Fotografia di ritratto, primo piano del viso di un paziente preoccupato parzialmente oscurato da una linea di gocciolamento IV per terapia biologica, profondità di campo superficiale, lente primaria da 50 mm, illuminazione in stile noir per film che creano forti ombre e luci.

MICI in Siria: Biologici Potenti, Ma Occhio alle Infezioni Nascoste!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento tanto affascinante quanto delicato: le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI), come la colite ulcerosa e il morbo di Crohn, e le terapie biologiche usate per trattarle. Farmaci potentissimi, certo, ma che possono portare con sé un “lato oscuro”: un aumentato rischio di infezioni opportunistiche. E se ci spostiamo in un contesto complesso come quello della Siria attuale? Beh, la situazione si fa ancora più intricata.

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio multicentrico retrospettivo che ha cercato di fare luce proprio su questo: quanto sono diffuse infezioni come l’epatite B (HBV), l’epatite C (HCV), il Citomegalovirus (CMV) e la tubercolosi (TB) tra i pazienti siriani con MICI trattati con farmaci biologici. Perché è importante? Perché questi farmaci, agendo sul sistema immunitario per calmare l’infiammazione intestinale, possono abbassare le difese e risvegliare infezioni latenti o renderci più suscettibili a nuove.

Un Contesto Difficile: La Siria

Prima di tuffarci nei numeri, fermiamoci un attimo a pensare alla Siria. Anni di conflitto hanno messo in ginocchio il sistema sanitario. Programmi di vaccinazione interrotti, milioni di sfollati, accesso alle cure mediche a singhiozzo, sovraffollamento, malnutrizione… un mix esplosivo che fa schizzare alle stelle il rischio di trasmissione di malattie infettive. Le linee guida internazionali, spesso basate su studi fatti in paesi ricchi e stabili, faticano ad adattarsi a realtà così difficili, dove mancano dati precisi sulla prevalenza di malattie come la TB e dove le risorse diagnostiche sono limitate. È un po’ come navigare a vista in una tempesta.

Cosa Hanno Cercato i Ricercatori?

Lo studio ha esaminato le cartelle cliniche di 185 pazienti con MICI (circa metà colite ulcerosa, metà Crohn) seguiti tra il 2021 e il 2024 in due grandi ospedali pubblici di Damasco, il Damascus Hospital e l’Ibn Al-Nafees Hospital. Tutti questi pazienti erano in terapia con farmaci biologici come infliximab, ustekinumab, golimumab o adalimumab. L’obiettivo era capire quanti di loro avessero segni di infezione da HBV, HCV, CMV o TB, attiva o latente.

I Risultati: Luci e (Molte) Ombre

Vediamo cosa è emerso.

  • Fumo: Solo il 9.2% fumava, un po’ di più tra chi aveva il Crohn.
  • Tubercolosi (TB): Il test cutaneo alla tubercolina (TST) è stato fatto solo al 61% dei pazienti, con un 4.3% di positività. Il test IGRA, più specifico, solo all’8.7% (1.1% positivo). Pochi test, pochi positivi… ma siamo sicuri che rispecchi la realtà?
  • Epatite B (HBV): L’antigene HBsAg (segno di infezione cronica) è stato trovato nel 2.7%, mentre gli anticorpi anti-HBc (segno di contatto passato o presente col virus) nel 5.4%.
  • Epatite C (HCV): Prevalenza molto bassa, solo lo 0.5%.
  • Citomegalovirus (CMV): Qui i dati sono interessanti. Al Damascus Hospital, la sieropositività (presenza di anticorpi IgG, segno di infezione passata) era altissima, quasi il 91.3% (anche se lo studio generale riporta 50.8% considerando entrambi i centri e i dati mancanti), e ci sono stati due casi (1.1% del totale) di colite da CMV, una complicanza seria. All’Ibn Al-Nafees, invece… nessun dato sul CMV!

Fotografia di ritratto, medico siriano che guarda preoccuparsi di rivedere i file dei pazienti in un'impostazione di base della clinica, lente Prime da 35 mm, profondità di campo, sottile duotone blu e grigio.

Il Vero Problema: I Buchi Neri nello Screening

Al di là dei numeri, il dato più preoccupante che salta all’occhio è la mancanza di dati e l’inconsistenza dello screening. Pensate:

  • Il test per l’immunità all’epatite B (anti-HBs) mancava nel 61.6% dei casi! Come facciamo a sapere chi è protetto e chi no?
  • Il test per l’epatite C non è stato fatto nel 20.5% dei pazienti.
  • Il test per il CMV mancava nel 44.3% (con l’enorme differenza tra i due ospedali).
  • Lo screening per la TB (TST o IGRA) mancava nel 34.6%.

Queste lacune sono un campanello d’allarme enorme! Non fare screening adeguati prima di iniziare una terapia biologica significa rischiare di riattivare infezioni nascoste, come l’epatite B o la tubercolosi latente, con conseguenze potenzialmente gravissime, fino alla morte.

Rischi Specifici: HBV, TB e CMV Sotto la Lente

Approfondiamo un attimo i rischi legati a queste infezioni quando si usano i biologici.

