Primo piano di una capsula di meldonium su uno sfondo sfocato di una risonanza magnetica cerebrale con un glioblastoma evidenziato. Illuminazione da laboratorio controllata, lente macro 90mm, alta definizione, focus preciso sulla capsula.

Meldonium e Glioblastoma: Una Scintilla di Speranza Inattesa Contro il Tumore al Cervello?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero colpito nel mondo della ricerca oncologica, un campo dove ogni piccolo passo avanti può significare tantissimo. Parliamo di glioblastoma, un nome che purtroppo fa paura. È il tumore cerebrale primario più aggressivo negli adulti, una vera bestia nera con una prognosi spesso desolante: la sopravvivenza mediana è inferiore a un anno. Un incubo.

Il Glioblastoma: Un Nemico Difficile da Battere

Immaginate un nemico che, anche dopo essere stato attaccato con le armi più potenti a nostra disposizione – chirurgia, radioterapia, chemioterapia con temozolomide (il famoso protocollo Stupp) – riesce quasi sempre a tornare, più forte di prima. Nel 90% dei casi, il glioblastoma recidiva. E quando torna, le opzioni terapeutiche standard diventano ancora più limitate. Le terapie mirate e l’immunoterapia, che stanno rivoluzionando la cura di altri tumori, finora hanno avuto un successo limitato contro questo avversario.

Perché è così difficile? Una delle ragioni è che le cellule del glioblastoma sono incredibilmente astute nel riprogrammare il loro metabolismo per sopravvivere, invadere il tessuto sano e resistere alle cure. È come se avessero un manuale di sopravvivenza interno che permette loro di adattarsi a condizioni avverse.

Una Nuova Strategia: Colpire il Metabolismo Energetico

Qui entra in gioco un’idea affascinante: e se potessimo colpire il tumore proprio nel suo “motore” energetico? Recentemente, l’attenzione si è concentrata sull’ossidazione degli acidi grassi (FAO). Sembra che questo processo fornisca al glioblastoma una fonte di energia aggiuntiva, quasi un “turbo”, soprattutto quando le altre fonti scarseggiano. La FAO sembra promuovere la progressione del tumore e la sua capacità di adattarsi. Bloccare questo processo, insieme alla glicolisi (l’altro modo principale con cui le cellule ottengono energia), è diventato un obiettivo terapeutico promettente.

Un attore chiave nella FAO è la L-carnitina, una molecola essenziale per trasportare gli acidi grassi dentro i mitocondri, le “centrali energetiche” della cellula, dove avviene l’ossidazione. Per entrare nella cellula, la L-carnitina usa principalmente un trasportatore chiamato OCTN2. E indovinate un po’? Il nostro gruppo di ricerca (parlo in senso generale, rappresentando la comunità scientifica che lavora su questo) ha scoperto che l’espressione di OCTN2 è aumentata nel glioblastoma rispetto al tessuto cerebrale sano. Non solo: una maggiore espressione di OCTN2 è associata a una prognosi peggiore per i pazienti.

Arriva il Meldonium: Un Farmaco Noto, un Ruolo Inaspettato

Questo ci porta al meldonium. Forse ne avete sentito parlare perché è finito nelle cronache sportive come sostanza dopante. In realtà, è un farmaco ben noto e utilizzato da anni in Europa dell’Est (con il nome commerciale Mildronate®) per trattare problemi cardiaci e ischemici. Il meldonium agisce proprio interferendo con la L-carnitina: inibisce il suo trasportatore OCTN2, ne blocca la sintesi e inibisce anche gli enzimi CPT (in particolare CPT1) nei mitocondri. In pratica, mette i bastoni tra le ruote alla FAO.

Considerando questi meccanismi e i risultati promettenti ottenuti in laboratorio e su modelli animali (topi con glioblastoma trattati con meldonium mostravano una riduzione significativa della crescita tumorale), è nata una domanda: potrebbe il meldonium funzionare anche negli esseri umani come terapia aggiuntiva?

Illustrazione scientifica stilizzata di una cellula tumorale cerebrale (glioblastoma) con mitocondri evidenziati e percorsi metabolici dell'ossidazione degli acidi grassi (FAO) bloccati da una molecola di meldonium. Lente macro 70mm, illuminazione drammatica controllata, alta definizione.

Tre Casi Clinici: Storie di Speranza e Complessità

Ed eccoci al cuore di questo racconto: un recente “case report” che descrive l’esperienza di tre pazienti con glioblastoma ricorrente in fase terminale, per i quali le terapie standard non offrivano più opzioni valide. Questi pazienti, con il loro consenso informato e nell’ambito di un uso sperimentale compassionevole, hanno ricevuto 500 mg di meldonium due volte al giorno, in aggiunta alle terapie che stavano già seguendo.

I risultati? Eterogenei, come spesso accade in medicina, ma con una storia davvero notevole.

