Paesaggio grandangolare mozzafiato del bacino del fiume Teesta nell'Himalaya, 10mm wide-angle, con versanti montuosi ripidi e vegetazione lussureggiante, ma con aree visibili di instabilità geologica come pendii nudi e cicatrici di frane, luce dorata dell'alba, messa a fuoco nitida, acqua del fiume liscia per lunga esposizione.

Frane sull’Himalaya: Viaggio nel Cuore del Rischio nel Bacino del Teesta per un Futuro Sostenibile

Ciao a tutti! Avete mai pensato a quanto possano essere maestose e allo stesso tempo incredibilmente fragili le montagne? Io sì, e oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, ma anche un po’ preoccupante, nel cuore dell’Himalaya, precisamente nel bacino del fiume Teesta, in India. Parleremo di frane, un pericolo naturale che qui è di casa, e di come, armati di tecnologia e statistica, stiamo cercando di capire dove colpirà la prossima volta, non solo per salvare vite e proprietà, ma anche per proteggere l’incredibile ecosistema di questa regione.

Perché proprio il Bacino del Teesta?

Immaginate un fiume potente, il Teesta, che si fa strada tra le vette himalayane nel Sikkim. Un paesaggio mozzafiato, vero? Purtroppo, è anche un’area geologicamente giovane e attiva, con pendii ripidi e piogge monsoniche torrenziali. Aggiungeteci l’impatto umano – strade scavate sui fianchi delle montagne, dighe, deforestazione – e avrete la ricetta perfetta per le frane. Qui, questi eventi non sono eccezioni, ma una triste realtà annuale, specialmente tra luglio e settembre. Pensate che nel 1968, una serie di frane ha causato la morte di oltre 35.000 persone! E ancora oggi, ogni anno, si contano danni enormi e, purtroppo, vittime. La vulnerabilità di quest’area è palpabile, e l’impatto sull’ambiente locale, sulla sua biodiversità, è devastante. Ecco perché studiare quest’area è così cruciale.

Detective della Natura: Come Mappiamo il Pericolo

Come facciamo a prevedere dove una frana potrebbe verificarsi? Non abbiamo una sfera di cristallo, ma abbiamo strumenti potentissimi: il GIS (Geographic Information System) e modelli statistici. Pensate al GIS come a un sistema avanzatissimo per creare mappe digitali sovrapponendo diversi strati di informazioni. Nel nostro caso, abbiamo raccolto dati su ben 14 fattori che pensiamo influenzino le frane. È stato un vero lavoro da detective!

Quali sono questi “indizi”? Eccoli qui, divisi per categorie:

  • Fattori morfometrici: l’altitudine, la pendenza dei versanti (più è ripido, più è rischioso!), l’esposizione del versante al sole e al vento (aspect), la densità dei fiumi e dei torrenti.
  • Fattori geologici: la vicinanza a linee di faglia (lineament density), il tipo di roccia (surface geology), la forma del terreno (geomorphology), e persino la tessitura del suolo (soil texture). Un suolo sabbioso, ad esempio, è meno coeso e più incline a scivolare.
  • Fattori ambientali: la quantità di vegetazione (misurata con un indice chiamato NDVI – più vegetazione c’è, più il terreno è stabile), l’uso del suolo (foreste, campi coltivati, aree urbane – LULC), la vicinanza alle strade (spesso le costruzioni stradali destabilizzano i pendii).
  • Altri fattori scatenanti: le precipitazioni medie annue (la pioggia è uno dei principali “grilletti”!) e la vicinanza all’epicentro di terremoti passati (le scosse indeboliscono le rocce).

Abbiamo anche creato un inventario dettagliato di 1960 frane già avvenute, usando questi dati storici per “allenare” il nostro modello statistico.

Fotografia macro di diverse texture del suolo himalayano e strati rocciosi esposti, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli, lente macro 100mm, alta definizione, che illustra i fattori geologici che contribuiscono alle frane.

Il Modello Matematico: La Regressione Logistica Binaria

Ok, abbiamo raccolto tutti gli indizi. E adesso? Abbiamo usato un metodo statistico chiamato Regressione Logistica Binaria (LR). Non spaventatevi per il nome! In parole semplici, questo modello ci aiuta a calcolare la probabilità (un valore tra 0 e 1) che una frana si verifichi in un determinato punto, basandosi sulla combinazione di tutti quei 14 fattori che abbiamo misurato. Se la probabilità è vicina a 1, il rischio è altissimo; se è vicina a 0, il rischio è basso.

