Visualizzazione 3D fotorealistica di una rete neurale complessa nel cervello di un mammifero, ricostruita con la tecnica LICONN, obiettivo prime 35mm, con dettagli di assoni, dendriti e sinapsi evidenziati da marcatori fluorescenti, profondità di campo.

Acciai e Saldature: Il Mistero delle Cricche da Rinvenimento Svelato!

Ciao a tutti, appassionati di metallurgia e dintorni! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante (e un po’ insidioso) nel mondo degli acciai speciali, quelli che devono resistere a condizioni estreme. Parliamo degli acciai Cr-Mo-V, bestioni di resistenza usati per recipienti a pressione con pareti spesse, tipo quelli che si trovano nell’industria petrolchimica. Immaginatevi hydrocracker o impianti di desolforazione: lì dentro, temperature e pressioni sono da capogiro!

La Sfida della Saldatura e il Fantasma delle Cricche

Per unire queste piastre spesse, si usa spesso la saldatura ad arco sommerso (SAW), una tecnica super efficiente. Ma c’è un “ma”, grosso come una casa. Dopo la saldatura, è d’obbligo un trattamento termico post-saldatura (il famoso PWHT). Questo serve a ridare tenacità al giunto e a ridurre le tensioni residue. Bello, no? Peccato che, se non fatto a regola d’arte, possa spuntare un ospite indesiderato: la cricca da rinvenimento (Stress Relief Cracking o SRC). Un vero incubo per chi lavora con questi materiali!

Le linee guida attuali per il PWHT, che specificano velocità di riscaldamento e tempi di mantenimento a una certa temperatura, derivano da un mix di esperienza pratica e test su saldature che si restringono liberamente. Ma cosa succede quando la saldatura è “vincolata”, cioè non può restringersi come vorrebbe? È quello che abbiamo voluto indagare.

Il Nostro Esperimento: Mettere sotto Stress l’Acciaio

Nel nostro studio, ci siamo concentrati proprio sull’effetto combinato della velocità di riscaldamento del PWHT in condizioni di ritiro libero rispetto a quelle di ritiro vincolato. Abbiamo preso delle piastre di acciaio 13CrMoV9-10 spesse 25 mm e le abbiamo saldate. Alcune potevano “respirare” liberamente durante il PWHT, altre erano bloccate, simulando la rigidità di un componente reale. Abbiamo variato le velocità di riscaldamento e le temperature massime raggiunte durante il trattamento.

Per non farci mancare nulla, abbiamo usato l’analisi dell’emissione acustica (AE) in situ. Immaginatevela come delle “orecchie bioniche” capaci di sentire le cricche mentre si formano e propagano durante il PWHT. Poi, via di misurazioni di durezza, prove di resilienza Charpy (per vedere quanto è “tosto” il materiale) e analisi della microstruttura per capire cosa diavolo stesse succedendo a livello microscopico.

Risultati a Sorpresa: Non è (Solo) Colpa della Velocità di Riscaldamento

E qui viene il bello. I risultati ci hanno un po’ spiazzato. Sembra che l’influenza della velocità di riscaldamento non sia direttamente collegabile alla formazione delle SRC. Piuttosto, la microstruttura iniziale della saldatura, prima del PWHT, gioca un ruolo molto più cruciale. In particolare, parliamo della durezza elevatissima nella zona termicamente alterata a grana grossa (la famigerata CGHAZ), specialmente quella degli ultimi cordoni depositati nello strato superficiale della saldatura.

Abbiamo avuto un caso emblematico: una SRC è comparsa, in modo quasi casuale e inaspettato, in un solo campione, e proprio con una velocità di riscaldamento comunemente usata nella pratica industriale (circa 100 K/h). Questo ci ha fatto riflettere.

Macro fotografia di una saldatura SAW su acciaio Cr-Mo-V, con evidenza della zona termicamente alterata (ZTA) a grana grossa. Luce controllata, alta definizione, obiettivo macro 90mm, per evidenziare la microstruttura e le diverse zone del cordone di saldatura.

Il punto è che l’effetto aggiuntivo di un vincolo esterno al ritiro deve essere preso seriamente in considerazione. Questo vincolo genera carichi meccanici crescenti durante la saldatura, carichi che normalmente non rientrano nelle simulazioni standard. Quindi, per ridurre la probabilità di SRC durante il PWHT, sembra imperativo diminuire l’apporto termico durante la saldatura e limitare il più possibile il vincolo strutturale al ritiro del giunto saldato.

