Ritratto fotografico di Michael Tonry, un uomo anziano dall'aria intellettuale, con occhiali, che guarda pensieroso fuori da una finestra. Alle sue spalle, una libreria piena di volumi giuridici. Luce naturale laterale, prime lens 35mm, depth of field, bianco e nero con un leggero duotone seppia e grigio per un effetto classico e intenso.

Michael Tonry: Basta Muri! Apriamo le Finestre sulla Giustizia Penale Globale

Sapete, a volte mi sembra che viviamo tutti un po’ chiusi nel nostro orticello, convinti che il nostro modo di fare le cose sia l’unico, o quantomeno il migliore. Questo vale per tante cose, ma quando si parla di giustizia penale, e in particolare di come uno Stato decide di punire chi sbaglia, beh, la faccenda si fa seria. E qui entra in gioco una figura che, per me, è stata una vera e propria boccata d’aria fresca: Michael Tonry. Un nome che forse non dirà molto ai più, ma che nel mondo della criminologia e della riforma penale pesa come un macigno, soprattutto per chi, come lui, ha cercato di scardinare una certa mentalità un po’ troppo… americana.

L’Eccezionalismo Americano Sotto la Lente

Parliamoci chiaro: gli Stati Uniti, in fatto di politica penale, hanno spesso seguito una strada tutta loro, un percorso che Tonry non ha esitato a definire “parrocchiale”. Immaginate un sistema che tende a essere eccezionalmente punitivo, a volte con venature razziste e una certa disinvoltura storica rispetto alle regole. Ecco, Tonry ha passato una vita a guardare oltre questi confini, cercando di capire perché il sistema di condanne americano fosse così, diciamo, disfunzionale e, soprattutto, come si potesse riformarlo. Non è un caso che fin dagli anni ’70, dopo la laurea a Yale, e poi con la sua rivista “Overcrowded Times” (un nome che è tutto un programma, “Tempi di Sovraffollamento”), abbia iniziato a tessere una rete di collaborazioni internazionali. Voleva sentire voci diverse, dall’Europa al Giappone, passando per Australia e Canada. Perché, mi chiedo, un accademico americano dovrebbe guardare fuori quando il suo paese è spesso visto come un modello (o un anti-modello, a seconda dei punti di vista) nel campo penologico? Forse, come ipotizzo, c’entra l’influenza di figure come Norval Morris, uno studioso australiano che ha lasciato il segno anche a Chicago, dove Tonry ha lavorato con lui. O forse, più semplicemente, era un profondo fastidio per quella che lui vedeva come la punitività, il razzismo e l’illegalità intrinseca nel sistema americano.

Tonry criticava apertamente l’asimmetria negli scambi di politiche penali: mentre gli USA sembravano impermeabili a sanzioni più umane ed economicamente vantaggiose come i lavori socialmente utili o le multe giornaliere (comuni in Europa), esportavano con disinvoltura leggi del tipo “tre colpi e sei fuori”, i famigerati “boot camp” e la “verità nella condanna”. Un vero peccato, secondo lui, vedere queste pratiche attecchire, seppur in forme attenuate, in altri paesi anglofoni.

Oltre i Confini: La Ricerca Comparata Come Faro

Se credi davvero nel tuo lavoro e hai una visione per un mondo migliore, non puoi restare chiuso nel tuo studio. Devi diventare quello che potremmo chiamare un “imprenditore accademico della politica”. E Michael Tonry, lasciatemelo dire, è uno dei migliori esempi degli ultimi cinquant’anni. Una persona capace di muoversi con agilità tra il mondo accademico e quello delle politiche pubbliche, costruendo reti, capendo le dinamiche di potere e usando tutto questo per sviluppare e comunicare proposte di riforma. Come si fa a diffondere idee innovative sulle riforme delle condanne? Beh, un modo sono le conferenze internazionali. Tonry ne è stato un grandissimo sostenitore. Ricordo la prima, a Bristol nel 1993, dove si sottolineò come ci fossero lezioni da imparare oltre i confini nazionali per migliorare i propri sistemi ed evitare errori già commessi da altri. Fu lì che Anthony Bottoms coniò il termine, tristemente famoso, di “punitività populista”.

Una sala conferenze moderna e luminosa, con un tavolo ovale al centro attorno al quale siedono accademici di diverse etnie e background. Alcuni discutono animatamente, altri prendono appunti. Sullo sfondo, uno schermo proietta grafici comparativi sui sistemi penali di vari paesi. Prime lens, 35mm, depth of field, luce naturale che entra da ampie finestre.

