Massa Grassa e Cervello negli Anziani: Un Legame da Non Sottovalutare!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha fatto riflettere parecchio, un argomento che tocca da vicino la salute di molti, specialmente con l’avanzare dell’età: il legame tra il nostro grasso corporeo e come funziona il nostro cervello. Sì, avete capito bene! Sembra che quella “pancetta” o quei chili di troppo non siano solo una questione estetica o di rischio per il cuore, ma potrebbero avere un impatto diretto sulle nostre capacità cognitive, soprattutto per noi maschietti in età più avanzata.
Recentemente mi sono imbattuto in uno studio molto interessante, pubblicato su Springer, che ha analizzato proprio questa connessione. Il titolo originale è “Association between relative fat mass and cognitive function among US older men: NHANES 2011–2014”. Cerchiamo di capirci qualcosa di più, con parole semplici.
Cos’è questa Massa Grassa Relativa (RFM)?
Prima di tutto, chiariamo un attimo i termini. Avete presente l’Indice di Massa Corporea (IMC), quel calcolo che si fa con peso e altezza? Ecco, per anni è stato il nostro faro per capire se eravamo in sovrappeso o obesi. Però, diciamocelo, l’IMC ha i suoi limiti: non distingue tra massa grassa e massa muscolare. Un culturista potrebbe risultare obeso secondo l’IMC, pur avendo pochissimo grasso!
Qui entra in gioco la Massa Grassa Relativa (RFM). È una metrica più nuova, pensata per darci una stima più precisa della percentuale di grasso corporeo totale negli adulti. Per gli uomini, si calcola usando la circonferenza vita e l’altezza. L’idea è che sia più accurata dell’IMC nel dirci quanta “ciccia” abbiamo addosso, e questo è fondamentale quando si studiano gli effetti sulla salute.
Lo Studio: Cosa Hanno Fatto i Ricercatori?
I ricercatori hanno messo sotto la lente i dati di ben 1.321 uomini americani dai 60 anni in su, raccolti tra il 2011 e il 2014 nell’ambito di un grosso programma di sorveglianza sanitaria chiamato NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey). Un bel campione, non c’è che dire!
Per valutare le loro funzioni cognitive, hanno usato tre test ben noti agli addetti ai lavori:
- Il CERAD-WL (Consortium to Establish a Registry for Alzheimer’s Disease Word Learning Test): misura la capacità di apprendere e ricordare parole, sia immediatamente che dopo un certo lasso di tempo. Immaginate di dover memorizzare una lista della spesa e ripeterla subito, e poi di nuovo dopo mezz’ora.
- L’AFT (Animal Fluency Test): qui si chiede ai partecipanti di nominare quanti più animali possibili in un tempo limitato. Sembra facile, ma dice molto sulla fluidità del linguaggio e sulla capacità di recuperare informazioni dalla memoria.
- Il DSST (Digit Symbol Substitution Test): questo test mette alla prova attenzione, concentrazione, velocità di elaborazione delle informazioni e coordinazione occhio-mano. Bisogna associare dei simboli a dei numeri il più velocemente possibile.
Per avere un quadro generale, hanno poi combinato i punteggi standardizzati di questi tre test in un unico valore, chiamato Z-score. Più alto è lo Z-score, meglio è.
I Risultati: Attenzione alla Bilancia (e al Metro!)
E qui viene il bello, o meglio, il punto che ci deve far drizzare le antenne. Dopo aver analizzato tutti i dati, tenendo conto di altri fattori come età, livello di istruzione, reddito, abitudine al fumo e al bere, e presenza di malattie come ipertensione o diabete, è emersa una correlazione negativa piuttosto chiara.
In parole povere: più alta era la Massa Grassa Relativa (RFM), più bassi tendevano ad essere i punteggi nei test cognitivi, in particolare nel CERAD-WL (quello delle parole) e nel DSST (quello dei simboli e numeri), e di conseguenza anche nello Z-score generale. Per ogni punto in più di RFM, si osservava un calo nei punteggi di questi test. Ad esempio, per il DSST, si parla di una diminuzione di 0.83 punti per ogni unità di RFM in più. Non sembra tantissimo, ma goccia dopo goccia…
Un altro dato interessante è che questa correlazione negativa diventava ancora più marcata quando l’RFM superava una certa soglia. Per lo Z-score generale, questa “soglia critica” è stata identificata a 35.78. Superato questo valore, l’impatto negativo sulla funzione cognitiva sembrava accentuarsi.