Fattori in Gioco: Un Puzzle Complesso

La formazione di SRC è un fenomeno davvero poliedrico, influenzato da fattori specifici del componente, termici e metallurgici. Sappiamo che un apporto termico di saldatura elevato spesso porta a maggiori tensioni residue. Anche il preriscaldo e la temperatura tra le passate hanno il loro peso. Limitare le tensioni residue è una strategia empiricamente valida, ad esempio con trattamenti termici di distensione intermedi durante la saldatura. Tuttavia, a volte non basta a spiegare la comparsa sporadica e casuale di queste cricche.

L’apporto termico influenza la microstruttura della saldatura, come la CGHAZ. Il successivo PWHT modifica ulteriormente questa microstruttura, in particolare la precipitazione dei carburi. Le SRC si sviluppano durante il PWHT a causa della formazione e crescita di carburi, ad esempio sui bordi dei grani austenitici precedenti, portando a un leggero aumento della durezza o a un raddolcimento ritardato, accompagnato da una diminuzione della tenacità. Questo può aumentare la suscettibilità della CGHAZ alle SRC. Ecco perché, nelle saldature multipass, gli ultimi cordoni sono le zone più critiche.

Si è tentato di riassumere gli elementi che contribuiscono alla SRC con vari fattori (Bruscato, J-factor, K-factor), ma da soli non bastano. Spesso, la durezza dipendente dalla temperatura è vista come un valore “facile da ottenere” per caratterizzare la sensibilità alla SRC.

Il Ruolo del Vincolo Esterno

Oltre alle inevitabili tensioni residue locali, la suscettibilità alla SRC dipende direttamente dai carichi meccanici locali durante la saldatura. Qui entra in gioco il cosiddetto ritiro impedito dovuto a vincoli esterni. Una struttura saldata rigida (come un componente a parete spessa) genera ulteriori forze/tensioni di reazione globali, specifiche del componente e indotte strutturalmente, e momenti flettenti che si sovrappongono alle tensioni residue locali. Se ci mettete anche la saldatura multistrato, si arriva a una distribuzione di tensioni multiassiale che può essere difficile da valutare.

Per i nostri test, abbiamo usato una struttura imponente, un impianto di prova da 2 MN, per simulare condizioni di bloccaggio realistiche per strutture a parete spessa, coinvolgendo direttamente i processi di saldatura e PWHT. Questo ci ha permesso di applicare e misurare le forze di reazione che si sviluppano.

Immagine di un impianto di prova da 2MN con un campione di acciaio saldato Cr-Mo-V montato, pronto per un test di PWHT sotto vincolo esterno. Dettagli dell'attrezzatura idraulica e dei sensori di forza, illuminazione industriale, obiettivo grandangolare 24mm per mostrare la scala dell'esperimento e la complessità del setup.

Analisi Dettagliate: Durezza e Microstruttura

Abbiamo mappato la durezza (con la tecnica UCI, misurando HV0.5) su intere sezioni di saldatura. Questo ci ha permesso di identificare con precisione le zone CGHAZ dell’ultimo strato di saldatura, quelle più critiche.
Cosa abbiamo visto?

  • Per una velocità di riscaldamento costante e una temperatura massima di PWHT (interrotta a 600 °C), un apporto termico di saldatura “Q” più elevato ha portato a una durezza mediamente moderata, ma con picchi locali di durezza significativamente più alti nella CGHAZ. Questo sottolinea l’importanza dei cambiamenti locali di durezza.
  • Per un apporto termico costante e una temperatura massima di 600 °C, la durezza media è aumentata rispetto alla condizione “as-welded” (AW, cioè come saldato), indipendentemente dalla velocità di riscaldamento.
  • Nelle condizioni di vincolo esterno (ER), la durezza è diminuita rispetto alla condizione AW, ma qui la temperatura massima del PWHT era di 500 °C. Questo suggerisce che l’effetto combinato di PWHT e vincolo deve essere distinto più precisamente: la velocità di riscaldamento “Φ” ha un effetto meno pronunciato rispetto all’effetto significativo della temperatura massima (500 °C vs 600 °C) sulla durezza.

In sintesi, l’apporto termico di saldatura “Q” ha avuto un impatto sostanziale sulla durezza della CGHAZ, seguito dal comportamento individuale a una data temperatura durante il riscaldamento del PWHT. La velocità di riscaldamento “Φ” ha mostrato un effetto insignificante.