Prima di dare in pasto i dati al modello, abbiamo fatto un controllo importante: la multicollinearità. Sembra una parolaccia, ma significa solo verificare che i nostri 14 fattori non fossero troppo simili tra loro, altrimenti avrebbero “confuso” il modello. Fortunatamente, i test (VIF e TOL, per i più tecnici) hanno dato esito positivo: ogni fattore portava informazioni utili e distinte. Il modello ha poi analizzato la relazione tra la presenza/assenza di frane passate (il nostro database di 1960 eventi) e i valori dei 14 fattori in quei punti, calcolando dei “pesi” (coefficienti) per ciascun fattore. Curiosamente, alcuni fattori come l’esposizione del versante o la curvatura del pendio hanno mostrato una correlazione negativa, mentre altri come la pendenza, la pioggia, la vicinanza a faglie e strade, e certe caratteristiche geomorfologiche e litologiche sono risultati positivamente correlati al rischio.

La Mappa della Vulnerabilità: Dove il Rischio è Maggiore

E finalmente, il risultato! Abbiamo ottenuto una mappa della suscettibilità alle frane (LSM) per l’intero bacino superiore del Teesta. L’abbiamo divisa in cinque zone, con colori diversi, per indicare il livello di rischio:

  • Molto Basso
  • Basso
  • Moderato
  • Alto
  • Molto Alto

La notizia più importante? Circa il 41% dell’area studiata (quasi 2000 km²) ricade nella zona a rischio “Molto Alto”. Queste aree si concentrano soprattutto nelle parti centrali e orientali del bacino (zone come Lachen, Lachung, Gangtok). Ed è proprio qui che si è verificato il 91% delle frane storiche che avevamo registrato! Le zone ad “Alto” rischio coprono un altro 16% del territorio, principalmente a sud. Le aree a rischio basso e molto basso si trovano per lo più nella parte settentrionale, spesso ad altitudini elevate e con copertura nevosa perenne.

Mappa GIS stilizzata del bacino del Teesta con aree colorate che indicano i cinque livelli di vulnerabilità alle frane (dal blu/verde per basso rischio al rosso/arancione per alto rischio), sovrapposta a un rilievo topografico 3D.

Ma quanto è affidabile questa mappa? Abbiamo usato una tecnica chiamata curva ROC (Receiver Operating Characteristic) per validare il nostro modello, usando il 30% dei dati sulle frane che avevamo tenuto da parte. Il risultato? Un valore AUC (Area Under the Curve) di 0.836. Questo significa che il nostro modello ha un’accuratezza dell’83,6% nel distinguere le aree a rischio da quelle sicure. Niente male, direi!

Non Solo Mappe: Proteggere l’Ecosistema e le Persone

A cosa serve tutto questo lavoro, vi chiederete? Non è solo un esercizio accademico per creare mappe colorate. Questa mappatura è uno strumento fondamentale per la gestione sostenibile dell’ecosistema e per la pianificazione territoriale. Le frane non distruggono solo case e strade; devastano foreste, inquinano fiumi, frammentano habitat naturali, mettendo a rischio la straordinaria biodiversità dell’Himalaya. Un ecosistema fragile, una volta danneggiato, fa fatica a riprendersi.

Questa mappa ci dice dove intervenire con priorità. Ci indica le aree dove è più urgente:

  • Costruire opere di difesa, come muri di contenimento.
  • Implementare programmi di rimboschimento e rivegetazione per stabilizzare i pendii.
  • Monitorare costantemente le aree più critiche.
  • Regolamentare le attività umane, specialmente costruzioni e scavi.
  • Sviluppare piani di evacuazione e sistemi di allerta precoce per le comunità locali.
  • Promuovere pratiche di gestione integrata del bacino idrografico e l’eco-turismo.
  • Educare e sensibilizzare la popolazione locale sul rischio e sulle buone pratiche.

Fotografia di un progetto di rimboschimento su un pendio himalayano precedentemente colpito da frana, persone che piantano giovani alberi, teleobiettivo 200mm, luce solare diffusa, action tracking.

Uno Sguardo al Futuro

Il nostro studio sulla vulnerabilità alle frane nel bacino del Teesta è un passo importante. Dimostra come la scienza e la tecnologia possano aiutarci a comprendere e mitigare i rischi naturali in ambienti complessi come l’Himalaya. Ma è solo l’inizio. C’è bisogno di un impegno continuo da parte di ricercatori, autorità locali, nazionali e internazionali, e delle comunità stesse. Dobbiamo lavorare insieme per implementare strategie efficaci, monitorare i cambiamenti e adattarci a un ambiente in continua evoluzione, anche a causa dei cambiamenti climatici globali. Proteggere il bacino del Teesta significa proteggere le persone che ci vivono, il loro futuro e un patrimonio naturale di inestimabile valore per tutti noi. È una sfida enorme, ma con la conoscenza e la volontà, possiamo affrontarla.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *