Paesaggio grandangolare, 15 mm, lago sereno che riflette il cielo, acqua in primo piano che mostra sottilmente piccole particelle di plastica, acqua liscia a lungo, focus acuto

Microplastiche nelle Acque Dolci: Un’Invasione Silenziosa (e Cosa Possiamo Fare)

Ragazzi, fermi tutti! C’è una cosa che bolle in pentola, anzi, nelle nostre acque dolci, ed è ora che ne parliamo seriamente. Mi sono imbattuto in uno studio pazzesco sulla contaminazione da microplastiche (MP) nelle acque interne globali, e i risultati, ve lo dico subito, sono abbastanza preoccupanti. Parliamo di fiumi, laghi, bacini… l’acqua che usiamo ogni giorno, quella vitale per noi e per l’ecosistema.

Ma cosa sono queste microplastiche? E perché dovrebbero interessarci?

Immaginate pezzettini minuscoli di plastica, più piccoli di 5 millimetri. Ecco, quelle sono le microplastiche. Arrivano da mille fonti: si staccano dai nostri vestiti sintetici quando li laviamo, dai cosmetici, dall’usura degli pneumatici, dalla frammentazione di rifiuti plastici più grandi abbandonati ovunque. E finiscono dritte dritte nei nostri corsi d’acqua tramite il ruscellamento, gli scarichi fognari, persino depositandosi dall’atmosfera.

Perché dovremmo preoccuparci? Beh, queste particelle sono leggere, insolubili e durano un’eternità. Vengono facilmente ingerite dagli animali acquatici, che possono soffocare o morire di fame sentendosi falsamente sazi. E non finisce qui: le MP più piccole si accumulano lungo la catena alimentare (bioaccumulo), causando problemi riproduttivi, di crescita, comportamentali. Come se non bastasse, attirano e assorbono altri inquinanti come metalli pesanti e sostanze chimiche tossiche. E non dimentichiamo gli additivi (coloranti, stabilizzanti) presenti nella plastica stessa, che possono essere rilasciati e rivelarsi tossici o cancerogeni. Insomma, un bel pasticcio per la salute degli ecosistemi d’acqua dolce e, potenzialmente, anche per la nostra.

Uno sguardo globale: quanto è grave la situazione?

Lo studio che ho analizzato ha messo insieme i dati di ben 5365 osservazioni da 301 pubblicazioni scientifiche. Un lavoro immenso! E cosa ne è uscito? Che la quantità di microplastiche nelle acque interne varia in modo incredibile: da zero a cifre astronomiche come 4.275.800,70 particelle per metro cubo! La media globale si attesta intorno a 25.255 particelle per metro cubo, che è comunque tantissimo. Pensate che, in media, sembra essere addirittura superiore a quella trovata negli oceani! Questo perché i fiumi agiscono come nastri trasportatori che portano la plastica dalla terraferma al mare, ma durante il viaggio ne trattengono molta. Anche i laghi, essendo sistemi più chiusi, diventano importanti “serbatoi” di MP.

Lente macro, 85 mm, primo piano della superficie dell'acqua fluviale chiara con piccole fibre di plastica colorate a malapena visibili e frammenti galleggianti, dettagli elevati, focalizzazione precisa, illuminazione naturale controllata

I fattori chiave e le zone più colpite

Ma cosa influenza questa distribuzione così varia? I ricercatori, usando anche tecniche di apprendimento automatico (machine learning), hanno identificato alcuni fattori principali:

  • L’Indice di Sviluppo Umano (ISU): Paesi più sviluppati tendono (ma non sempre!) ad avere più MP, probabilmente legato a maggiori consumi di plastica, anche se una buona gestione dei rifiuti può fare la differenza.
  • Fattori climatici come l’evapotraspirazione (reale e potenziale): più evaporazione può concentrare le MP.
  • L’estensione delle aree coltivate (cropland): l’agricoltura, con l’uso di teli pacciamanti e altri materiali plastici, è una fonte significativa.
  • Il deflusso superficiale (land surface runoff): la pioggia che trascina le MP dai terreni verso i corsi d’acqua.

La mappa predittiva globale mostra concentrazioni particolarmente alte in Cina, ma livelli preoccupanti si trovano anche in altre parti dell’Asia, Europa, Africa e negli Stati Uniti orientali. In generale, l’emisfero Nord, soprattutto tra 10°N e 50°N (dove si concentra gran parte della popolazione e dell’attività umana), sembra messo peggio.