Abbiamo anche esaminato la microstruttura con microscopia elettronica a trasmissione a scansione (STEM) su campioni CGHAZ simulati fisicamente. Non abbiamo osservato differenze distinguibili nella microstruttura della CGHAZ (che era bainitico-martensitica con alta densità di carburi) tra le diverse velocità di riscaldamento, anche con un carico uniassiale applicato per simulare il vincolo esterno. Le differenze nella concentrazione dei precipitati erano molto localizzate e non direttamente osservabili.

Resilienza e Ascolto delle Cricche

Le prove di resilienza Charpy, eseguite a -30 °C su campioni prelevati dalla CGHAZ in condizione di ritiro libero (FS), non hanno mostrato un effetto significativo né della velocità di riscaldamento “Φ” né della temperatura finale del PWHT “Tmax” (ricordiamo, interrotta prima dei 705°C standard) sull’energia di impatto. C’è stata una diminuzione significativa rispetto alla condizione AW e tra la condizione AW + DHT (trattamento di deidrogenazione) e i campioni ulteriormente sottoposti a PWHT. Questo mette in discussione l’assunto che l’effetto della velocità di riscaldamento sia esclusivamente legato alla suscettibilità alla SRC.

L’analisi dell’emissione acustica (AE) sui campioni in condizione ER è stata illuminante.

  • Per un elevato apporto termico di saldatura (Q= 45 kJ/cm), si è osservato un aumento del numero di eventi sonori registrati per entrambe le velocità di riscaldamento.
  • Questo comportamento non si è riscontrato per apporti termici inferiori.
  • In generale, l’AE ha confermato che effetti sonori significativi si verificano tipicamente dopo il superamento dei 300 °C. Di conseguenza, l’innesco di potenziali SRC avverrebbe ben prima della temperatura di mantenimento del PWHT di 705 °C.

Nonostante i segnali AE, i test non distruttivi (visivo, particelle magnetiche, radiografico) non hanno rivelato SRC macroscopiche nella maggior parte dei campioni ER, anche dopo l’analisi metallografica delle zone “sospette”. L’ipotesi iniziale di un effetto pronunciato della velocità di riscaldamento “Φ” sulla suscettibilità alla SRC non ha quindi trovato conferma diretta.

Micrografia ottica di una sezione trasversale di una cricca da rinvenimento (SRC) che si origina nella zona termicamente alterata a grana grossa (CGHAZ) dell'ultimo cordone di una saldatura SAW in acciaio Cr-Mo-V. Dettaglio della propagazione intergranulare della cricca, obiettivo per metallografia, contrasto differenziale.

L’Unica Cricca: Un Caso da Manuale

Tuttavia, una SRC è stata identificata esclusivamente durante un esperimento comparativo che incorporava parametri di saldatura e PWHT standard industriali (Q = 35 kJ/cm, DHT comune, e PWHT a Φ = 85 K/h e temperatura di mantenimento di 705 °C), e soprattutto, sotto vincolo esterno. L’AE ha registrato chiaramente la formazione della SRC. L’analisi della sezione ha mostrato che l’innesco della cricca era molto probabilmente nella CGHAZ o in prossimità della linea di fusione dei cordoni di saldatura dell’ultimo strato. Questo è coerente con altre osservazioni, ma nel nostro caso è avvenuto in condizioni di pratica industriale più il vincolo. Interessante notare che l’innesco è avvenuto durante il riscaldamento, ben sotto i 705°C, mentre la propagazione è continuata durante il mantenimento.

Conclusioni: Cosa Abbiamo Imparato?

Alla fine della fiera, cosa ci portiamo a casa da questa lunga indagine?

  1. Non siamo riusciti a identificare in modo inequivocabile un’influenza pronunciata della velocità di riscaldamento (tra 33.3 e 300 K/h) sulla durezza della CGHAZ dell’ultimo strato di saldatura, né un effetto combinato chiaro del vincolo esterno e del PWHT sulla durezza stessa.
  2. La durezza della CGHAZ aumenta leggermente dalla condizione AW fino a 500°C e 600°C, e questo è legato all’effetto combinato della temperatura massima del trattamento e dell’apporto termico di saldatura “Q”.
  3. L’effetto ipotizzato della velocità di riscaldamento sulla suscettibilità alla SRC non può essere collegato né a un cambiamento visibile della microstruttura (risultati STEM) né a una variazione dei valori di tenacità (risultati Charpy), almeno per le temperature massime da noi testate (inferiori a 705°C).
  4. Le misurazioni di durezza sono utili come fattore di valutazione di accompagnamento per la suscettibilità alla SRC degli acciai 13CrMoV9-10 saldati SAW, ma non come criterio autonomo.
  5. L’analisi AE suggerisce che eventuali cricche si formano già durante il riscaldamento verso la temperatura finale del PWHT.
  6. Dato che la SRC è comparsa solo una volta, esclusivamente per il set di parametri di saldatura e PWHT applicati industrialmente e solo in caso di vincolo esterno, si presume che la SRC sia innescata da una combinazione di effetti divergenti.

Crediamo che la combinazione fatale sia: (1) un vincolo al ritiro aggiuntivo (come in posizioni molto rigide del componente), (2) una microstruttura critica per le cricche (come la CGHAZ dell’ultimo strato di saldatura), e (3) effetti di intaglio causati dagli angoli del cordone di saldatura dello strato superiore.

Quindi, per ridurre il rischio di SRC durante il PWHT, la nostra dritta è: ridurre l’apporto termico di saldatura “Q” e, se possibile, limitare il vincolo al ritiro indotto strutturalmente. La velocità di riscaldamento, da sola, non sembra essere la chiave di volta. È un puzzle complesso, e ogni pezzo conta!

Spero che questo “tuffo” nel mondo delle saldature vi sia piaciuto. È un campo dove c’è sempre da imparare e dove la ricerca non si ferma mai!

Fonte: Springer

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Primo piano di una cricca da rinvenimento (SRC) che si propaga attraverso la zona termicamente alterata a grana grossa (CGHAZ) di una saldatura SAW in acciaio Cr-Mo-V. Immagine macro con obiettivo da 100mm, illuminazione laterale per enfatizzare la frattura, alta definizione per dettagli metallurgici.
Ingegneria dei Materiali
Scopri come velocità di riscaldamento e vincolo influenzano le cricche da rinvenimento (SRC) in acciai Cr-Mo-V saldati. Consigli per prevenire SRC.
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Cricche da Rinvenimento (SRC) Acciaio: Cause e Prevenzione Efficace
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Viaggio nel Cervello con LICONN: Come la Luce Svela i Segreti dei Nostri Neuroni!

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Amici appassionati di scienza, preparatevi a fare un tuffo in un mondo che fino a poco tempo fa sembrava fantascienza! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta: una nuova tecnica chiamata LICONN (Light-microscopy-based connectomics), che sta rivoluzionando il modo in cui esploriamo il labirinto più complesso che esista, il nostro cervello.

Il Cervello: Un Universo da Mappare

Pensate al cervello: una rete incredibilmente intricata di miliardi di neuroni, ognuno con migliaia di connessioni chiamate sinapsi. Capire come funziona questa rete, come l’informazione fluisce e come nascono pensieri, emozioni e ricordi è una delle sfide più grandi della scienza. Per farlo, dobbiamo creare delle mappe dettagliate, dei veri e propri “connectomi”, che mostrino chi è connesso a chi. Finora, la microscopia elettronica (EM) è stata la regina indiscussa per questo compito, grazie alla sua risoluzione pazzesca, capace di vedere i dettagli più fini. Ma c’è un “ma”: l’EM è bravissima a mostrare la struttura, ma fatica a dirci quali molecole specifiche sono presenti in quelle strutture. E le molecole, amici miei, sono fondamentali per capire la funzione!

LICONN: La Luce che Illumina le Connessioni (e le Molecole!)

Ed ecco che entra in gioco LICONN. Immaginate di poter usare la microscopia ottica, quella che usa la luce (molto più “gentile” e versatile per identificare molecole specifiche), ma con una risoluzione tale da poter vedere le singole sinapsi in un tessuto cerebrale denso. Sembra un sogno, vero? Beh, non più! LICONN ci riesce grazie a un trucco geniale: l’espansione del tessuto. In pratica, il tessuto cerebrale viene immerso in un idrogel speciale che, una volta attivato, si gonfia come una spugna, espandendo il tessuto fino a circa 16 volte la sua dimensione originale! Questo “allarga” fisicamente le strutture, rendendo visibili dettagli prima troppo piccoli per essere distinti con la luce.

