Un'immagine concettuale astratta che rappresenta il cervello umano mentre elabora informazioni, con flussi luminosi che simboleggiano i dati rilevanti e barriere che bloccano le distrazioni, obiettivo da 24mm, bianco e nero con un singolo accento di colore blu elettrico, profondità di campo.

Memoria di Ferro o Colabrodo? Come il Cervello Filtra (o Non Filtra) le Informazioni con l’Età e le Malattie

Avete presente quando cercate di ricordare un numero di telefono mentre qualcuno vi parla sopra, o quando provate a seguire una ricetta con la TV accesa in sottofondo? Ecco, quella capacità di tenere a mente le cose importanti e scartare le distrazioni è un superpotere del nostro cervello chiamato memoria di lavoro, o working memory se vogliamo fare i fighi. È come una lavagnetta mentale su cui appuntiamo temporaneamente le informazioni che ci servono al momento. Ma cosa succede a questa lavagnetta quando gli anni passano o quando malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il Parkinson entrano in gioco? E soprattutto, come se la cava il nostro cervello a fare il “buttafuori” con le informazioni inutili?

Oggi vi porto con me in un viaggio affascinante, quello di uno studio scientifico che ha cercato di rispondere proprio a queste domande. Immaginatevi di partecipare a un esperimento: vi mostrano delle frecce colorate su uno schermo e vi chiedono di memorizzarne l’orientamento. Facile, no? Beh, non sempre. A volte, insieme alle frecce da ricordare, ne spunta una “intrusa”, un distrattore, che dovete ignorare. Questo distrattore può apparire subito, mentre state cercando di codificare (cioè, “scrivere sulla lavagnetta”) le informazioni, oppure un po’ dopo, durante la fase di mantenimento (quando state cercando di non far sbiadire l’inchiostro sulla lavagnetta).

Lo studio ha messo alla prova quattro gruppi di persone: giovani adulti sani, anziani sani, pazienti con Alzheimer e pazienti con Parkinson. L’obiettivo era capire come questi diversi gruppi gestissero i distrattori e quali tipi di errori commettessero. E, udite udite, hanno anche dato un’occhiata al volume dell’ippocampo, una struttura cerebrale cruciale per la memoria, per vedere se ci fosse un legame.

I “Nonni” Sani: Filtri Ancora Attivi, Ma la Precisione Vacilla

Partiamo dai nostri anziani in salute. Come se la sono cavata? Beh, piuttosto bene nel filtrare le informazioni inutili, sia quando il distrattore appariva subito (nella fase di codifica) sia quando si presentava dopo (nella fase di mantenimento). Certo, rispetto ai giovani, hanno commesso più errori in generale. Ma la cosa interessante è che il loro problema principale non sembrava essere tanto il “buttafuori” pigro, quanto una generale perdita di precisione nel ricordare i dettagli. È come se l’immagine sulla lavagnetta diventasse un po’ più sfocata con l’età. Inoltre, tendevano a “indovinare” di più e a confondere le caratteristiche degli oggetti (il cosiddetto misbinding, tipo ricordare il colore di una freccia ma associarlo all’orientamento di un’altra).

Un altro aspetto emerso è che per gli anziani era particolarmente faticoso memorizzare tre frecce tutte insieme all’inizio. Se invece le informazioni venivano presentate un po’ per volta, se la cavavano meglio. Questo suggerisce che la loro capacità di “caricare” la memoria di lavoro si riduce, ma se il carico è distribuito, riescono ancora a gestirlo.

Curiosamente, filtrare attivamente un elemento si è rivelato utile per tutti: aiutava a identificare meglio l’obiettivo corretto e a ridurre gli errori di “mescolamento” delle caratteristiche. Per gli anziani, filtrare aiutava anche a indovinare di meno, forse perché, essendo il compito più impegnativo per loro, dovevano attivamente “fare spazio” sulla lavagnetta mentale.

Un primo piano di un cervello anziano stilizzato, con alcune aree illuminate che rappresentano la memoria di lavoro e altre aree più scure che indicano difficoltà di filtraggio, obiettivo da 35mm, toni del blu e del grigio duotone, profondità di campo.

Alzheimer: La Porta della Memoria che Non Resta Chiusa

Passiamo ora ai pazienti con malattia di Alzheimer. Qui la faccenda si complica, e in modo specifico. Mentre anche loro, come gli anziani sani, beneficiavano del poter filtrare un distrattore, hanno mostrato una difficoltà significativa quando il distrattore appariva durante la fase di mantenimento. È come se la porta della memoria, una volta chiusa con le informazioni importanti dentro, si riaprisse un po’, facendo entrare l’intruso e creando confusione. Infatti, in questa condizione, la loro performance era simile a quando dovevano ricordare tutte e tre le frecce, senza nessun aiuto dal filtro!

Rispetto agli anziani sani, i pazienti con Alzheimer hanno mostrato un peggioramento su tutti i fronti: minore precisione, minore capacità di identificare l’obiettivo corretto (target detection), più errori di mescolamento (misbinding) e una maggiore tendenza a indovinare (guessing). Tuttavia, gli errori che più li distinguevano dagli anziani sani erano proprio la ridotta capacità di identificare l’obiettivo e l’aumento delle risposte casuali. La precisione, sebbene inferiore, non era il fattore di declino più marcato rispetto all’invecchiamento sano, a differenza di quanto visto prima.

