Alluvioni nel Gange: Decifrare il Rischio per Proteggere le Comunità
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema tanto affascinante quanto, purtroppo, drammatico: le alluvioni. Sappiamo tutti che l’acqua è vita, e le inondazioni, specialmente in certe aree del mondo come le pianure alluvionali e i delta, possono persino rendere i terreni più fertili, aiutando l’agricoltura. Ma c’è un rovescio della medaglia, ed è pesante: le alluvioni sono anche tra i disastri naturali più devastanti. Mettono a rischio vite umane, distruggono case ed economie intere, e lasciano cicatrici profonde sull’ambiente.
Il Problema: Quando l’Acqua Diventa Nemica
Prendiamo ad esempio la regione del basso bacino del fiume Dwarkeswar, in particolare l’area del Ghatal CD Block nel West Medinipur, Bengala Occidentale, in India. Qui, le alluvioni non sono un evento eccezionale, ma una triste realtà che si ripete quasi ogni anno. Immaginate di vivere con la costante preoccupazione che il fiume vicino possa rompere gli argini. È chiaro che capire *dove* e *quanto* il rischio è alto diventa fondamentale per poter mettere in campo strategie efficaci per ridurre questo pericolo.
Ecco perché mi sono appassionato a studi come quello che vi racconto oggi. L’obiettivo? Creare una mappa dettagliata del rischio alluvionale in quest’area specifica della pianura interfluviale del Gange. Non si tratta solo di guardare dove l’acqua potrebbe arrivare, ma di capire l’intera equazione del rischio.
Come Si Mappa un Rischio Così Complesso?
Per affrontare questa sfida, abbiamo usato strumenti potenti come il GIS (Geographic Information System), che ci permette di analizzare dati geografici, e un metodo chiamato AHP (Analytical Hierarchy Process). L’AHP è una tecnica che ci aiuta a “pesare” l’importanza di diversi fattori quando dobbiamo prendere decisioni complesse. In pratica, abbiamo combinato due pezzi del puzzle:
- Il Pericolo (Hazard): Ovvero, quanto è probabile che un’area venga inondata e con quale intensità? Per capirlo, abbiamo analizzato un sacco di fattori:
- L’altitudine: Le zone più basse sono ovviamente più a rischio.
- La pendenza del terreno: Dove è piatto, l’acqua ristagna più facilmente.
- La piovosità media annua: Più piove, maggiore è il rischio.
- La distanza dai fiumi: Vivere vicino a un fiume aumenta l’esposizione.
- L’accumulo di flusso: Dove converge l’acqua che scorre dalle aree circostanti?
- La copertura vegetale (NDVI): La vegetazione aiuta ad assorbire l’acqua. Meno ce n’è, peggio è.
- Altri indici topografici come la curvatura del terreno, l’indice di umidità topografica (TWI), l’indice di posizione topografica (TPI) e l’indice di rugosità topografica (TRI), che ci danno informazioni dettagliate su come l’acqua si muove e si accumula sul territorio.
- La litologia: Il tipo di roccia e suolo influenzano l’infiltrazione dell’acqua.
- La Vulnerabilità: Ovvero, quanto sono “fragili” le persone e le infrastrutture che vivono in quell’area? Qui entrano in gioco fattori socio-economici:
- La densità di popolazione e la densità abitativa: Dove vivono più persone concentrate, il danno potenziale è maggiore.
- Il tasso di alfabetizzazione: Una popolazione più istruita è generalmente più consapevole dei rischi e preparata ad affrontarli.
- La popolazione infantile e il rapporto tra i sessi: Bambini e, in molte culture, donne possono essere più vulnerabili durante un’emergenza.
- La popolazione lavoratrice: Può indicare una maggiore capacità economica di ripresa.
- La presenza e distanza da strutture mediche: Essenziale per la risposta all’emergenza.
- La densità e distanza dalle strade: Cruciali per l’evacuazione e i soccorsi.