Ma come funziona nel dettaglio questo processo quasi magico? Abbiamo sviluppato una tecnica di espansione iterativa con idrogel, accoppiata a una colorazione che evidenzia la densità delle proteine e a una lettura ad alta velocità con microscopi confocali a disco rotante (strumenti abbastanza comuni nei laboratori). Questo ci permette non solo di tracciare manualmente i neuroni, ma anche di usare algoritmi di deep learning per segmentare automaticamente le cellule e analizzare la connettività. E la cosa pazzesca è che possiamo integrare direttamente le informazioni molecolari in queste ricostruzioni a livello sinaptico!

Cosa Possiamo Vedere con LICONN? Un Dettaglio Incredibile!

Abbiamo analizzato un volume di tessuto della corteccia somatosensoriale primaria di topo grande circa 1 milione di micrometri cubi (scala del tessuto nativo). Vi assicuro che è un bel pezzetto di cervello! Dentro, i singoli neuroni con i loro assoni e dendriti erano chiaramente distinguibili, anche nel neuropilo più denso, e mostravano una ricchezza di strutture subcellulari incredibile: mitocondri, apparato di Golgi, persino i cigli primari. Guardando le spine dendritiche, quelle piccole protrusioni dove avvengono molte sinapsi eccitatorie, abbiamo visto chiaramente i siti di presunta trasmissione sinaptica, evidenziati da accumuli di proteine, simili alle densità post-sinaptiche (PSD) che si vedono in EM. Anche i siti presinaptici mostravano caratteristiche nanomolecolari dense, distanziate in modo regolare.

Una delle sfide più grandi nella connettomica è tracciare gli assoni, sottili e tortuosi, e le spine dendritiche con i loro colletti sottili. Per verificare l’affidabilità del tracciamento manuale con LICONN, abbiamo usato topi speciali (Thy1-eGFP) in cui alcuni neuroni esprimono una proteina fluorescente verde (eGFP). Abbiamo confrontato i tracciati fatti manualmente basandosi solo sul segnale strutturale di LICONN (senza vedere il segnale eGFP) con la “verità” data dalla fluorescenza. I risultati? Impressionanti! Su 37 assoni analizzati, solo in un caso il tracciato manuale ha preso la strada sbagliata. E per le spine dendritiche, i tracciatori hanno identificato correttamente il 90% delle spine. Questo ci ha dato una grande fiducia nella tracciabilità dei dati LICONN.

Fotomicrografia ad alta risoluzione di neuroni interconnessi nel tessuto cerebrale di mammifero, ottenuta con la tecnica LICONN. Si vedono chiaramente assoni sottili e spine dendritiche. Obiettivo macro 100mm, illuminazione controllata, alta definizione dei dettagli cellulari.

Ma tracciare a mano è un lavoro certosino e lento. Per analizzare volumi più grandi, abbiamo quindi addestrato delle reti neurali chiamate Flood-Filling Networks (FFNs), già usate con successo nella connettomica EM. Abbiamo lavorato su una regione dell’ippocampo CA1 e, dopo un addestramento e una revisione manuale (proofreading), abbiamo ottenuto una segmentazione automatica con un’accuratezza altissima (edge accuracy del 95.6%), identificando migliaia di assoni e dendriti con le loro spine.

Il Potere delle Molecole: Identificare le Sinapsi e i Loro Tipi

Qui LICONN mostra davvero i muscoli! Sfruttando l’immunocolorazione post-espansione (cioè, colorando le molecole specifiche dopo la prima fase di espansione), possiamo visualizzare proteine chiave. Ad esempio, abbiamo marcato la bassoon, una proteina presinaptica, e la PSD95 (o SHANK2), proteine postsinaptiche tipiche delle sinapsi eccitatorie. Grazie all’alta risoluzione, abbiamo visto che la bassoon forma strutture a reticolo, mentre PSD95 e SHANK2 appaiono come dischi compatti. Misurando la distanza tra bassoon e SHANK2, abbiamo ottenuto valori (circa 154 nm) comparabili a quelli misurati in precedenza in neuroni in coltura.

Non solo! Abbiamo marcato anche la gephyrin, una proteina tipica delle sinapsi inibitorie. Questo ci ha permesso di distinguere chiaramente le sinapsi eccitatorie da quelle inibitorie direttamente a livello molecolare. Analizzando i dendriti, abbiamo scoperto che circa il 90% degli input sinaptici sono eccitatori (SHANK2-positivi) e il 10% inibitori (gephyrin-positivi), e che la stragrande maggioranza delle sinapsi sulle teste delle spine sono eccitatorie, mentre quelle sui fusti dendritici sono prevalentemente inibitorie. Questi dati sono in linea con quanto già sapevamo, ma LICONN ce li fornisce con un’informazione molecolare diretta!

