Pancia Piena di Segreti: Come il Microbioma Trasforma Alcuni Roditori in “Super-Diffusori” di Malattie!
Ehilà, appassionati di scienza e misteri della natura! Oggi voglio parlarvi di una scoperta che mi ha lasciato a bocca aperta, unendo due argomenti che, ammettiamolo, sono sulla cresta dell’onda negli ultimi anni: i “superspreader” (super-diffusori) e il microbioma intestinale. Sì, avete capito bene, quei minuscoli batteri che albergano nella nostra pancia (e in quella di molti animali) potrebbero avere un ruolo da protagonisti nel determinare chi diventa un vero e proprio “untore” involontario.
Chi sono i Super-Diffusori? E cosa c’entra la pancia?
Partiamo dalle basi. Quando parliamo di superspreader, ci riferiamo a quegli individui che, ahimè, contribuiscono in modo sproporzionato alla trasmissione di un patogeno. Pensateci un attimo: non tutti diffondono le malattie allo stesso modo. Ci sono due “categorie” principali di questi campioni di diffusione:
- I supershedder (super-eliminatori): sono quelli che, per qualche motivo, rilasciano una quantità industriale di particelle infettive. Più ne emettono, più persone (o animali) possono infettare.
- I supercontacter (super-contattatori): questi invece non emettono necessariamente più patogeni, ma hanno una vita sociale molto più intensa! Incontrano un sacco di altri individui, aumentando così le occasioni di passare l’infezione.
Ora, il microbioma intestinale. Sappiamo che questa complessa comunità di microrganismi influenza un sacco di cose nel suo ospite: dal comportamento all’efficienza del sistema immunitario. Viene da sé pensare che possa modulare anche la diffusione delle malattie infettive. Finora, la ricerca si era concentrata soprattutto su come il microbioma potesse influenzare i supershedder di patogeni enterici (quelli intestinali, per intenderci). Ma cosa succede se guardiamo a entrambi i tipi di superspreader contemporaneamente? È proprio qui che la faccenda si fa intrigante!
I Protagonisti della Nostra Storia: Le Arvicole e la Bartonella
Per svelare questo mistero, ci siamo “trasferiti” (metaforicamente, eh!) nelle foreste del Kielder, nel nord-est dell’Inghilterra. Lì vive l’arvicola campestre (Microtus agrestis), un piccolo roditore che è un modello di studio fantastico. Queste arvicole sono spesso infettate da un batterio chiamato Bartonella. La Bartonella è interessante perché invade i globuli rossi ed è trasmessa tipicamente dalle pulci. Molte specie di Bartonella possono causare malattie (bartonellosi) negli animali e, tramite trasmissione zoonotica, anche nell’uomo. Insomma, un sistema perfetto per studiare la diffusione delle infezioni in un contesto naturale.

Abbiamo seguito queste arvicole nel tempo, campionandole ripetutamente. Come? Con trappole innocue, posizionate a griglia. Ogni volta che un’arvicola finiva in trappola, le mettevamo un piccolo chip (un tag PIT) per riconoscerla, prelevavamo una goccia di sangue dalla coda per misurare l’intensità dell’infezione da Bartonella (un modo per stimare quanto “sheddasse”, cioè eliminasse, il patogeno) e, per un sottogruppo di arvicole, raccoglievamo anche campioni fecali per analizzare il loro microbioma intestinale. Per capire chi fossero i “super-contattatori”, abbiamo registrato quali arvicole venivano catturate nella stessa trappola nello stesso giorno, creando una sorta di “rete sociale” delle trappole.
Le Scoperte: Meno Varietà Batterica per i Più “Social”
E qui arrivano le sorprese! Analizzando i dati, abbiamo visto che le arvicole si potevano effettivamente raggruppare in cluster distinti sia per quanto riguarda l’eliminazione del patogeno (shedding) sia per i contatti (contacting). C’erano i “bassi eliminatori”, gli “intermedi” e gli “alti eliminatori” (i nostri supershedder). Similmente, c’erano i “non-contattatori”, i “bassi contattatori”, gli “intermedi” e gli “alti contattatori” (i nostri supercontacter).