Pensateci: gli uomini nel quartile più alto di RFM (cioè quelli con più grasso) avevano risultati peggiori rispetto a quelli nel quartile più basso. È come se un eccesso di grasso corporeo mettesse un freno alle nostre capacità mentali.
Perché il Grasso Potrebbe Danneggiare il Cervello?
Ma perché il grasso dovrebbe fare questi scherzetti al nostro cervello? I meccanismi precisi sono ancora oggetto di studio, ma ci sono diverse ipotesi plausibili, e probabilmente interconnesse:
- Infiammazione cronica: L’obesità è spesso associata a uno stato di infiammazione costante e di basso grado in tutto il corpo. Il tessuto adiposo, specialmente quello addominale, non è solo un deposito di energia, ma produce sostanze pro-infiammatorie (le famose citochine). Questa infiammazione sistemica può raggiungere il cervello, causando stress ossidativo e danni neuronali, compromettendo così le funzioni cognitive.
- Resistenza all’insulina: L’obesità va spesso a braccetto con l’insulino-resistenza, una condizione in cui le cellule del corpo rispondono meno efficacemente all’insulina. L’insulina non è importante solo per regolare gli zuccheri nel sangue, ma ha anche un ruolo nel cervello. Alterazioni nella sua segnalazione possono portare a una ridotta attività neuronale e a deficit cognitivi.
- Fattori vascolari: Sappiamo bene che l’obesità è un fattore di rischio per ipertensione, dislipidemia (grassi “sballati” nel sangue) e aterosclerosi (le arterie che si “incrostano”). Questi problemi possono ridurre il flusso di sangue al cervello e compromettere l’integrità della barriera emato-encefalica (una specie di filtro super selettivo che protegge il nostro cervello). Meno sangue e ossigeno al cervello significa meno “benzina” per i neuroni.
- Sregolazione ormonale: L’obesità altera i livelli di ormoni come la leptina (che regola la sazietà) e l’adiponectina (coinvolta nel metabolismo del glucosio e dei grassi), che hanno anch’essi un impatto sulla funzione cerebrale e sulla plasticità sinaptica (la capacità del cervello di adattarsi e imparare).
Insomma, un bel pasticcio che, partendo dal grasso in eccesso, può arrivare a creare problemi seri lassù, nella nostra “sala di controllo”.
Chi è Più a Rischio?
Lo studio ha anche evidenziato che l’associazione tra RFM e funzione cognitiva non è uguale per tutti. Fattori come il livello di istruzione, il rapporto povertà-reddito (PIR), lo stato di fumatore e di bevitore sembravano influenzare significativamente questa relazione. Questo suggerisce che lo stile di vita e le condizioni socio-economiche possono giocare un ruolo nel modulare l’impatto del grasso corporeo sulla salute del cervello.
Cosa Ci Portiamo a Casa?
Anche se questo studio, essendo trasversale (cioè fotografa la situazione in un dato momento), non può stabilire un rapporto di causa-effetto definitivo, i risultati sono piuttosto eloquenti. Ci dicono che una Massa Grassa Relativa elevata è associata a una peggiore funzione cognitiva negli uomini anziani. E questo è un campanello d’allarme importante.
La buona notizia? L’RFM è un fattore modificabile! Questo significa che intervenire per ridurre il grasso corporeo in eccesso – attraverso una dieta equilibrata, attività fisica regolare e altri cambiamenti nello stile di vita – potrebbe non solo migliorare la nostra salute fisica generale, ma anche offrire un vantaggio significativo nel preservare le nostre preziose capacità cognitive con l’avanzare degli anni.
Certo, i ricercatori stessi sottolineano che servono ulteriori studi, magari longitudinali (che seguono le persone nel tempo) e che includano anche le donne, per confermare questi risultati e capire meglio i meccanismi. Però, il messaggio mi sembra chiaro: prendersi cura del proprio corpo, mantenendo il grasso a livelli sani, è un investimento anche per la salute della nostra mente. E non è mai troppo tardi per iniziare!
Quindi, la prossima volta che pensate alla dieta o all’esercizio fisico, non fatelo solo per la “prova costume” o per il cuore. Fatelo anche per il vostro cervello. Ne vale decisamente la pena!
Fonte: Springer