Clima Assassino: Viaggio nelle Apocalissi Terrestri che Hanno Spazzato Via la Vita (e Come ci Siamo Arrivati)
Amici, preparatevi per un viaggio indietro nel tempo, ma non uno di quelli rilassanti con dinosauri che pascolano placidi. No, oggi ci tufferemo nelle ere più drammatiche del nostro pianeta, quelle segnate dalle cinque grandi estinzioni di massa. Eventi talmente catastrofici da aver quasi resettato l’orologio della vita sulla Terra. E indovinate un po’? Il clima c’entra, eccome! Ho passato un po’ di tempo a studiare queste faccende, analizzando molecole organiche antichissime, e quello che emerge è un copione quasi… diabolico.
Le Grandi Parche della Vita: Le Cinque Estinzioni Maggiori
Da quando la vita animale complessa ha fatto la sua comparsa, circa 500 milioni di anni fa, il nostro pianeta ha vissuto almeno cinque momenti in cui ha rischiato di diventare un deserto cosmico. Parliamo dell’estinzione della fine dell’Ordoviciano, del Devoniano Superiore, della fine del Permiano (la più terribile di tutte, una vera ecatombe!), della fine del Triassico e, la più famosa, quella del Cretaceo-Paleogene che ha detto addio ai dinosauri non aviani. Ognuna di queste crisi biologiche, ho scoperto, coincide con cambiamenti climatici anomali e brutali. E non parliamo di un grado in più o in meno, ma di vere e proprie montagne russe termiche.
Un Indizio nelle Rocce: il “Termometro” Coronene
Per capire cosa sia successo, abbiamo bisogno di investigatori speciali. Uno di questi è una molecola chiamata coronene. Immaginatevela come una spia: la sua abbondanza nei sedimenti ci dice quanto calore hanno subito quelle rocce. Temperature elevate possono essere causate da due cose principali: attività vulcanica su larghissima scala (pensate a intere province che eruttano lava e gas per millenni) o l’impatto di un meteorite bello grosso. L’indice di coronene, che è un rapporto tra il coronene e altri idrocarburi policiclici aromatici (IPA), ci dà una stima di queste temperature infernali. Normalmente, questo indice se ne sta buono intorno a 0.1. Ma durante questi eventi catastrofici… beh, la storia cambia.
Il Doppio Colpo: Prima il Gelo, Poi le Fiamme
Analizzando i dati, inclusi nuovi studi sull’estinzione dell’Ordoviciano (la prima e forse la meno compresa finora), emerge uno schema ricorrente e inquietante. Sembra che la maggior parte di queste estinzioni si sia svolta in due fasi distinte, per un totale di dieci “mini-eventi” se consideriamo ogni fase. E qui viene il bello (o il brutto, a seconda dei punti di vista):
- Quattro delle cinque grandi estinzioni iniziano con un raffreddamento globale da far battere i denti.
- Tutte e cinque, senza eccezione, si concludono con un riscaldamento globale da togliere il fiato.
Durante le fasi iniziali di raffreddamento, l’indice di coronene ci dice che le rocce sedimentarie sono state “cotte” a temperature variabili: a volte basse, a volte altissime, a volte moderate. Ma nelle successive fasi di riscaldamento, la cottura è stata sempre a temperature moderate.
Cosa significa tutto questo? L’ipotesi più affascinante è che le immense eruzioni vulcaniche o gli impatti di meteoriti abbiano riscaldato rocce ricche di solfuri, solfati e idrocarburi.
- A basse temperature, i solfuri liberano principalmente anidride solforosa (SO2).
- Ad alte temperature, anche i solfati e la materia organica possono contribuire con SO2 e fuliggine.
Queste sostanze, sparate nella stratosfera, schermano la luce solare, innescando un raffreddamento globale e la prima ondata di estinzioni. Pensate a un inverno nucleare, ma su scala geologica. Successivamente, un riscaldamento più moderato di idrocarburi e carbonati avrebbe pompato nell’atmosfera enormi quantità di anidride carbonica (CO2), portando a un riscaldamento globale a lungo termine e, spesso, a una seconda ondata di estinzioni. Un vero e proprio cocktail letale!
Uno Sguardo da Vicino alle Catastrofi
Prendiamo l’estinzione della fine dell’Ordoviciano (LOME). Le mie nuove analisi su campioni provenienti dalla Cina indicano proprio questo schema: un primo impulso di estinzione legato al freddo, con un indice di coronene basso, seguito da un secondo impulso legato al caldo, con un indice di coronene medio. E ci sono prove di un’intensa attività vulcanica in quel periodo.
