Microbioma e Viroma: Il Mondo Nascosto negli Uccelli Migratori della Cina Sud-Occidentale
Avete mai pensato a cosa si nasconde nel profondo degli organismi che ci circondano, specialmente quelli capaci di viaggi incredibili come gli uccelli migratori? Io sì, e lasciate che vi racconti un’avventura scientifica affascinante che ci ha portato a esplorare l’universo invisibile che questi viaggiatori alati portano con sé. Parliamo del microbioma (l’insieme dei batteri) e del viroma (l’insieme dei virus) degli uccelli migratori nel sud-ovest della Cina.
Perché studiare questi viaggiatori piumati?
Gli uccelli migratori sono creature magnifiche, ma possono anche essere “taxi” inconsapevoli per batteri e virus, alcuni dei quali potenzialmente pericolosi per l’ambiente, per altri animali e persino per noi umani. Immaginate: questi uccelli percorrono migliaia di chilometri, attraversando ecosistemi diversissimi e entrando in contatto con innumerevoli altre popolazioni. Questo li rende potenziali vettori di patogeni su larga scala. Pensate all’influenza aviaria o ad altre malattie che hanno fatto notizia: spesso, gli uccelli selvatici sono serbatoi naturali. Monitorarli è un po’ come avere delle sentinelle avanzate per prevenire future epidemie.
Non si tratta solo di virus. Anche batteri come Escherichia coli, Salmonella o Listeria possono trovare passaggio su questi volatili. Ancor più preoccupante è che, frequentando aree inquinate o vicine ad allevamenti intensivi, possono raccogliere batteri resistenti agli antibiotici e spargerli lungo le loro rotte migratorie. Capire chi vive “dentro” questi uccelli ci aiuta a tracciare l’origine di eventuali focolai e a valutare i rischi.
La nostra “missione” nel Sud-Ovest della Cina
Il protagonista della nostra ricerca è stato principalmente il gabbiano comune (Larus ridibundus), una specie molto diffusa che ogni anno sverna nel sud-ovest della Cina, arrivando dalla Siberia. Questi gabbiani sono socievoli, si avvicinano volentieri alle attività umane per cercare cibo e frequentano zone agricole. Per questo, capire cosa trasportano è fondamentale.
Per quattro anni consecutivi, dal 2020 al 2023, il mio team ed io abbiamo raccolto campioni – ben 896! Si trattava principalmente di campioni fecali freschi di gabbiano comune (624), ma anche di altre specie di uccelli (124) e campioni ambientali (148) come acqua, suolo e cibo trovato nelle aree di sosta. Un lavoro meticoloso, svolto in quattro diverse località della provincia del Sichuan. Abbiamo persino cercato di capire la dieta degli uccelli dal colore delle loro feci!
Abbiamo usato tecniche avanzate, come la metatranscrittomica, che non solo ci dice *chi* c’è (quali batteri e virus), ma anche *cosa sta facendo*, analizzando l’RNA, cioè le molecole che indicano l’attività dei geni.
La scoperta di un batterio “dominatore”
E qui arriva la prima grande sorpresa. Analizzando i campioni dei gabbiani comuni, abbiamo scoperto che un batterio in particolare spadroneggiava: il Catellicoccus marimammalium. Immaginate, in media costituiva quasi l’80% dell’intera comunità batterica intestinale di questi uccelli! Una percentuale altissima, molto superiore a quella trovata in altre specie di uccelli o nell’ambiente circostante. Questo suggerisce che il gabbiano comune ha un rapporto davvero speciale con questo microbo.
Abbiamo voluto saperne di più su questo batterio. Lo abbiamo isolato in laboratorio (è un batterio Gram-positivo, per i più tecnici) e ne abbiamo sequenziato l’intero genoma. Abbiamo anche analizzato le sue varianti (“ceppi”) nel corso dei quattro anni. È emerso che, sebbene ci fosse una popolazione dominante di C. marimammalium, esisteva una certa diversità che fluttuava nel tempo. Abbiamo notato che la composizione dei ceppi poteva cambiare leggermente tra l’arrivo dei gabbiani e la loro partenza dalla zona di svernamento, suggerendo un adattamento all’ambiente locale o dinamiche interne alla popolazione batterica.
Analizzando i geni attivi di C. marimammalium, abbiamo visto che era coinvolto in funzioni essenziali come il metabolismo degli zuccheri (glicolisi) e la replicazione del DNA. Curiosamente, abbiamo anche identificato geni legati alla virulenza, come quelli per la produzione di adesine (che aiutano i batteri ad attaccarsi alle superfici) e acido lipoteicoico. Questo non significa necessariamente che sia pericoloso per l’uccello, ma indica un potenziale che merita attenzione.
