Microplastiche: Autostrade Invisibili per Patogeni e Superbatteri nel Fiume Oder?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che, purtroppo, sta diventando una presenza costante nei nostri ecosistemi acquatici, e non solo: le microplastiche. Ma non vi racconterò la solita storia dell’inquinamento visibile, quello che ci fa inorridire quando vediamo le immagini di isole di plastica negli oceani. No, c’è di più, qualcosa di più subdolo e potenzialmente pericoloso che abbiamo scoperto studiando le acque e i sedimenti del fiume Oder, uno dei principali fiumi dell’Europa Centrale che bagna Repubblica Ceca, Germania e Polonia. Un fiume con un bacino idrografico vastissimo, che abbraccia aree industriali, agricole e urbane, garantendo una bella “zuppa” di comunità microbiche da analizzare.
Ma cosa sono esattamente queste microplastiche?
Pensate a quei minuscoli frammenti di plastica, più piccoli di 5 millimetri – per capirci, meno di una lenticchia. Alcuni sono prodotti già così piccoli (pensate agli scrub esfolianti che contengono microsfere, alle vernici, o ai residui del lavaggio di tessuti sintetici) e li chiamiamo microplastiche primarie. Altri, invece, sono il risultato della degradazione di oggetti più grandi come bottiglie, sacchetti, attrezzi da pesca abbandonati: le microplastiche secondarie. Queste particelle, una volta nell’ambiente, non se ne vanno facilmente; anzi, la loro decomposizione è lentissima, se non addirittura inesistente. E la cosa preoccupante è che possono accumularsi nelle catene alimentari.
Un nuovo “condominio” per microbi poco raccomandabili
La superficie di queste microplastiche non è affatto inerte. Anzi, diventa una sorta di “nuova nicchia ecologica”, un substrato perfetto per la colonizzazione da parte di microrganismi, inclusi batteri e altri microbi. Immaginatele come delle piccole zattere che offrono ospitalità. E qui sorge il problema: quali microbi decidono di “abitare” su queste zattere di plastica? E cosa comporta questo per l’ambiente e, potenzialmente, per la nostra salute?
Nel nostro studio, abbiamo voluto vederci chiaro. Abbiamo prelevato campioni di acqua e sedimento dal fiume Oder, vicino a Breslavia. Poi, in laboratorio, abbiamo creato delle piccole “piscine” controllate: abbiamo versato l’acqua in contenitori di vetro disinfettati, aggiunto il sedimento e, in alcuni di questi, abbiamo introdotto delle microplastiche (circa 1 mm di dimensione). Abbiamo poi monitorato l’evoluzione delle comunità microbiche presenti sia nell’acqua che nel sedimento, confrontando i campioni con microplastiche con quelli di controllo (senza microplastiche aggiunte) a distanza di 7 e 14 giorni.
L’inquietante scoperta: un’esplosione di patogeni
E qui arriva la parte che ci ha fatto drizzare le antenne. Dopo soli 7 giorni di incubazione con le microplastiche, abbiamo notato un aumento significativo dell’abbondanza di batteri potenzialmente patogeni sia nell’acqua che nel sedimento. Parliamo di nomi noti come Aeromonas salmonicida (un patogeno dei pesci), diverse specie di Vibrio (alcune delle quali possono causare problemi anche all’uomo), il famigerato Escherichia coli e persino la Salmonella.
È come se le microplastiche offrissero un ambiente protetto e favorevole alla crescita di questi specifici microrganismi, permettendo loro di prosperare più che nei campioni di controllo. Pensateci: queste particelle possono viaggiare per lunghe distanze nei fiumi e poi negli oceani, portando con sé questo carico batterico indesiderato.

Nel sedimento, ad esempio, dopo 7 giorni, la famiglia delle Enterobacteriaceae (a cui appartengono E. coli e Salmonella) è aumentata notevolmente, con Escherichia coli che costituiva l’86% e Salmonella enterica il 4% di questa famiglia. Anche il genere Aeromonas e Flavobacterium (che include patogeni dei pesci come Flavobacterium psychrophilum) hanno mostrato un incremento significativo.
Non solo batteri, ma anche geni di resistenza!
Ma non è finita qui. Oltre all’aumento dei batteri “cattivi”, abbiamo riscontrato anche un incremento dei geni di resistenza antimicrobica (AMR). In pratica, le microplastiche sembrano favorire la diffusione di quei geni che rendono i batteri resistenti agli antibiotici, i cosiddetti “superbatteri”. Questo è un problema enorme a livello globale, inserito nel quadro del concetto di “One Health”, che riconosce la stretta interconnessione tra salute umana, animale e ambientale.