Questo ci dice che nell’Alzheimer non è solo la “risoluzione” della memoria a diminuire, ma c’è una vera e propria fatica a tenere separate le informazioni rilevanti da quelle irrilevanti, specialmente se queste ultime arrivano quando stiamo già cercando di tenere a mente qualcosa. È come se il “guardiano” della memoria di lavoro si distraesse più facilmente.

Parkinson: Filtri Efficienti, Ma si Tira a Indovinare di Più

E i pazienti con malattia di Parkinson (testati mentre erano sotto l’effetto dei loro farmaci dopaminergici)? Qui arriva una sorpresa: hanno mostrato ottime capacità di filtraggio, sia nella fase di codifica che in quella di mantenimento, paragonabili a quelle degli anziani sani. Sembra quindi che, almeno in queste condizioni, il loro “buttafuori” mentale funzioni egregiamente.

Allora, dove sta il problema? Principalmente, in una maggiore tendenza a indovinare. Rispetto agli anziani sani, i pazienti con Parkinson non mostravano differenze significative nella precisione della memoria, né nella capacità di identificare l’obiettivo o negli errori di mescolamento. L’unico vero “neo” era questo aumento delle risposte casuali. È come se, di fronte all’incertezza, preferissero tentare la sorte piuttosto che sforzarsi di recuperare un ricordo sbiadito o confuso.

Anche per loro, come per gli altri gruppi, filtrare un elemento si è rivelato utile per migliorare l’identificazione dell’obiettivo e ridurre il mescolamento delle caratteristiche. E, cosa interessante, in questo gruppo (così come negli anziani sani), filtrare un distrattore aiutava anche a ridurre la tendenza a indovinare.

Immagine concettuale di tre cervelli affiancati: uno sano, uno con Alzheimer (con placche visibili stilizzate) e uno con Parkinson (con aree dopaminergiche stilizzate meno attive), illuminazione controllata, obiettivo macro da 90mm per evidenziare i dettagli.

L’Ippocampo: Guardiano del Mantenimento

Ricordate l’ippocampo, quella struttura a forma di cavalluccio marino? I ricercatori hanno misurato il suo volume nei partecipanti e hanno fatto una scoperta molto interessante. Il volume dell’ippocampo era significativamente correlato con la capacità di filtrare i distrattori durante la fase di mantenimento, ma non durante la codifica! Sembra quindi che un ippocampo più “in forma” sia cruciale per proteggere le informazioni già immagazzinate nella memoria di lavoro da eventuali nuove interferenze. È come se aiutasse a tenere ben chiusa quella porta della memoria di cui parlavamo prima.

Non solo: un volume ippocampale maggiore era associato a un minor numero di errori generali, a una migliore identificazione dell’obiettivo, a meno errori di mescolamento e a una minore tendenza a indovinare. Tra tutti questi fattori, la tendenza a indovinare è risultata essere il miglior “predittore” del volume ippocampale. Curiosamente, la precisione della memoria non sembrava legata al volume dell’ippocampo, suggerendo che altre aree cerebrali, forse la corteccia parietale, siano più importanti per mantenere i dettagli vividi nel tempo.

Questa scoperta è particolarmente rilevante per l’Alzheimer, malattia notoriamente caratterizzata da atrofia ippocampale. Potrebbe essere proprio questa la ragione per cui i pazienti con AD mostrano quel deficit specifico nel filtrare le informazioni durante il mantenimento.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Questo studio ci dipinge un quadro davvero dettagliato di come la nostra memoria di lavoro e la sua capacità di filtro cambino con l’età e in presenza di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Non è un declino generico e uguale per tutti, ma un insieme di pattern specifici:

  • Nell’invecchiamento sano, la capacità di filtro è relativamente preservata, ma la precisione del ricordo cala.
  • Nell’Alzheimer, il problema grosso è il filtro durante il mantenimento delle informazioni, accompagnato da una ridotta capacità di identificare l’obiettivo e un aumento delle risposte casuali.
  • Nel Parkinson (almeno nei pazienti cognitivamente integri e sotto terapia), i filtri funzionano bene, ma aumenta la tendenza a indovinare.

E l’ippocampo? Sembra giocare un ruolo da protagonista nel proteggere i nostri ricordi a breve termine una volta che sono stati “scritti” sulla lavagnetta, tenendo a bada le distrazioni che arrivano dopo. Capire queste differenze non è solo affascinante, ma è fondamentale per sviluppare strategie mirate che possano aiutare le persone a gestire meglio le sfide cognitive legate all’età e a queste malattie. Insomma, la nostra “RAM mentale” è complessa e delicata, e conoscerla meglio è il primo passo per prendercene cura!

Visualizzazione 3D dell'ippocampo umano, isolato e illuminato, con connessioni neurali stilizzate che si diramano, obiettivo macro da 100mm, alta definizione, sfondo scuro per contrasto.

Fonte: Springer

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