Per l’estinzione del Frasniano-Fameniano (FFME) nel Devoniano, la prima fase fredda mostra un indice di coronene altissimo, suggerendo un riscaldamento molto intenso delle rocce (forse vulcanismo di tipo “plume” ad alta temperatura), seguita da una fase calda con indice medio.
L’estinzione della fine del Permiano (EPE), la “Grande Moria”, è un po’ un’eccezione apparente. Sembra iniziare senza un chiaro raffreddamento globale registrato, o forse è stato un evento talmente rapido da non lasciare tracce evidenti nei proxy climatici convenzionali. Tuttavia, finisce anch’essa con un riscaldamento brutale e un indice di coronene medio. Le Eruzioni dei Trappi Siberiani sono le principali sospettate, con un rilascio spaventoso di gas serra.
L’estinzione della fine del Triassico (ETME) ricalca il modello: prima fase fredda con indice di coronene basso (suggerendo un riscaldamento a bassa temperatura di solfuri), seguita da una fase calda con indice medio. Qui, la Provincia Magmatica dell’Atlantico Centrale (CAMP) ha giocato un ruolo da protagonista.
Infine, l’estinzione del Cretaceo-Paleogene (K-Pg), quella dell’asteroide di Chicxulub. L’impatto stesso avrebbe causato un riscaldamento ad altissima temperatura delle rocce bersaglio, liberando fuliggine e SO2 (o meglio, SO3, triossido di zolfo) e portando a un raffreddamento (indice di coronene alto). Poi, il riscaldamento successivo (indice medio) potrebbe essere legato al CO2 rilasciato dall’impatto o dalle contemporanee eruzioni dei Trappi del Deccan in India.
Perché questo Schema Raffreddamento-Riscaldamento?
La transizione nelle temperature di riscaldamento delle rocce potrebbe essere dovuta a un cambiamento nello stile dell’attività vulcanica. Ad esempio, si potrebbe passare da un metamorfismo da contatto dovuto a filoni-strato (sills) che si insinuano in rocce sedimentarie ricche di zolfo (causando il rilascio di SO2 e quindi raffreddamento) a eruzioni magmatiche dirette che liberano più CO2 (portando al riscaldamento). Nel caso del K-Pg, l’impatto è l’evento iniziale, seguito forse da un’intensificazione del vulcanismo o dal lento rilascio di CO2 intrappolato. È interessante notare che anche il mercurio (Hg), spesso associato al vulcanismo, mostra picchi in corrispondenza di queste crisi, suggerendo che le temperature di rilascio dell’Hg (circa 265-300 °C) siano inferiori a quelle necessarie per la massiccia produzione di SO2 e CO2, ma comunque indicative di un “forno geologico” in azione.
L’Impatto sulla Vita: Quando il Termostato Impazzisce
La maggior parte degli animali marini e terrestri, poveretti, può sopravvivere in un intervallo di temperatura che va, grosso modo, dai 10 ai 40 °C. Un calo di temperatura globale di circa 10 °C, come stimato per le prime fasi di queste estinzioni, avrebbe reso invivibili le alte e medie latitudini. Immaginate un clima da 37°N (tipo la California o il Mediterraneo) che diventa improvvisamente glaciale. Le specie che vivevano lì non avrebbero avuto scampo.
Al contrario, un aumento della temperatura globale fino a circa 30 °C (o addirittura 36 °C durante la fine del Permiano) avrebbe superato la soglia di tolleranza per molte specie tropicali, causando estinzioni soprattutto a basse latitudini. Questo spiegherebbe perché le fasi di raffreddamento sembrano essere state più letali: hanno colpito aree geograficamente più vaste. Le fasi di riscaldamento, pur essendo devastanti, forse hanno avuto un impatto leggermente meno catastrofico in termini di percentuali globali di estinzione, tranne nel caso estremo del Permiano.
Questo modello a due stadi “raffreddamento-riscaldamento” sembra quindi spiegare non solo la tempistica ma anche la geografia delle estinzioni. È come se il pianeta avesse prima messo la vita in un congelatore e poi l’avesse gettata in una fornace. Un promemoria piuttosto forte di quanto possa essere fragile l’equilibrio climatico e di come eventi geologici apparentemente distanti possano avere conseguenze globali. Studiando queste antiche apocalissi, forse possiamo imparare qualcosa di utile anche per il nostro presente, non credete?
Fonte: Springer