E poi ci sono state altre conferenze importanti, come quella all’Università del Minnesota nel 1998, che riunì studiosi da mezzo mondo per confrontare sistemi sanzionatori e capire se pratiche efficaci in un paese potessero essere adottate altrove. E ancora Glasgow nel 1999, Victoria in Australia nel 2005, Minneapolis, Bologna nel 2014, Haifa nel 2018… un vero e proprio pellegrinaggio della conoscenza comparata! Ma non basta. L’editoria è un altro strumento potentissimo. Dal 1979, Tonry ha curato i 53 volumi di “Crime and Justice: A Review of Research”. E fin dall’inizio, l’obiettivo era chiaro: “sfuggire al parrocchialismo che caratterizzava gran parte delle scienze sociali americane”. Voleva che la rivista fosse comparativa e internazionale. All’inizio, un quarto degli autori proveniva da fuori gli USA; negli ultimi anni, quasi la metà. E non si è limitato a questo: ha pubblicato su riviste europee, britanniche, tedesche, polacche, sudafricane, estendendo il suo pubblico ben oltre i confini americani. Ha messo il suo corpo dove metteva la sua bocca, ricoprendo incarichi nel Regno Unito, in Germania, Svizzera, Paesi Bassi. Un impegno costante e profondo.

Principi Fondamentali per una Giustizia Migliore

La battaglia di Tonry contro il parrocchialismo penale americano si basa su alcuni pilastri. Primo: le condanne contano. Le politiche penali, diceva, “comprendono i valori fondamentali della libertà dalla paura e dal danno e il diritto di essere lasciati soli… L’autorità dello Stato di esercitare potere sui cittadini in nome dell’applicazione della legge o della prevenzione del crimine incide e spesso diminuisce l’autonomia e la libertà dei cittadini”. Non è una cosa da poco. Secondo: ha un’idea chiara di come dovrebbe essere un sistema di condanne ideale, o almeno migliore di quello attuale. Dovrebbe essere coerente, razionale, logico ed equo, basato su principi, imparziale, efficace ma misericordioso e “coerente con i diritti umani e le libertà, competente nella deterrenza del crimine, nella definizione di standard minimi di comportamento e [tendere a] una migliore protezione della società dai suoi predatori umani”. Dovrebbe basarsi sulle migliori prove disponibili e preoccuparsi dell’uguaglianza e della dignità umana. Era molto critico sulla mancanza di dignità nelle carceri statunitensi e sul fallimento degli Stati Uniti nel ratificare le convenzioni ONU. Particolarmente sferzante era il suo giudizio sull’interpretazione restrittiva dell’Ottavo Emendamento (quello che vieta punizioni crudeli e inusuali), che ha permesso la pena di morte per minori e persone con disabilità intellettive. E la mancata affermazione del principio di proporzionalità nella condanna da parte della Corte Suprema era per lui particolarmente irritante. Fondamentalmente, sosteneva, la riforma penale è una questione di moralità tanto quanto di criminologia: “È chiaro che cambiamenti fondamentali avverranno solo quando una massa critica di opinione convergerà nel ritenere che le leggi americane sulle condanne, la severità delle condanne e l’incarcerazione di massa siano moralmente ingiustificabili”.

Un'aula di tribunale stilizzata, divisa a metà: da un lato, una bilancia della giustizia pende vistosamente, con celle di prigione sovraffollate sullo sfondo; dall'altro lato, la bilancia è in equilibrio, con simboli di riabilitazione e reinserimento sociale. Duotone, bianco e nero con un accento di colore (es. blu) sulla parte 'ideale'. Prime lens, 24mm, forte contrasto.

Le Radici del Problema Americano

Terzo pilastro: crede fermamente nell’importanza della ricerca comparata, affinché i paesi possano imparare dalle reciproche esperienze. E quando Tonry parla di ricerca comparata, intende progetti empirici seri, con misure e strumenti comuni tra due o più paesi, applicando confronti sistematici. Non semplici “visite personali, aneddoti, storie di guerra e sentito dire”. Certo, la ricerca comparata ha un valore di curiosità, ma ha anche un valore utilitaristico. Confrontare i tassi di incarcerazione, ad esempio, solleva la questione di quale sia un tasso “normale” e quale eccezionale. La relazione tra pratiche di condanna e tassi di criminalità può darci un’idea dell’efficacia relativa di diverse sanzioni. I confronti potrebbero permettere di capire se si possono ottenere livelli equivalenti di controllo sociale con mezzi meno costosi o più “umani”. La sua speranza era che le pressioni della comunicazione di massa, dell’economia globale e dell’emergere dell’inglese come lingua mondiale potessero ridurre le differenze tra i paesi occidentali. Finora, un’aspirazione non realizzata. Gli USA restano un caso a sé, e gli altri paesi anglofoni variano a seconda del partito al potere. Le differenze abissali tra USA e Canada, ad esempio, sono state per lui un continuo oggetto di studio.

