Un primo piano di uno sgombro Scomber colias appena pescato, adagiato su una superficie riflettente che ne esalta i colori iridescenti. Obiettivo macro 60mm, alta definizione, illuminazione controllata da studio per evidenziare la freschezza e i dettagli della pelle argentea con striature scure, goccioline d'acqua sulla superficie del pesce.

Dimmi che microbi hai e ti dirò da dove vieni: lo sgombro e il suo passaporto batterico!

Ehilà, appassionati di scienza e curiosi del mare! Oggi voglio parlarvi di una cosa che mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta, un po’ come quando si scopre che anche i pesci, a modo loro, hanno una specie di “carta d’identità” super tecnologica. No, non sto parlando di microchip impiantati o di etichette parlanti, ma di qualcosa di molto più piccolo, invisibile a occhio nudo, ma incredibilmente potente: i batteri che popolano il loro intestino!

Avete presente lo Scomber colias, meglio conosciuto come lanzardo o sgombro cavallo? È un pesce pelagico, il che significa che nuota parecchio e non sta fisso in un posto. Proprio per questa sua natura girovaga, capire da dove proviene esattamente un esemplare pescato può essere un bel rompicapo. E perché ci interessa tanto, direte voi? Beh, la risposta è semplice: tracciabilità.

Un passaporto batterico per lo sgombro

Immaginate di essere al mercato del pesce. Volete acquistare un prodotto locale, sostenibile, magari pescato in una zona specifica nota per la sua qualità. Ma come fate ad essere sicuri che quello che vi viene offerto sia davvero ciò che dice di essere? Le frodi alimentari, purtroppo, sono sempre dietro l’angolo, soprattutto con prodotti ittici di un certo valore commerciale come il nostro amico sgombro. Ecco che entra in gioco la scienza, con un approccio che sembra uscito da un film di fantascienza: la metagenomica del tratto intestinale.

In pratica, un gruppo di scienziati ha pensato: “E se i batteri presenti nell’intestino del pesce potessero raccontarci la sua storia, dirci dove ha nuotato e mangiato prima di finire nella rete?”. Geniale, no? L’idea di base è che l’ambiente in cui un pesce vive e si nutre influenza la composizione della sua flora batterica intestinale, il cosiddetto microbioma. Ogni zona di mare, con le sue caratteristiche uniche (temperatura, salinità, tipo di plancton, eventuali pressioni antropiche), potrebbe ospitare comunità microbiche diverse, che a loro volta “colonizzano” l’intestino dei pesci che ci vivono.

Perché tracciare l’origine del pesce?

La necessità di strumenti di tracciabilità robusti è fondamentale, non solo per noi consumatori che vogliamo mangiare prodotti di qualità e sicuri, ma anche per le agenzie di regolamentazione. Sapere da dove viene un pesce aiuta a:

  • Verificare l’origine geografica e combattere le frodi commerciali.
  • Prevenire la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU), che è una vera piaga per i nostri oceani.
  • Garantire standard di qualità elevati.

Mentre per le specie stanziali (quelle che non si muovono molto, come alcuni molluschi) la tracciabilità è già a buon punto, per i pesci pelagici come lo sgombro la sfida è sempre stata più ardua. Questi campioni di nuoto acquisiscono “firme ambientali” da molteplici habitat durante il loro ciclo vitale. Ma il microbioma potrebbe essere la chiave di volta!

La metagenomica: un’indagine da CSI nel mondo microbico

I ricercatori hanno analizzato campioni di Scomber colias provenienti da cinque diverse aree di pesca lungo la costa atlantica portoghese. Hanno prelevato un pezzettino dell’intestino di ogni pesce e, grazie a tecniche di sequenziamento del DNA di quarta generazione (roba da far invidia a CSI!), hanno identificato tutte le specie batteriche presenti. Pensate, è come leggere un libro dettagliatissimo sulla vita di ogni singolo sgombro!

Hanno poi utilizzato degli algoritmi di intelligenza artificiale, in particolare un modello chiamato “Random Forest” (foresta casuale, che nome evocativo!), per vedere se, basandosi sulla composizione del microbioma intestinale, si potesse risalire all’area di pesca di provenienza. Ebbene sì, i risultati sono stati strabilianti!

Un banco di sgombri Scomber colias nuota compatto in acque oceaniche blu cobalto, la luce solare crea giochi di riflessi sulla loro pelle argentea. Fotografia naturalistica, teleobiettivo 300mm, alta velocità dell'otturatore per congelare il movimento, tracciamento del movimento, effetto bokeh sullo sfondo.

L’analisi ha rivelato differenze significative nell’abbondanza delle cosiddette Unità Tassonomiche Operative (OTU), che sono un modo per classificare i microrganismi in base alla somiglianza della loro sequenza genetica. In parole povere, pesci provenienti da zone diverse avevano “inquilini” batterici diversi nel loro intestino.

Cosa abbiamo scoperto? I batteri non mentono!