Combinando tutti questi elementi, usando la “magia” dell’AHP per dare il giusto peso a ciascun fattore basandosi su studi precedenti e sul contesto locale, siamo riusciti a creare non solo una mappa del pericolo, ma anche una mappa della vulnerabilità.
L’AHP: Dare un Peso alle Cose
Vi spiego brevemente come funziona l’AHP in questo contesto. Immaginate di dover decidere qual è il fattore più importante per il pericolo di alluvione tra, diciamo, l’altitudine e la piovosità. L’AHP ci permette di confrontarli a coppie (“Quanto è più importante l’altitudine rispetto alla piovosità? Molto? Poco? Uguale?”) usando una scala numerica. Facendo questo per tutte le coppie di fattori (sia per il pericolo che per la vulnerabilità), otteniamo una “classifica” ponderata, dei pesi che ci dicono quanto ogni fattore contribuisce al rischio complessivo. È un metodo semi-quantitativo che cerca di rendere oggettivo un processo decisionale complesso. E, cosa importante, si fa anche un controllo di coerenza (il famoso CR, Consistency Ratio) per essere sicuri che i giudizi espressi siano logici tra loro. Nel nostro caso, i valori di CR erano ottimi (0.059 per il pericolo e 0.049 per la vulnerabilità, ben sotto la soglia critica di 0.10), il che ci dà fiducia nei pesi assegnati.
I Risultati: La Mappa del Rischio Svelata
E quindi, cosa ci dicono le mappe finali? Moltiplicando i punteggi di pericolo e vulnerabilità per ogni area, abbiamo ottenuto la mappa del rischio complessivo, divisa in cinque classi: rischio molto basso, basso, moderato, alto e molto alto.
I risultati sono chiari: circa il 36% dell’area studiata ricade nelle zone a rischio alto e molto alto. Queste aree si concentrano soprattutto nella parte sud-orientale del Ghatal block, in particolare nella zona tra i fiumi Dwarkeswar e Shilabati. Località come Ghatal stessa, Erpala e Mansuka sono emerse come particolarmente critiche. Qui si combinano bassa altitudine, pendenza minima, vicinanza ai fiumi (e alla loro confluenza, dove l’acqua può “tornare indietro”), a volte scarsa vegetazione dovuta all’urbanizzazione, e spesso alta densità di popolazione e infrastrutture vulnerabili.
Dall’altra parte, circa un altro 36% dell’area è a rischio basso o molto basso. Si tratta principalmente della parte occidentale del blocco, come i villaggi di Birsingha, Sultanpur e Dewanchak. Qui il terreno è leggermente più elevato, a volte più ondulato, con più vegetazione e magari una minore densità abitativa. Il restante 28% si colloca in una fascia di rischio moderato.

Ma Funziona Davvero? La Prova sul Campo (e dal Cielo)
Una mappa è utile solo se è affidabile. Come abbiamo verificato i nostri risultati? In due modi principali:
1. Verifica sul Terreno (Ground Truth): Abbiamo raccolto dati da 42 località specifiche all’interno dell’area di studio dove si erano verificate inondazioni (survey primario). Abbiamo confrontato queste informazioni reali con la nostra mappa del pericolo usando una tecnica statistica chiamata curva ROC (Receiver Operating Characteristic). Il risultato? Un’area sotto la curva (AUC) di 0.752. In parole povere, un valore sopra 0.7 è considerato buono, quindi il nostro modello ha dimostrato una buona capacità predittiva.
2. Confronto con Dati Satellitari: Abbiamo usato immagini satellitari (Landsat 8) per creare una mappa dell’inondazione effettiva avvenuta in un evento passato (agosto 2021), usando un indice chiamato NDWI (Normalized Difference Water Index) che evidenzia le aree coperte d’acqua. Confrontando questa mappa reale con la nostra mappa del pericolo, abbiamo visto una forte correlazione: le aree che avevamo identificato come ad alto e molto alto pericolo corrispondevano in gran parte a quelle effettivamente inondate. Ad esempio, circa il 20% dell’area inondata ricadeva nella nostra zona a “pericolo molto alto” e il 29% in quella a “pericolo alto”.
Queste validazioni ci dicono che il modello AHP+GIS, pur con i suoi limiti, funziona e fornisce una rappresentazione realistica del rischio.
Perché Tutto Questo è Importante?
Capire dove il rischio è maggiore permette di agire in modo mirato. Queste mappe non sono solo esercizi accademici, ma strumenti preziosi per:
- Pianificatori territoriali: Per decidere dove costruire (e dove non farlo).
- Autorità locali e protezione civile: Per preparare piani di evacuazione, sistemi di allerta precoce (early warning) e allocare risorse per la prevenzione (come migliorare gli argini o i sistemi di drenaggio).
- Comunità locali: Per aumentare la consapevolezza e promuovere azioni di resilienza dal basso.
Certo, ci sono dei limiti. La qualità dei dati di partenza (come la risoluzione del modello digitale del terreno – DEM) è fondamentale. L’AHP introduce un elemento di soggettività nella pesatura dei fattori, anche se mitigato dal controllo di coerenza. E condurre survey durante un’alluvione reale è spesso impossibile per motivi di sicurezza.

Il futuro potrebbe vedere l’integrazione di tecniche di machine learning o modelli idrologici in tempo reale per migliorare ulteriormente la precisione. Ma già così, questo tipo di analisi rappresenta un passo avanti enorme.
In conclusione, affrontare il rischio alluvioni, specialmente in un contesto complesso come la pianura del Gange e con i cambiamenti climatici che intensificano questi eventi, richiede conoscenza e strumenti adeguati. Mappare il pericolo e la vulnerabilità, come abbiamo visto fare per l’area di Ghatal, è un passo cruciale per passare da una gestione dell’emergenza a una vera cultura della prevenzione e della resilienza. Solo così possiamo sperare di convivere con la potenza dell’acqua, minimizzandone gli impatti distruttivi e proteggendo le vite e il futuro delle comunità.
Fonte: Springer