Nei nostri campioni di controllo (senza microplastiche), abbiamo trovato solo uno o due geni di resistenza. Ma dopo 7 giorni di incubazione con le microplastiche, il numero di questi geni è salito a quattro nel sedimento e addirittura a cinque nell’acqua! Abbiamo rilevato geni che conferiscono resistenza a farmaci importanti come le tetracicline, i macrolidi (come l’eritromicina), i fluorochinoloni e i beta-lattamici (come l’amoxicillina e l’ampicillina).
Le microplastiche, con la loro superficie idrofobica, possono anche adsorbire antibiotici presenti nell’ambiente, creando un microambiente in cui i batteri sono esposti a basse dosi di farmaci, il che può favorire la selezione e la diffusione della resistenza. Inoltre, la vicinanza dei batteri sui biofilm che si formano sulle microplastiche potrebbe facilitare il trasferimento orizzontale di geni (HGT), cioè lo scambio di materiale genetico – inclusi i geni di resistenza – tra batteri diversi.
E dopo 14 giorni? La situazione si evolve
Curiosamente, dopo 14 giorni di incubazione, la situazione dei geni AMR è leggermente cambiata: il loro numero è diminuito rispetto al settimo giorno, pur rimanendo più alto rispetto ai controlli iniziali in alcuni casi. Questo potrebbe indicare una sorta di successione ecologica sul biofilm della microplastica: i primi colonizzatori, magari più opportunisti e ricchi di geni AMR, potrebbero essere poi soppiantati da altre specie più stabili nel tempo, o forse le condizioni ambientali nel nostro sistema sperimentale (come l’esaurimento di nutrienti) hanno giocato un ruolo. È una dinamica complessa che merita ulteriori approfondimenti.
Anche per quanto riguarda i patogeni, abbiamo osservato delle dinamiche. Ad esempio, nel sedimento, dopo 14 giorni, il livello della famiglia Enterobacteriaceae è diminuito rispetto al settimo giorno, ma E. coli è rimasto dominante. Altri patogeni come Pseudomonas, Mycobacterium e Vibrio sono rimasti a livelli simili tra il settimo e il quattordicesimo giorno. Nell’acqua, invece, dopo 14 giorni abbiamo visto un aumento significativo di E. coli, Pseudomonas, Flavobacterium e Mycobacterium, mentre Aeromonas salmonicida è diminuito. Queste fluttuazioni suggeriscono una competizione microbica e un adattamento continuo all’ambiente offerto dalle microplastiche.

Un occhio anche alle alghe tossiche: il caso di Prymnesium parvum
Un altro aspetto che abbiamo indagato, seppur in modo preliminare, è stata la presenza di Prymnesium parvum, un’alga microscopica nota per le sue fioriture tossiche che hanno colpito duramente il fiume Oder negli anni recenti. Abbiamo trovato tracce del suo materiale genetico in tutti i campioni d’acqua, ma interessante notare che la quantità di geni associati a questa specie sembrava essere maggiore nei campioni d’acqua incubati con microplastiche rispetto ai controlli. Questo suggerisce, con tutte le cautele del caso data la natura preliminare di questa osservazione, che le microplastiche potrebbero in qualche modo favorire la crescita di questa alga, o almeno la persistenza del suo DNA. È un’ipotesi che si allinea con altri studi che hanno mostrato come le microplastiche possano influenzare il fitoplancton.
Perché tutto questo ci deve preoccupare?
Questi risultati, seppur preliminari e basati su uno studio con un ambito temporale e spaziale limitato, si aggiungono a un corpo crescente di evidenze che suggeriscono come le microplastiche non siano solo un “rifiuto inerte”. Sembrano essere dei veri e propri “taxi” o “hub” per microbi, inclusi quelli che possono causare malattie a pesci e potenzialmente all’uomo, e per i geni che li rendono resistenti ai nostri farmaci più preziosi.
Pensate all’impatto su ecosistemi fluviali complessi come quello dell’Oder, già sotto pressione per l’inquinamento da attività industriali, agricole e urbane. L’aggiunta di queste “isole” di plastica che concentrano e trasportano patogeni e geni AMR potrebbe rappresentare un ulteriore fattore di stress e un rischio per la biodiversità e la salute pubblica.
Certo, il nostro studio è un primo passo e necessita di conferme su scala più ampia, con campionamenti più estesi nel tempo e nello spazio. Bisogna considerare anche altri fattori che potrebbero influenzare questi risultati. Tuttavia, la coerenza con quanto osservato in altri sistemi acquatici e terrestri ci fa pensare che siamo di fronte a un fenomeno reale e preoccupante.
La lotta all’inquinamento da plastica diventa quindi ancora più cruciale, non solo per proteggere gli animali dall’ingestione o dall’intrappolamento, ma anche per limitare la diffusione di queste minacce invisibili che viaggiano a bordo dei frammenti di plastica.
Fonte: Springer