Ma perché gli Stati Uniti sono così “eccezionali” e refrattari a imparare dagli altri? Tonry ha identificato diverse ragioni:

  • La politica penale statunitense è profondamente ideologica e partigiana, dove simbolismo e ideologia contano più della sostanza.
  • La cultura penale e l’atteggiamento verso la punizione sono molto più severi rispetto ai paesi di confronto.
  • Lo “stile paranoico” della politica americana, che vede il dissenso come male da sradicare con ogni mezzo.
  • Il fondamentalismo protestante, che giustifica crociate moralistiche contro droghe, crimine, aborto, ecc.
  • Una struttura costituzionale datata che ha politicizzato la giustizia penale (elezione di giudici e procuratori).
  • La storia delle relazioni razziali: schiavitù, leggi Jim Crow, linciaggi, discriminazione hanno alimentato disparità.
  • La forte dipendenza dalle negoziazioni di patteggiamento.
  • Una mancanza di fiducia nei funzionari pubblici, che porta a voler limitare la discrezionalità giudiziaria.

In sintesi, per Tonry, la differenza tra i sistemi anglosassoni/americani e quelli europei è tra un modello di responsabilità democratica (che si traduce in prevenzione del crimine, denuncia e politicizzazione) e un modello di giustizia sostanziale (proporzionalità, coerenza, reintegrazione e riabilitazione).

Un collage di immagini che rappresentano i fattori dell'eccezionalismo USA: una bandiera americana sventata, un giudice con martelletto, una cella di prigione, simboli religiosi e politici contrapposti. Film noir style, 35mm, contrasto elevato, per sottolineare la complessità e la cupezza di alcuni aspetti.

Sguardi al Sud e all’Est del Mondo: Un Orizzonte da Esplorare

Tuttavia, i problemi di condanna non sono solo una questione del “Primo Mondo”. Il lavoro di Tonry si è concentrato principalmente su quello che oggi chiamiamo il Nord Globale (paesi anglofoni ed europei). Ma, come giustamente sottolineano diversi studiosi, c’è un bisogno urgente di andare oltre questi confronti e di esaminare le politiche penali del cosiddetto Sud Globale (Africa, America Latina, Sud-Est Asiatico) o dell’Est Globale (Europa Orientale, Asia Centrale), dove vive la maggioranza della popolazione mondiale. Finora, molta ricerca in queste aree si è concentrata su come applicare idee “occidentali” (come le commissioni per le condanne) a contesti diversi. La sfida, però, è più grande: non solo applicare, ma sviluppare nuove teorie basate su idee e pratiche non occidentali. Certo, ci sono ostacoli, come la barriera linguistica (molta ricerca è pubblicata solo in inglese) e la necessità di mettere in discussione le tradizionali costruzioni di giustizia, esaminando le eredità del colonialismo, della schiavitù e della disuguaglianza globale. Serve, insomma, una vera e propria “decolonizzazione” della criminologia, che dia voce alla “periferia” e non solo ai centri di potere ideologico tradizionali.

L’Eredità di Tonry: Un Faro per il Futuro

Lo stile di Tonry è inconfondibile. Ha una capacità sorprendente di identificare e analizzare chiaramente il problema, sintetizzare una vasta quantità di materiale, presentare prove empiriche, identificare opzioni politiche preferibili e, alla fine, offrire prescrizioni pratiche. Il tutto con umiltà, introspezione e un’immensa empatia per sistemi diversi dal suo. È anche realista: sa che le innovazioni ambiziose spesso falliscono più che avere successo. Come osserva, “le giurisdizioni che rifiutano di imparare dalle esperienze altrui sono condannate a ripetere i loro errori”. Cosa possiamo imparare dal suo lavoro?

  • L’importanza di un impegno verso i valori fondamentali che dovrebbero sostenere qualsiasi sistema di giustizia penale.
  • Il valore della collaborazione, della collegialità e di una mente aperta a visioni diverse.
  • La consapevolezza che la strada per la riforma può essere lunga e difficile.
  • L’importanza di aderire ai più alti standard di erudizione.

Oggi Michael Tonry vive a Bagnaia, sull’Isola d’Elba. Un luogo che evoca Napoleone, ritiratosi lì dopo la sua prima abdicazione. È lontano da Castine, Maine, ma Tonry non è affatto “in pensione”. Con una reputazione napoleonica (anche se non per la statura fisica!), continua a dominare il panorama della riforma penale. E come il Codice Napoleonico, la sua prodigiosa produzione continuerà a influenzare studiosi e politici per i decenni a venire. E spero che, grazie a figure come lui, riusciremo sempre più ad abbattere i muri del provincialismo e ad aprire le finestre su un mondo di giustizia più informato, più equo e, oserei dire, più umano.

Un'immagine simbolica: una vecchia chiave arrugginita (rappresentante vecchi sistemi penali) accanto a un moderno tablet che mostra una mappa del mondo con connessioni luminose tra diversi paesi (rappresentante la ricerca comparata e la collaborazione globale). Macro lens, 60-105mm, high detail, controlled lighting, per evidenziare il contrasto e la speranza di progresso.

Fonte: Springer

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