  • Paziente #1: Un uomo di 66 anni, con una storia di glioblastoma IDH-wildtype (la forma più comune e aggressiva) con promotore MGMT metilato (un fattore generalmente associato a una migliore risposta alla temozolomide). Dopo chirurgia, radio/chemioterapia standard e terapia con TTFields (campi elettrici che trattano il tumore), il tumore era tornato due volte. La seconda recidiva progrediva rapidamente nonostante le cure. Nel luglio 2022, ha iniziato ad assumere meldonium in aggiunta alla temozolomide. E qui è successo qualcosa di straordinario: la progressione del tumore si è arrestata. Le risonanze magnetiche, fatte ogni tre mesi, hanno mostrato una malattia stabile, con persino una leggera riduzione delle lesioni. A marzo 2024, dopo 24 mesi dall’inizio del meldonium, la malattia era ancora sotto controllo. La sua sopravvivenza totale dalla diagnosi ha superato i 5 anni, un traguardo raro per il glioblastoma. Il meldonium è stato ben tollerato, con solo una lieve stipsi come nuovo sintomo. La sua qualità di vita è persino migliorata nei primi 16 mesi di trattamento. Un risultato incredibile.
  • Paziente #2: Un uomo di 62 anni, anche lui con glioblastoma IDH-wildtype ma con MGMT non metilato. Dopo varie linee di trattamento, inclusa una sperimentazione clinica e un secondo intervento, ha iniziato il meldonium in uno stato di malattia molto avanzato e progressivo. Purtroppo, nonostante la buona tollerabilità del farmaco, è deceduto circa due mesi dopo l’inizio del meldonium a causa della progressione della malattia.
  • Paziente #3: Un uomo di 64 anni, simile al secondo paziente per tipo di tumore (IDH-wildtype, MGMT non metilato). Anche lui aveva subito multipli interventi e terapie. Ha iniziato il meldonium ma lo ha interrotto dopo tre settimane per “mancanza di fiducia”. Lo ha ripreso mesi dopo, ma lo ha nuovamente interrotto. È deceduto poco dopo la seconda interruzione. Durante l’assunzione, ha riportato più effetti collaterali rispetto agli altri, come nausea e dolore addominale, anche se non è chiaro quanto fossero legati al meldonium o alla progressione della malattia e alle altre terapie.

Cosa Possiamo Imparare? Ipotesi e Prospettive Future

Questi tre casi ci raccontano storie molto diverse. Il successo nel paziente #1 è entusiasmante e suggerisce che il meldonium *potrebbe* avere un ruolo. Ma perché ha funzionato in lui e non negli altri? Le ipotesi sono diverse:

  • Lo stato del promotore MGMT: Il paziente #1 aveva MGMT metilato. Potrebbe esserci una sinergia tra meldonium e temozolomide in questi casi? La temozolomide è più efficace quando MGMT è metilato, e forse inibire la FAO con il meldonium rende le cellule tumorali ancora più vulnerabili.
  • Il metabolismo del tumore: Non tutti i glioblastomi potrebbero dipendere dalla FAO allo stesso modo. Forse il tumore del paziente #1 era particolarmente “affamato” di acidi grassi, rendendolo più sensibile al blocco indotto dal meldonium.
  • Terapie concomitanti: Il paziente #1 assumeva anche temozolomide e aveva usato TTFields. I TTFields agiscono sulla glicolisi. Forse colpire *sia* la glicolisi che la FAO è una strategia vincente? Al contrario, i pazienti #2 e #3 avevano ricevuto terapie anti-angiogeniche (come bevacizumab, Avastin), che possono aumentare la dipendenza dalla glicolisi, forse rendendo meno rilevante il blocco della FAO.
  • Aderenza alla terapia: Il paziente #1 ha seguito scrupolosamente il protocollo, mentre il #3 ha interrotto il trattamento.
  • Stadio della malattia: Tutti hanno iniziato il meldonium in fase molto avanzata. Forse un intervento più precoce potrebbe dare risultati diversi.

Fotografia in stile reportage, un medico oncologo esamina con attenzione una serie di risonanze magnetiche cerebrali su un visore luminoso in uno studio medico. Profondità di campo ridotta, lente prime 50mm, luce soffusa dalla finestra, espressione concentrata ma speranzosa.

Un aspetto fondamentale è la buona tollerabilità generale del meldonium, confermando i dati preclinici e l’esperienza d’uso in altri ambiti. Questo è un vantaggio enorme in pazienti già provati dalla malattia e da terapie pesanti.

La Strada da Percorrere: Servono Studi Clinici

È cruciale essere chiari: questi sono solo tre casi. Non possiamo trarre conclusioni definitive. Ma sono una base di partenza intrigante. Dimostrano che l’idea di usare il meldonium nel glioblastoma non è campata in aria e che merita di essere approfondita seriamente.

Cosa serve ora? Ovviamente, studi clinici controllati. Immaginate uno studio di fase 2 che confronti la terapia standard (con o senza TTFields) rispetto alla terapia standard più il meldonium. Sarebbe fondamentale includere un’analisi molecolare dettagliata dei tumori per capire se ci sono sottogruppi di pazienti (magari quelli con MGMT metilato, o con un particolare profilo metabolico) che rispondono meglio.

In conclusione, anche se la strada è ancora lunga e piena di incognite, questo piccolo studio sul meldonium accende una luce. Ci ricorda che anche farmaci “vecchi” o usati per tutt’altro possono nascondere potenzialità inaspettate. La lotta contro il glioblastoma ha un disperato bisogno di nuove armi, e l’idea di colpire il suo metabolismo energetico con un farmaco come il meldonium è una pista che vale assolutamente la pena esplorare. Incrociamo le dita perché la ricerca futura confermi queste prime, promettenti osservazioni.

Fonte: Springer Nature

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