Il modello basato sul Random Forest ha raggiunto un tasso di accuratezza dell’85% nell’attribuire la provenienza del campione basandosi sull’abbondanza relativa delle OTU del microbioma intestinale. Un risultato notevole, considerando che stiamo parlando di tracciare pesci che si muovono liberamente nell’oceano! Ma non è finita qui. Affinando ulteriormente l’analisi, gli scienziati sono riusciti a identificare da 3 a 5 OTU batteriche specifiche per ogni area di pesca, dei veri e propri biomarcatori di localizzazione. È come se ogni zona avesse una sua “firma batterica” unica che si trasferisce ai pesci.

Ad esempio, i microbiomi intestinali dei pesci catturati nella zona Nord erano particolarmente ricchi di batteri del genere Psychrobacter, mentre quelli della zona Centro-Nord abbondavano di Vibrio, e tutti i biomarcatori candidati per la zona Centro-Sud appartenevano al genere Photobacterium. Queste specificità sono affascinanti perché questi generi batterici sono noti per rispondere a fattori ambientali distinti, il che rafforza l’idea che l’habitat plasmi il microbioma.

Biomarcatori specifici: la firma microbica di ogni zona

L’identificazione di un piccolo set di OTU biomarcatori è un passo avanti enorme. Perché? Perché invece di dover analizzare l’intero, complesso microbioma ogni volta (un processo che richiede competenze specialistiche in ecologia microbica e bioinformatica), si potrebbero sviluppare test mirati e più economici, come la PCR quantitativa (qPCR), per cercare specificamente quei pochi batteri “spia”. Questo renderebbe la tracciabilità molto più accessibile e veloce.

Pensate alle implicazioni: un ispettore potrebbe prelevare un campione, eseguire un test rapido e avere una forte indicazione sull’origine geografica del pesce. Sarebbe un deterrente potentissimo contro le frodi!

Non solo tracciabilità: un occhio alla sicurezza alimentare

C’è un altro aspetto interessante emerso da questo studio. Analizzando il DNA batterico, i ricercatori hanno anche trovato sequenze genetiche collegate a batteri potenzialmente patogeni per l’uomo, soprattutto negli esemplari provenienti dalle aree Centro-Nord e Centro-Sud. Attenzione, questo non significa che quei pesci fossero portatori di malattie attive o che il loro consumo fosse rischioso! Lo sgombro, come altri piccoli pelagici, viene tipicamente consumato cotto e senza il tratto intestinale, quindi il rischio di trasmissione è minimo o nullo. Tuttavia, questa scoperta è importante per diversi motivi:

  • Sottolinea come il microbioma intestinale dei pesci possa fungere da “bioindicatore” della qualità microbiologica delle acque costiere.
  • Può aiutare a indirizzare gli sforzi di sorveglianza e controllo sulla sicurezza alimentare, concentrando le analisi per la ricerca di patogeni attivi solo sui campioni o sulle aree dove queste sequenze sono più abbondanti.
  • È particolarmente rilevante per le specie ittiche che vengono consumate crude (pensiamo al sushi o al sashimi), anche se non è il caso tipico dello sgombro.

Una piastra di Petri con diverse colonie batteriche dai colori vivaci, vista dall'alto, illuminata da una luce da laboratorio diffusa. Obiettivo macro 90mm, alta definizione dei dettagli delle colonie, messa a fuoco precisa, sfondo neutro per esaltare i colori.

In pratica, questo approccio metagenomico potrebbe fornire un sistema di allerta precoce, permettendo di monitorare la “salute” microbiologica sia dell’ambiente marino che dei prodotti ittici che da esso derivano.

Limiti e prospettive future: la scienza non si ferma mai

Come ogni studio scientifico che si rispetti, anche questo ha le sue cautele. I campioni sono stati analizzati subito dopo lo sbarco, prima che passassero attraverso la normale catena di commercializzazione (aste, mercati, trasporti). Questi passaggi potrebbero potenzialmente alterare il microbioma intestinale a causa di contaminazioni incrociate o delle tecniche di conservazione. Inoltre, eventi ambientali estremi e di breve durata, come ondate di calore improvvise, variazioni di salinità o fioriture algali, potrebbero impattare rapidamente sulla composizione microbica, e non sappiamo ancora fino a che punto questi eventi potrebbero “sovrascrivere” il segnale geografico.

Nonostante ciò, i risultati sono estremamente promettenti. L’utilizzo del microbioma intestinale dello Scomber colias si è dimostrato un efficace tracciante del luogo di cattura. Questo studio apre la strada a strumenti di tracciabilità metagenomica che potrebbero rivoluzionare il modo in cui garantiamo l’origine e la sicurezza dei prodotti ittici, anche per specie altamente mobili e in aree geografiche relativamente vicine tra loro.

Insomma, la prossima volta che gusterete un bel filetto di sgombro, pensate che nel suo intestino, ormai rimosso, si nascondeva un vero e proprio diario di bordo scritto da miliardi di minuscoli batteri. E chissà, forse un giorno, grazie a queste scoperte, saremo in grado di leggere quel diario con la stessa facilità con cui leggiamo un’etichetta! La scienza, amici miei, non smette mai di stupirci!

Fonte: Springer

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