Un universo di virus e un nuovo arrivato
Ma l’intestino non è solo batteri. Abbiamo esplorato anche il viroma a RNA. E che scoperta! Abbiamo identificato ben 56 famiglie diverse di virus. C’erano virus che infettano vertebrati (come gli uccelli stessi), invertebrati, piante… una biodiversità incredibile. Le famiglie più comuni tra i virus dei vertebrati erano Picornaviridae, Sedoreoviridae e Caliciviridae. È importante sottolineare che non abbiamo trovato tracce di virus dell’influenza o parenti stretti del SARS-CoV-2.
All’interno della famiglia Picornaviridae, molti appartenevano al genere Hepatovirus, lo stesso genere del virus dell’epatite A umana. Analizzando più a fondo, abbiamo ricostruito i genomi di diversi di questi virus e scoperto che si trattava di un nuovo tipo di epatovirus, simile a quelli già trovati in altri uccelli ma distinto da quelli umani. Questo rafforza l’idea che gli uccelli migratori siano serbatoi di virus, alcuni dei quali potrebbero, in teoria, rappresentare un rischio zoonotico (cioè passare dagli animali all’uomo), anche se per questo specifico virus servono molte più ricerche per capirne la reale pericolosità.
Una danza inaspettata: il batterio che frena il virus
Qui arriva la parte forse più intrigante. Abbiamo notato una correlazione interessante: nei campioni dove il batterio C. marimammalium era molto abbondante, l’epatovirus-like che avevamo scoperto era invece scarso, e viceversa. Una correlazione inversa forte. Poteva essere che il batterio dominante stesse in qualche modo ostacolando il virus?
Abbiamo deciso di testare questa ipotesi in laboratorio. Abbiamo preso un ceppo di epatovirus A umano (usato come modello) e lo abbiamo messo a contatto con cellule umane (Huh7.5.1) in coltura. Poi, abbiamo aggiunto diverse preparazioni del nostro batterio C. marimammalium:
- Il “lisato” cellulare: cioè il contenuto delle cellule batteriche rotte.
- I “prodotti di secrezione”: cioè le sostanze rilasciate dal batterio nel suo ambiente.
- Lisati di altri batteri isolati dai gabbiani, come controllo.
I risultati sono stati netti! Il lisato di C. marimammalium ha inibito potentemente la replicazione del virus dell’epatite A (riducendola di oltre 1000 volte!), mentre i prodotti di secrezione e i lisati degli altri batteri non hanno avuto effetti significativi. Esperimenti successivi hanno suggerito che questa inibizione avviene probabilmente *dopo* che il virus è entrato nella cellula ospite, interferendo con la sua moltiplicazione, e non bloccando l’ingresso. Inoltre, abbiamo verificato che il lisato batterico, alle concentrazioni efficaci contro il virus, non era tossico per le cellule umane.
Cosa ci insegna questa storia?
Questa ricerca ci apre una finestra su un mondo complesso e dinamico.
- Abbiamo visto come un singolo batterio possa dominare l’intestino di un uccello migratore, mostrando una notevole stabilità nonostante i lunghi viaggi e i cambi di ambiente.
- Abbiamo scoperto un nuovo virus simile all’epatovirus, sottolineando l’importanza di monitorare la fauna selvatica come potenziale serbatoio virale.
- Ma soprattutto, abbiamo trovato una prova diretta, seppur *in vitro*, che un batterio commensale (cioè che vive normalmente nell’ospite senza danneggiarlo) può attivamente inibire la replicazione di un virus potenzialmente patogeno.
Questo potrebbe essere uno dei meccanismi che permette agli uccelli di essere portatori asintomatici di certi virus: il loro stesso microbioma li aiuta a tenerli sotto controllo! È un’ipotesi affascinante che apre nuove strade. Potremmo un giorno usare batteri “buoni” o i loro prodotti per combattere infezioni virali? È presto per dirlo, ma la ricerca in questa direzione è promettente.
Il nostro viaggio nell’infinitamente piccolo degli uccelli migratori ci ha mostrato quanto ancora dobbiamo imparare sulle intricate relazioni tra ospiti, batteri e virus. Ogni scoperta è un passo avanti per capire meglio la salute degli ecosistemi e, in ultima analisi, anche la nostra.
Fonte: Springer