E se non volessimo fare l’immunocolorazione per ogni molecola? Abbiamo sviluppato un altro asso nella manica: il deep learning può essere addestrato a predire la localizzazione delle molecole sinaptiche (come bassoon e SHANK2) basandosi unicamente sul canale strutturale di LICONN! Le predizioni sono risultate incredibilmente accurate, con punteggi F1 superiori a 0.9. Questo apre la strada a volumi “virtualmente” multicolore, dove alcune informazioni molecolari sono misurate e altre predette, risparmiando tempo e risorse.

Oltre le Sinapsi: Tipi Cellulari, Cigli Primari e Connessioni Elettriche

LICONN non si ferma alle sinapsi. Analizzando la forma delle cellule, possiamo classificarle in neuroni piramidali, interneuroni e cellule gliali, proprio come si fa con l’EM. Ma con l’aggiunta dell’immunocolorazione, possiamo identificare sottotipi specifici, come gli interneuroni che esprimono somatostatina. Abbiamo anche studiato i cigli primari, delle specie di “antenne” cellulari cruciali per la segnalazione. Ne abbiamo misurato la lunghezza in diversi tipi cellulari e abbiamo persino indagato se mutazioni genetiche associate a malattie del neurosviluppo (come quelle nel gene Hnrnpu) ne alterassero la lunghezza (spoiler: in questo caso specifico, per i neuroni ippocampali, non abbiamo trovato differenze significative).

Immagine fotorealistica di una sezione di ippocampo ottenuta con LICONN, che mostra la marcatura fluorescente di proteine sinaptiche come bassoon (ciano, presinapsi) e SHANK2 (magenta, postsinapsi eccitatorie) e gephyrin (giallo, postsinapsi inibitorie). Obiettivo prime 35mm, duotone blu e grigio per il fondo strutturale, con dettagli fluorescenti colorati.

Un’altra frontiera affascinante sono le giunzioni comunicanti (gap junctions), canali che permettono una comunicazione elettrica diretta tra cellule. Queste sono difficili da vedere con l’EM. Con LICONN, marcando la connexin-43 (una proteina delle gap junctions espressa negli astrociti), siamo riusciti a visualizzare queste connessioni elettriche e i partner cellulari coinvolti. Immaginate: in uno stesso volume, possiamo mappare connettività eccitatoria, inibitoria ed elettrica!

Scalabilità e Accessibilità: Il Futuro della Connettomica

Una delle grandi promesse di LICONN è la sua scalabilità e accessibilità. Abbiamo già acquisito volumi paragonabili a quelli di alcuni dataset EM importanti, e con tempi di acquisizione ragionevoli (circa 6.5 ore per il volume da 1 milione di micrometri cubi). Per andare oltre i limiti di profondità degli obiettivi, abbiamo implementato un metodo di “block-face imaging”: in pratica, si immagina uno strato, poi si affetta via con un vibratomo una parte dell’idrogel già immaginato e si immagina lo strato sottostante, con una sovrapposizione che permette di “cucire” i volumi in 3D. Abbiamo dimostrato di poterlo fare iterativamente per 12 volte, coprendo 205 µm in profondità!

La cosa forse più entusiasmante è che LICONN utilizza hardware di microscopia ottica convenzionale (nel nostro caso, confocale a disco rotante), che è ampiamente disponibile. Anche se la preparazione dei campioni introduce nuove strategie, il protocollo non è fondamentalmente più complesso di altre tecniche di espansione già adottate. E tutti gli strumenti software che abbiamo sviluppato sono open source.

Conclusioni: Una Nuova Era per le Neuroscienze (e non solo!)

LICONN, a mio parere, apre davvero una nuova era. Ci offre un modo per integrare struttura e informazione molecolare dettagliata, superando alcuni limiti storici. Non solo ci permette di studiare il cervello con una precisione senza precedenti, ma potrebbe essere utilissimo anche per analizzare altri organi e sistemi, o per studiare le alterazioni cellulari nelle malattie.

È una tecnologia che democratizza la connettomica, rendendola potenzialmente accessibile a molti più laboratori. E chissà quali scoperte ci aspettano ora che abbiamo questa nuova, potente “luce” per esplorare i misteri della biologia!

Fonte: Springer