Che tipo di microplastiche troviamo?

Lo studio ha anche analizzato le caratteristiche di queste particelle. Ecco cosa domina:

  • Colori: Trasparente (quasi il 30%), nero e blu sono i più comuni.
  • Forme: Fibre (oltre 38%, spesso da tessuti), frammenti e pellicole.
  • Dimensioni: Qui la nota dolente. Ben il 64% delle MP trovate sono piccole, sotto 1 millimetro. E sono le più insidiose perché entrano più facilmente negli organismi e nei tessuti.
  • Polimeri: Poliestere (PE), polipropilene (PP) e polietilentereftalato (PET) sono i re della classifica, usatissimi in imballaggi, tubature, teli agricoli, attrezzi da pesca, ecc.

Lente grandangolare, 20 mm, acqua fangosa che scorre da un tubo di drenaggio in un flusso, suggerendo un deflusso agricolo che trasportava inquinanti come microplastici, focus acuto, illuminazione nuvolosa

La sorpresa stagionale: più MP nella stagione secca?

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare (più pioggia = più trasporto di MP?), lo studio ha rilevato una concentrazione di microplastiche significativamente più alta nella stagione secca rispetto a quella umida. Come mai? Ci sono diverse spiegazioni possibili. All’inizio della stagione umida, le prime piogge possono effettivamente “lavare” via le MP accumulate, ma poi, con piogge abbondanti e prolungate, l’aumento del volume d’acqua nei fiumi può avere un effetto di diluizione. Nella stagione secca, invece, il minor volume d’acqua e la minore velocità della corrente potrebbero portare a una maggiore concentrazione delle MP in superficie, specialmente quelle più piccole e leggere. Inoltre, le fonti “puntuali” di inquinamento (come scarichi industriali o urbani) potrebbero avere un impatto proporzionalmente maggiore quando il flusso del fiume è ridotto.

Come le misuriamo? L’importanza del metodo

Un aspetto interessante emerso è quanto i metodi di campionamento influenzino i risultati. Campionare con pompe o prelievi diretti (“grab sample”) sembra catturare più MP rispetto all’uso di retini, soprattutto perché questi ultimi hanno maglie più larghe che si perdono le particelle più piccole. Anche il volume d’acqua campionato e la dimensione dei filtri usati fanno una grande differenza. Questo evidenzia la necessità urgente di standardizzare i metodi di campionamento per poter confrontare i dati a livello globale in modo affidabile. Lo studio suggerisce che il campionamento “grab” con grandi volumi (almeno 500 litri) e filtri con maglie tra 60 e 90 micrometri potrebbe essere un buon compromesso.

Visualizzazione dei dati astratti, mappa del mondo stilizzata sovrapposta su una consistenza dell'acqua che scorre, hotspot luminosi che indicano un'alta concentrazione microplastica in Asia, Europa, E. USA, Focus acuto

Cosa possiamo fare? Azioni urgenti

Ok, il quadro è complesso e un po’ allarmante. Ma non è il momento di disperarsi, bensì di agire. Lo studio sottolinea l’urgenza di:

  • Monitorare attentamente la presenza di MP nelle acque interne, specialmente quelle di piccole dimensioni.
  • Gestire il problema in modo efficace. Questo significa migliorare drasticamente la gestione dei rifiuti plastici: ridurre gli scarichi abusivi, aumentare il riciclo, migliorare gli impianti di trattamento, gestire meglio le discariche.
  • Promuovere un’economia circolare per la plastica, dove viene riutilizzata, riciclata e riprogettata per minimizzare i rifiuti.
  • Aumentare la consapevolezza pubblica sul problema.
  • Intervenire sulle fonti agricole, ad esempio sostituendo i teli pacciamanti in plastica con alternative organiche (paglia, compost) o inorganiche (pietre).
  • Esplorare e implementare tecnologie di rimozione delle MP dall’acqua (ci sono studi promettenti con nanoparticelle magnetiche o minerali argillosi).

Serve uno sforzo collettivo, soprattutto nei paesi identificati come “hotspot” di inquinamento. Dobbiamo proteggere le nostre preziose risorse d’acqua dolce. Questo studio ci dà una mappa, ci indica dove guardare e cosa fare. Non ignoriamolo. È in gioco la salute dei nostri fiumi, dei nostri laghi e, in definitiva, anche la nostra.

Fonte: Springer

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