La cosa più affascinante è emersa quando abbiamo guardato al microbioma. Abbiamo scoperto che gli individui “alto-contattatori” avevano una minore diversità alfa microbica intestinale. In parole povere, avevano meno tipi diversi di batteri nella pancia rispetto ai loro compagni meno “social”. Non solo, ma questa diversità era anche più variabile tra di loro. Pensateci: una scarsa diversità microbica è spesso associata a disbiosi, cioè uno squilibrio della flora intestinale che può portare a problemi. E qui, sembra legata a un comportamento che favorisce la diffusione delle malattie!
Batteri Distintivi per Ogni “Categoria”
Ma non è finita qui. Sia gli “alti eliminatori” sia gli “alti contattatori” mostravano una composizione del microbioma intestinale distinta rispetto ai loro corrispettivi “bassi”. Siamo riusciti persino a identificare specifici OTU (Operational Taxonomic Units, che possiamo immaginare come “tipi” di batteri) che erano più o meno abbondanti in queste diverse categorie di arvicole.
E indovinate un po’ quale famiglia batterica è saltata fuori come particolarmente interessante? Le Muribaculaceae! Questi batteri sembravano essere associati alle differenze sia nello shedding sia nel contacting. Addirittura, un OTU specifico appartenente a questa famiglia era più abbondante sia negli alti eliminatori sia negli alti contattatori. Questi sono gli individui a più alto rischio, quelli che possono avere un impatto enorme sulla trasmissione!

Come Potrebbero Agire Questi Batteri? Ipotesi Affascinanti
Certo, il nostro è uno studio associativo, quindi non possiamo dire con certezza che siano i batteri a *causare* queste differenze. Potrebbe esserci un terzo fattore in gioco. Tuttavia, le Muribaculaceae hanno delle proprietà funzionali che potrebbero spiegare molte cose. Ad esempio, sono fermentatori primari capaci di produrre acetato, propionato e succinato. Il succinato, in particolare, è noto per attivare la risposta immunitaria Th2, che ha implicazioni sulla suscettibilità alle infezioni. Quindi, questa famiglia batterica potrebbe influenzare il livello di eliminazione del patogeno attraverso i suoi effetti sul sistema immunitario. E non solo: differenze nella risposta immunitaria Th2 sono state associate anche a differenze nel comportamento ansioso, il che potrebbe avere conseguenze sul livello di contatto sociale di un individuo. L’asse intestino-cervello è un altro attore chiave: è ormai assodato che il microbioma possa influenzare il comportamento.
Cosa Ci Riserva il Futuro?
Questa ricerca apre scenari davvero interessanti. Se potessimo identificare i superspreader attraverso le “firme” del loro microbioma intestinale, potremmo sviluppare strategie mirate per limitare la diffusione delle malattie nelle popolazioni animali (e chissà, forse anche umane un giorno?). Potremmo pensare di rimuovere selettivamente questi individui o, ancora più avveniristico, di manipolare il loro microbioma per ridurre la trasmissione.
Certo, ci sono dei limiti. Molti dei batteri che abbiamo trovato sono ancora poco conosciuti e descritti solo a livello di famiglia. Inoltre, abbiamo usato una tecnica di sequenziamento (16S rRNA) che ha una risoluzione limitata. Studi futuri con tecniche più avanzate come la metagenomica potrebbero svelare ancora più dettagli e identificare specie o ceppi specifici.
Per ora, però, una cosa è chiara: la prossima volta che penserete a come si diffondono le malattie, date un’occhiata (metaforica!) anche alla pancia. Potrebbe nascondere molti più segreti di quanto immaginiamo! È un campo di ricerca in fermento, e non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserveranno i prossimi studi.
Fonte: Springer