Epatite B (HBV): Il virus HBV può rimanere “dormiente” nel fegato per anni (sotto forma di DNA cccDNA). L’immunosoppressione indotta dai biologici può risvegliarlo (riattivazione dell’HBV o HBVr), causando un ritorno della replicazione virale e potenzialmente un’epatite fulminante. Le linee guida internazionali (come APASL e AASLD) non sono nemmeno del tutto concordi su come definire la riattivazione o classificare il rischio dei diversi farmaci (gli anti-TNF sono considerati a rischio alto o moderato, ustekinumab a rischio moderato). Per prevenire l’HBVr si usano terapie antivirali (profilattiche, preventive o “on-demand”), ma la base di tutto è sapere chi è a rischio! Ecco perché testare HBsAg, anti-HBc e anti-HBs (per vedere se c’è immunità da vaccino o infezione passata) è fondamentale prima di iniziare. E nel nostro studio, il test anti-HBs mancava spessissimo!

Tubercolosi (TB): Simile all’HBV, l’infezione tubercolare può rimanere latente (LTBI) per poi riattivarsi con l’immunosoppressione, specialmente con gli anti-TNF. Lo screening pre-terapia è cruciale, idealmente prima di iniziare qualsiasi farmaco immunosoppressore. Si usano il test cutaneo (TST) o i test IGRA, ma attenzione: questi test possono essere meno sensibili nei pazienti già immunosoppressi. Un TST positivo (≥5 mm in questi pazienti) non significa malattia attiva, ma indica la necessità di una terapia preventiva (spesso con isoniazide) prima di iniziare il biologico. Anche qui, lo studio siriano mostra screening incompleti.

Citomegalovirus (CMV): Moltissime persone entrano in contatto con il CMV nel corso della vita (infatti la sieroprevalenza era alta in uno degli ospedali siriani). Normalmente non dà problemi, ma in chi ha le difese immunitarie abbassate e magari un’infiammazione intestinale già in corso (come nelle MICI), il CMV può riattivarsi e causare una colite severa, aumentando il rischio di dover ricorrere alla chirurgia (colectomia).

Lenti macro, 80 mm, alto dettaglio di fiale di sangue per test sierologici (HBV, HCV, CMV) su un banco di laboratorio, illuminazione controllata, messa a fuoco precisa, che rappresenta il processo di screening.

L’Urgenza di Protocolli Standardizzati

Cosa ci insegna tutto questo? Che in contesti difficili come la Siria, dove le risorse sono scarse e il sistema sanitario è fragile, il rischio di gestire male le terapie biologiche a causa di uno screening insufficiente è altissimo. Non possiamo permetterci di “navigare a vista”. C’è un bisogno disperato di protocolli di screening pre-biologico standardizzati, chiari e applicabili anche in situazioni di emergenza umanitaria. Bisogna definire un “pacchetto” minimo di test (HBsAg, anti-HBc, anti-HBs, anti-HCV, CMV IgG, TST/IGRA) da eseguire sempre prima di iniziare questi farmaci. E ovviamente, agire di conseguenza: vaccinare chi non è immune all’HBV, trattare la LTBI, monitorare attentamente i pazienti a rischio.

Limiti dello Studio e Prospettive Future

Certo, lo studio ha i suoi limiti: è retrospettivo (guarda dati passati), i dati sono incompleti (soprattutto in un ospedale), c’è variabilità tra i centri, e il contesto di conflitto rende tutto più difficile (mancanza di reagenti, focus sull’emergenza acuta piuttosto che sulla prevenzione). Tuttavia, anche tenendo conto di questi limiti, il messaggio è forte e chiaro: lo screening attuale è inadeguato.

Servono studi prospettici, con metodi standardizzati e magari l’uso di modelli statistici avanzati per gestire i dati mancanti, per confermare questi risultati e sviluppare linee guida specifiche per le zone colpite da conflitti. Bisogna anche valutare l’efficacia di strategie combinate (es. TST+IGRA) e definire criteri univoci per la riattivazione dell’HBV.

Fotografia a oggetti, primo piano su una lista di controllo medica standardizzata o protocollo per lo screening pre-biologico su appunti, lenti macro da 60 mm, dettagli elevati, illuminazione controllata, simboleggia la necessità di procedure standardizzate.

Non Solo MICI, Non Solo Siria

Un’ultima riflessione: questo problema non riguarda solo i pazienti con MICI in Siria. Le stesse preoccupazioni valgono per chiunque riceva terapie immunosoppressive (per artrite reumatoide, malattie dermatologiche, tumori…) e vive in contesti con alta prevalenza di infezioni endemiche e accesso limitato alle cure. È una sfida globale che richiede attenzione e risorse.

In conclusione, le terapie biologiche hanno rivoluzionato il trattamento delle MICI, ma il loro uso sicuro dipende da un’attenta valutazione dei rischi infettivi. Questo studio siriano, pur con i suoi limiti, ci sbatte in faccia una realtà scomoda: in contesti difficili, lo screening è spesso insufficiente, mettendo a rischio i pazienti. È ora di agire per implementare protocolli standardizzati e accessibili ovunque, per garantire che i benefici di queste potenti terapie non siano oscurati da complicanze prevenibili.

Fonte: Springer

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