nei frutteti, che degradandosi potrebbero contribuire all’inquinamento. Non si è indagato a fondo sull’origine delle MP nell’acqua di irrigazione: vengono dai bacini di raccolta o dai tubi stessi?
C’è ancora tanto da capire. Servono più studi per comprendere meglio la dinamica delle MP nel suolo, identificare i principali tipi di polimeri presenti, valutare le variazioni temporali della contaminazione e estendere queste ricerche ad altre colture e regioni. L’obiettivo dell’UE di avere tutti i suoli in condizioni sane entro il 2050 è ambizioso, e la lotta alle microplastiche è una parte cruciale di questa sfida.
Questo studio portoghese, seppur esplorativo, è un campanello d’allarme importante. Ci ricorda che l’inquinamento da plastica è un problema pervasivo che richiede un approccio integrato, coinvolgendo agricoltori, produttori di plastica, politici e ognuno di noi. Perché la salute del suolo è la salute del nostro pianeta e, in definitiva, la nostra.
Alla prossima riflessione scientifica!
Fonte: Springer